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Stanza del vescovo (La)


Regia:Risi Dino

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Piero Chiara; sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Piero Chiara, Dino Risi; fotografia: Franco Di Giacomo; musiche: Armando Trovajoli - il brano "Moonlight Serenade" è di Glenn Miller; montaggio: Alberto Gallitti; scenografia: Luigi Scaccianoce; arredamento: Bruno Cesari; costumi: Orietta Nasalli Rocca; interpreti: Ugo Tognazzi (Temistocle Mario Orimbelli), Ornella Muti (Matilde Scrosati in Berlusconi), Patrick Dewaere (Marco Maffei), Lia Tanzi (Landina), Gabriella Giacobbe (Cleofe Berlusconi in Orimbelli), Katia Tchenko (Charlotte), Karina Verlier (Germaine), Franco Sangermano (Giudice istruttore Mazzoleni), Marcello Turilli (Angelo Berlusconi); produzione: Giovanni Bertolucci per Merope, Carlton Film Export (Roma), Societe' Nouvelle De C.Ie (Parigi); distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Italia-Francia, 1977; durata: 110’.

Trama:Marco Maffei, un giovanotto che trascorre il tempo navigando senza meta sul Lago Maggiore con la Tinca, barca che ha acquistato d'occasione, viene avvicinato dallo stravagante Temistocle Mario Orimbelli che lo invita nella propria villa dove gli presenta la moglie Cleofe e la cognata Matilde, presunta vedova, poiché suo marito è disperso in Abissinia. Marco, che ha diverse amichette come Charlotte, Germaine e Landina, fa qualche gita con l'invadente Orimbelli. Una volta, pur essendosi accorto di un crescente affetto di Matilde, parte con lei e Mario al quale la cede, convinto che siano amanti. Nella stessa circostanza, mentre risiedono in un albergo di una cittadina posta a 18 km dalla villa, vengono avvisati che Cleofe è stata trovata annegata. Sul momento viene accettata la versione del suicidio; Orimbelli sposa Matilde e Marco continua a frequentare i nuovi amici. Tuttavia, la ricomparsa del fratello di Cleofe e marito di Matilde, dato per disperso, e i ripensamenti di Marco inducono il giudice a riaprire il caso e a provare l'assassinio compiuto da Temistocle. Questi si impicca e Marco, dopo aver passato la notte con Matilde, finisce però per abbandonarla.

Critica (1):(...) Una "commedia all'italiana", forse più sostenuta di tono rispetto ad altri recenti esemplari, ma non indenne da accentuazioni plateali di quanto, nel libro, era suggerito tra le righe, con pungente garbo. Così anche la rozzezza, l'esibizionismo virile, la sbruffoneria dell'Orimbelli sono spinti al limite della macchietta, sebbene poi il bravo Ugo Tognazzi riesca a conferire al protagonista una sorta di squallida dignità, raggiunta per vie oscure, nel tragico finale. (...).
Aggeo Savioli, L'Unità, 19/3/1977

Critica (2):(...) Tornato in buona forma dopo un paio di prove sfocate, Dino Risi ci dà con La stanza del vescovo (...) un film riuscito. Merito anche della sceneggiatura di Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che ce la fanno a rispettare il libro e a riproporlo in un'impaginazione diversa (...). Nella schiera dei migliori personaggi di Tognazzi, in sintonia con il mondo di Chiara fin da Venga a prendere il caffé... da noi, entrerà certo questo ambiguo femminiere in sahariana, ribaldo, spregevole e simpatico. (...).
Tullio Kezich, La Repubblica, 19/3/1977.

Critica (3):(...) La tessitura narrativa (...) risulta semplificata in modo eccessivo, i personaggi faticano a rendere credibili e logici i loro moventi, e i caratteri, schematizzati al massimo, perdono abbastanza di sapore, in atmosfere troppo smorte per essere drammatiche e troppo statiche per essere comiche. Dino Risi, per esorcizzare queste pecche, ha fatto leva sulla figura dell'Orimbelli, spostando su quella tutto l'asse del racconto (...). Il risultato (...) convince soprattutto per merito di Ugo Tognazzi, in sagace equilibrio tra verità e menzogna, cinismo e passione, decoro e bassezza; con una misura sommessa che anche quando gli esibizionismi del personaggio lo portano a colorire e ad accentuare, lo trattiene poi sempre al momento dovuto: senza una nota di troppo. (...).
Gian Luigi Rondi, II Tempo, 19/3/1977.

Critica (4):La letteratura si è avvicinata al cinema subendone il condizionamento: lo si sente ripetere da anni. Dino Risi testimonia che Piero Chiara, autore del romanzo cui il regista con gli sceneggiatori Benvenuti e De Bernardi (alla loro prima volta con Risi) hanno attinto, pensò proprio a Tognazzi nel concepire il personaggio di Temistocle Mario Orimbelli, il suo protagonista. Cui, sullo schermo, dà espressione fisica proprio Tognazzi che infatti appare del tutto a suo agio. Una cosa è subito evidente e lo stesso Risi lo sottolinea intervistato a proposito di questo film. La stanza del vescovo dà seguito a quel tema che costituisce uno dei marchi di riconoscibilità dell'opera del regista milanese, tanto che le sue opere siano frutto di soggetti originali sia che provengano da modelli letterari. È il tema del rapporto tra un giovane e un anziano, tra due uomini di diversa generazione, del reciproco attrarsi tra la maturità che non vuole rinunciare ai privilegi della giovinezza e la sete di quest'ultima di apprendere e penetrare i segreti della vita. Cui se ne affianca un altro, a quello intimamente intrecciato (sul modello sempre presente di Il sorpasso). Quello della fuga goliardica e irresponsabile, della vacanza che si lascia tutto dietro, dello sberleffo picaresco alla saggezza sedentaria: qui, con la complicità matura dei due sceneggiatori che già con Amici miei avevano suggellato il tramonto del mondo della commedia all'italiana, i ruoli sono però rovesciati rispetto a Il sorpasso. Non è più l'anziano il motore, l'elemento trascinante, colui che sa e dalle cui labbra l'altro pende, ma è il più giovane della coppia il protagonista; cui l'altro guarda con invidia, ammirazione, nostalgia per ciò che egli non è più. O meglio ancora, nel caso di Orimbelli, per ciò che non è mai stato.(...)
Molta atmosfera - deliberatamente e ricercatamente pesante, soffocante: dalla villa a quel mare chiuso che è il Lago Maggiore – e un fastoso impianto fotografico-scenografico. È vero che anche qui Risi riesce a tirar fuori da una fantasia non sua alcuni spunti tipicamente suoi, ma non si avverte quel senso di necessità che sprigionava per esempio Profumo di donna. Resta l'eccellente prodotto di un signore del cinema.
Paolo D’Agostini, Dino Risi, Il Castoro Cinema, 1-2/1995
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