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Palombella rossa


Regia:Moretti Nanni

Cast e credits:
Soggetto: Nanni Moretti; sceneggiatura: Nanni Moretti; fotografia: Giuseppe Lanci; musiche: Nicola Piovani; montaggio: Mirco Garrone; scenografia: Leonardo Scarpa, Giancarlo Basili; interpreti: Nanni Moretti (Michele Apicella), Silvio Orlando (l'allenatore), Mariella Valentini (la giornalista), Alfonso Santagata, Claudio Morganti (seccatori), Asia Argento (Valentina, figlia di Michele), Eugenio Masciari (l'arbitro), Remo Remotti (alter ego dell'allenatore), Fabio Traversa (il vecchio amico), Marco Messeri (padre di Michele giovane), Giovanni Buttafava (lo psicanalista), Luigi Moretti (sindacalista9, Imre Budavari (giocatore di pallanuoto), Carlo Mazzacurati (uomo in piscina con M. bambino), Daniele Luchetti (assistente di Michele in Tv), Fabio Traversa (amico di Michele), Raúl Ruiz (il sudamericano), Luca Codignola (Mario Patanè);produzione: Angelo Barbagallo e Nanni Moretti per Sacher Film-Rai Uno-Palmyre Film e So.Fin.A.; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1989; durata: 89'.

Trama:Michele Apicella, un deputato comunista trentacinquenne, giocatore di pallanuoto, sta attraversando una profonda crisi, sia per ciò che riguarda la sua fede politica che la sua stessa vita poichè ha perduto la memoria per un incidente e non si ricorda neppure chi è. Mentre gli altri non sembrano rendersi conto del suo stato, Michele partecipa ad una partita contro la squadra di Acireale, durante la quale, gli affiorano improvvisamente nella memoria i ricordi della sua vita passata. Eccolo, dunque, bambino, quando costretto dalla madre e dall'arbitro a tuffarsi nella piscina, che lo terrorizzava, divenne, suo malgrado, un giocatore di pallanuoto. In seguito si rivede ventenne quando, comunista fervente, portava materiale di propaganda nelle case. Mentre la partita continua, e Michele gioca piuttosto male, nelle pause ai bordi della piscina egli parla con varie persone, fra cui un giovane cattolico assillante, che respinge costantemente, e una giornalista, che lo intervista su argomenti politici, ma che lo esaspera con le sue frasi fatte. Poi si vede nelle vesti di elegante deputato partecipare a Tribuna Politica, cercando però di ripetere sempre i soliti slogan, nei quali ormai più non crede. Intanto fra immagini del presente e del passato, la partita sta per essere vinta dagli avversari e la squadra di Michele tenta di risalire ad un pareggio. Ci riuscirebbe se proprio lui non sbagliasse l'ultimo tiro decisivo: una "palombella", un tiro insidioso, lento, a parabola che può sorprendere il portiere fuori dai pali. Deluso dalla vita, Apicella, allontanandosi, ha un altro incidente, da cui esce salvo e che gli consente di ricordare quando bambino rise, "senza ragione", vedendo in una manifestazione politica un simbolico sole rosso dipinto su di un grande cartellone.

