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Solstizio d'estate - À la verticale de l'été - Mua He Chieu Thang Dung


Regia:Hùng Tràn Anh

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Tràn Anh Hùng; fotografia: Mark Lee; montaggio: Mario Battistel; scenografia: Benoit Barouh; costumi: Susan Lu; interpreti: Tran Nu Yen-Khe (Lien), Nguyen Nhu Quynh (Suong), Le Khanh (Khanh), Ngo Quang Hai (Hai), Chu Hung (Quoc), Tran Manh Cuong (Kien), Le Tuan Anh (Tuan), Le Ngoc Dung (Huong), Doan Viet Ha (Ngan); produzione: Lazennec, Le studio Canal +, Arte France Cinema, ZDF/Arte e Hang Phim Truyen Vietnam; distribuzione: BIM.; origine: Francia, 2000; durata: 112’.

Trama:Ad Hanoi nei nostri giorni, tre sorelle si incontrano per celebrare l'anniversario della morte della madre. Molto legate tra di loro, tuttavia nessuna apre il cuore per svelare il proprio segreto alle altre.

Critica (1):Intimo, sensuale, intriso di antichi pudori. L’universo femminile di tre sorelle è uno spazio, un orizzonte di sensi e di delicate percezioni scarno, puro, essenziale, come vuoto, un vuoto che ha le dimensioni del libero passaggio, di un varco dove tutto è in potenza e tutto fluisce. I sogni, le confessioni, i desideri, le passioni di tre donne sono profuse nell’aria assieme ai ricordi e agli odori di pasti amorevolmente cucinati e si mescolano all’umidità della pioggia, ai profumi dei fiori e ai vapori delle bevande calde. Lien, Suong e Khanh sono le regine di un focolare domestico precario, minacciato dalla dimenticanza, dalla perdita e dall’assenza. Gli uomini della loro vita (eccetto il loro fratello Hai) appaiono molto diversi dal loro padre, forte e fedele a una sola donna, e sembrano del tutto incapaci di serbare le tradizioni della loro famiglia. E così, le tre sorelle ripetono, con una ritualità fatta di piccoli segni significanti, i loro gesti quotidiani atti ad esprimere amore, affetto e attenzioni o volti a celebrare i loro morti. Ripetono fino ad annullare il tempo, fino a renderlo immobile, un susseguirsi di attimi che ritornano e girano su loro stessi. Anche la musica, giorno dopo giorno, contribuisce a fermare il tempo, basti pensare al brano di Lou Reed che puntualmente scandisce l’allegro risveglio di Hai e Lien. Tutto è sospeso, tutto è fluttuante, il filo rosso della memoria allaccia i destini dei personaggi mentre i muri che separano le loro stanze sono troppo sottili per lasciarli chiusi nelle loro solitudini. Il cromatismo delle scenografie rispecchia i sentimenti di ognuna delle tre sorelle: il giallo e il bianco per Lien che vorrebbe poter amare il fratello, il verde e il blu per Khanh che sta per diventare madre e spera nel matrimonio perfetto e il rosso e tutte le sue sfumature per Suong che, delusa da suo marito, scopre la passione silenziosa per Tuan. Solstizio d’estate è un film che gioca sugli incastri, sugli intrecci, sulle intersezioni di rette e di piani, di scale e di stanze, di luci e di corpi e dove l’orizzontalità del tempo narrativo fa da contrappunto alle aspirazioni verticali dei singoli protagonisti, tesi verso un ideale alto di armonia. Una linea netta e profonda si fa segno di tutta la pellicola ed è un tracciato che separa gli uomini dalle donne, un solco che divide il presente dal passato, un baratro che separa i vivi dai morti: è una scriminatura sulla testa di tre donne.
Simona Pellino, Kwcinema

Critica (2):Speak, memory, il titolo della bellissima autobiografia di Vladimir Nabokov, potrebbe essere il motto del regista Tran Anh Hung, trasferitosi con la famiglia a Parigi quando era ancora piccolo. Si direbbe infatti che il giovane vietnamita faccia cinema esclusivamente per ricucire lo strappo traumatico dalla terra d’origine, recuperandone colori, suoni, atmosfere. Lo ha dimostrato con la sua opera prima «Il profumo della papaya verde» che, pur realizzata in Francia, riproduceva uno spaccato familiare del V ietnam anni Cinquanta; lo ha ribadito con Cyclo, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel ‘95, ambientato nel caos metropolitano di Saigon. Lo conferma ora con questa terza pellicola, Solstizio d’estate, girato in una calda e sonnolenta Hanoi sul ricordo di remote sieste infantili. Si comincia con una scena di risveglio, lenta e suggestiva. Il sole penetra attraverso le tende svolazzanti e nel modesto appartamento dove Lien vive con il fratello maggiore spira un’aria di immota dolcezza. È l’anniversario della morte della madre e la fanciulla si appresta a preparare il pranzo commemorativo con le due sorelle più grandi Suong e Khanh, entrambe sposate. In quel piccolo mondo femminile tutto sembra scorrere sereno, dallo svolgersi della ricorrenza ai rapporti parentali, ma non è così. Quietamente Tran Anh Hung svela retroscena conflittuali e infedeltà coniugali e del dipanarsi degli eventi il film un poco si incarta, il gioco narrativo rischia di farsi meccanico. Tuttavia nulla riesce a spezzare l’ipnotica armonia di una visione che è un puro distillato di memoria. Lien e suo fratello che fanno ginnastica mattutina insieme, le tre sorelle affaccendate a cucinare che si scambiano ridendo confidenze e confessioni maliziose, l’acqua che scintilla in un catino di bronzo. Ogni immagine, ogni gesto, ogni oggetto possiede una grazia incantevole e senza tempo.
Alessandra Levantesi, La Stampa 17/10/00

Critica (3):

Critica (4):
Anh Hùng
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