Critica (1):(…) Nella sua brillantissima conferenza stampa a Venezia Moretti ha affermato che, come gli ha detto un amico «intelligente», Palombella rossa è in realtà un film sul linguaggio. Molto giusto: se anzi adottiamo questa prospettiva nella lettura dell'insieme della sua opera ne uscirà sicuramente qualcosa d'interessante. È vero tuttavia che Palombella rossa può legittimamente aspirare più di altri suoi film a questa definizione. Lungo tutta la pellicola i personaggi più vari si inseguono (o inseguono il protagonista) per la scena tentando di convincere odi convincersi attraverso le retoriche e le dialettiche più diverse. Ognuno parte da un'ideologia, c'è anche chi si limita a ribadire la necessità del gioco, del confronto sportivo, della vittoria, ma tutti, indistintamente, hanno come obiettivo il convincimento, l'instaurazione di una breccia nella volontà, nel carattere, nella memoria del protagonista per attirarlo adire o a fare quel che singolarmente si aspettano da lui. Naturalmente il quadro può essere letto in termini metaforici: chi raccoglierà l'eredità del (supposto) defunto PCI? La sua anima è laica o confessionale? Propenderà per il pelosamente esoterico ciellismo (il misticismo, la numerologia, l'ecumenismo dell'invasato cattolico e del suo guru) o servirà la causa della verità attraverso un'autodenuncia sollecitata però da elementi alquanto ambigui (i due figuri che blandiscono Michele con l'esca di sempre: un condimento di utopia e di dolciumi)? Moretti gioca straordinariamente bene nel campo minato che si è scelto. Lo fa da artista, cioè utilizzando i dati della politica per finalità che sono estranee a una descrizione, una disamina, un'esemplificazione dei problemi posti da quei dati stessi. È evidente che in Palombella rossa il vero problema è un altro: il disorientamento esistenziale di un individuo che fino a poco prima aveva trovato nella politica un'identità ormai negatagli dalla crisi sia ideologica sia organizzativo-istituzionale del partito. Moretti ha colto con la superiore sensibilità di un moralista di razza il fraintendimento che per decenni ha coinvolto nella sinistra italiana (quella vera, non quella di governo) il «pubblico» e il «privato» nella confusione delle due sfere. Talché, al momento della crisi del partito, tutto viene chiamato di nuovo in causa, non solo i dati un tempo tesaurizzati dall'ideologia (ma tutto sommato in Michele nemmeno quelli, a giudicare dal filmino settantesco in cui a causa dei suoi dubbi il protagonista si becca anche uno schiaffone da un compagno più convinto di lui), ma anche i rapporti con gli altri, la famiglia, col linguaggio stesso. Michele sospetta sin dai primi anni '70 che il linguaggio della sinistra abbia in sé qualcosa che non funziona, nel senso che la nota falsa in esso è spia di uno scarto, di un'inadeguatezza e certamente di una retorica insita nell'ideologia medesima. Ecco il modo in cui la critica ai media come corruttori di linguaggio – cosa in sé anche giusta, ma alquanto limitativa – si nobilita in una direzione che coinvolge anche la coscienza, la ragione e la loro responsabilità.
II culto del linguaggio è sicuramente quello che Moretti sente più forte e inarrestabile, probabilmente più forte di quello – che egli certamente nutre – per il cinema stesso: nella sua opera si possono rinvenire imperfezioni filmiche, ma il suo rigore nei confronti del linguaggio verbale è inattaccabile, tanto da farne non a caso la parte «forte» di ogni pellicola (purtroppo, a volte, bisogna dirlo, sciupata da una dizione e un'impostazione recitativa alquanto trasandata: l'unica cosa, questa, che Moretti ha in comune coll'intera tradizione del cinema italiano nel suo insieme, soprattutto, naturalmente, quello «giovane» dei nostri anni più recenti).
Culto del linguaggio, peraltro, non significa eleganza dell'eloquio e tutto sommato nemmeno proprietà d'espressione. Piuttosto, rifiuto del gergo generazionale, di gruppo, sinistrese, ecc., e nemmeno va confuso con un datato purismo xenofobo. È vero che «trend negativo», Kitsch, cheap, ecc. sono parole straniere nel mirino del regista, ma solo in quanto rappresentative di un linguaggio giovanilistico adulterato e cialtrone. II linguaggio non è per Moretti una questione accademica e nazionalistica. Al contrario, è un fatto esistenziale: «Chi parla male pensa male, e vive male». Che felicità d'esposizione! Il problema è centrato in poche parole. Parlare è essenziale («Non mi parli mai di te, dei tuoi ricordi»: altra battuta commovente perché pronunciata nel contesto di una tumultuosa serie di scambi comunicativi di carattere tattico nel bel mezzo di una partita, con l'effetto di suscitare una risposta divertita nello spettatore nel momento stesso in cui ne tocca le corde più riposte e segrete). Dunque, mancare alla funzione reale e necessaria dell'atto di parola a causa di uno snaturamento di quest'ultima significa perdere l'occasione reale del contatto con gli altri che ci svela a noi stessi: è insomma un gesto contro la vita intesa come sincerità di rapporto e mezzo per conoscerci e capirci.
Come si vede, il PCI è il vistoso pretesto per impostare un problema che va ben oltre la sua crisi. E per far questo Moretti ha finalmente scelto la via a lui più adeguata e più congeniale: l'eliminazione della storia (racconto). Quel che accade nella piscina di Acireale non osserva alcuna convenzione di tempo e di luogo. La partita sembra durare dalla mattina alla notte, i segmenti narrativi saltano continuamente di senso conducendoci in una direzione che regolarmente si rivela falsa appena entrano in scena dettagli eloquenti di una lacerazione del tessuto logico - narratologico. Michele è colto spesso al di fuori della piscina quando tutto quel che abbiamo visto e udito appena un attimo prima ci porta a pensare che egli è in acqua. Non solo: persino ciò che dovrebbe essere mille miglia lontano si trova miracolosamente nei paraggi (la figlia che studia in una camera sopra il teatro dell'agone). Figure strane e paranoiche si aggirano in quel teatro, compiono gesti inconsulti, giocano con lo spazio e col tempo. Il Dottor Zivago dura un'intera giornata in televisione, e se è per questo la partita si arresta tranquillamente per dar modo al pubblico e ai giocatori di seguire la famosa «scena del tram». E sin troppo facile affermare che Palombella rossa è più di ogni altra opera morettiana un film «onirico». In certa misura la componente surreale, che da sempre è rintracciabile nel cinema dell'autore, trova qui garanzia e legalizzazione: la figlia che dice al padre appena incontrato ai bordi della piscina: «Papà che ci facciamo qui? Andiamocene via», pronuncia una battuta seminale, poiché da un lato essa ufficializza la componente onirica caratterizzante di cui si diceva (è già intuibile da qualche minuto nell'andamento della pellicola), e dall'altro ci riporta a quelle incitazioni accorate di tanto cinema drammatico del passato (chi ha dimenticato l'analoga battuta di Robert Stack morente a Rock Hudson verso la fine di Come le foglie al vento di Sirk?) cui, per incredibile che possa suonare, Palombella rossa si imparenta, non certo formalmente né tematicamente, ma come intensità d'emozione, come spirito nella ricognizione di una situazione esistenziale. La personalissima abilità di Moretti è quella di formulare battute divertenti e a volte francamente comiche che sempre mantengono un côté serio e accorato sul versante della memoria, del confronto, della ribelle rassegnazione. (…)
Franco La Polla, Cineforum n. 288, 10/1989

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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