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Giulia in ottobre


Regia:Soldini Silvio

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Silvio Soldini, Lara Fremder fotografia (16 mm colore): Luca Bigazzi (assistente: Emanuele Soldini); montaggio Claudio Cormio, Silvio Soldini; suono in presa diretta: Pino Castellet, Roberto Mozzarelli; musica: Matteo Di Guida, Gianni Celesia; scenografia e costumi: Franca Bertagnolli; trucco: Monica Ricciardi; aiuto regista: Anthy Stoppelli; macchinista: Giorgio Garini; interpreti: Carla Chiarelli (Giulia), Giuseppe Cederna, Andrea Novicov, Daniela Morelli, Moni 0vadia; produzione: Bilicofilm coli il sostegno del premio "Film maker"; coordinamento di produzione: Daniele Maggioni; assistenti alla produzione: Paola Candiani, Anni Amati, Chiara Scavia; origine: Italia, 1985; durata: 58'.

Trama:Giulia, una ragazza come tante a Milano, reduce dalla fine di un amore come tanti cerca di ridare senso alla sua vita: si concede a un compagno occasionale, contatta un amico con cui poter parlare, cammina nelle strade della città… Incontra un'altra donna, arrivata a Milano per "chiarirsi" con un uomo, con il quale non c'è evidentemente più nulla da chiarire: insieme, le due donne regolano i conti con lui. L'altra non vuole tornare a Torino da dove è venuta; si fanno compagnia, la notte trascorre, poi, il giorno dopo, c'è chi prende la via del ritorno e chi riprende la vita di sempre. (da "Imparare dal caso. I film di Silvio Soldini", edizioni di cineforum, 2001

Critica (1):[…] Giulia in, ottobre, prodotto in parte con un premio Gaumont - Film maker, selezionato al Forum di Berlino, vincitore della terza edizione di “Film maker” a Milano, rappresenta una evidente crescita verso una direzione più personale, d’autore. Pagati con il film precedente (Paesaggio con figure n.d.r.) i debiti di affetto al cinema amato, Soldini racconta l’esile storia di Giulia che, finito un amore, cerca di ricominciare a vivere, incontrando vecchie amicizie ed allacciando nuovi rapporti. Il felice impianto narrativo è strutturato come una sorta di road movie fermo, nel quale delle caratteristiche del film sulla strada rimane il susseguirsi di incontri, senza che l’azione si sposti dal contesto urbano, visto ancora perlopiù nei suoi momenti notturni, sfondo non neutrale ma neppure dialettico, dei movimenti della protagonista. L’attenzione, rispetto al film precedente, è spostata sulla normalità dei gesti e delle situazioni, fino a delineare con delicatezza una figura femminile reale, vera. Soldini sceglie un approccio discreto, non si infila nel vicolo degli psicologismi, guarda al suo personaggio con rispetto, con “moralità”, evita accuratamente identificazioni e sottolineature, servendosi di un dialogo sommesso e quotidiano quanto aulico e gelido era in Paesaggio con figure. I comportamenti di Giulia sono narrati con affettuoso distacco, la preparazione di un dolce o la caduta di una tazza riescono a tratteggiare con semplicità ed immediatezza situazioni e stati d’animo, in una atmosfera di tristezza soffusa e morbida. La padronanza dei mezzi espressivi, la capacità di controllo ed amalgama dei vari momenti che concorrono alla costruzione filmica, già emerse nelle opere precedenti, si rivelano in Giulia in ottobre fondamentali nella confezione di un prodotto che pare, sorprendentemente, non risentire dell’estrema esiguità del budget a disposizione. Smorzate alcune ricercatezze, la ricerca sull’immagine si piega ai registri di una narrazione smorzata ma non piatta, sorretta dalla bella fotografia a colori ancora di Bigazzi, che ha nell’esplicito rapporto delle dominanti cromatiche delle diverse fonti di illuminazione il tratto distintivo.
Anche il lavoro sul sonoro prosegue il discorso già indicato, facendosi qui più articolato, con un uso a volte significante delle musiche preesistenti (l’opera lirica, un frammento di rock, una sigla televisiva), mentre le composizioni originali si rapportano alle immagini ed allo svolgimento della vicenda con equilibrio misurato.
Carla Chiarelli, che interpreta la parte della protagonista dopo la esperienza di Paesaggio con figure, mostra una notevole capacità espressiva, mettendo in scena un personaggio non facile con vissuta professionalità. La durata non canonica e la mancanza di nomi di richiamo nel cast non facilitano certamente una distribuzione del film secondo i consueti percorsi commerciali, eppure ci pare evidente la dimensione matura dell’opera, che meriterebbe attenzione e diffusione maggiori. Ci viene il dubbio che sia frutto di una sorta di sciovinismo alla rovescia il fatto che registi come Amos Poe, ma in fondo anche Jim Jarmusch, riescano a trovare quell’udienza e quell’interesse che paiono negati a chi, da questa parte dell’Atlantico, ha dimostrato non inferiori capacità e qualità. Dovrebbe essere sorprendente, ma purtroppo è solo normale, che nessuno, finora, si sia accorto delle sicure potenzialità di Soldini, né la Rai, né qualche produttore indipendente, o solo intraprendente, offrendogli la possibilità di confrontarsi con i mezzi e le dimensioni di una produzione professionale.
Paolo Vecchi, Marco Zambelli, Cineforum n. 248, ottobre 1985

Critica (2):S: […] Con Giulia in ottobre ho cercato di cambiare un po’ strada, il tipo di ricerca che c’era dietro a Paesaggio con figure si è esaurita con quel film. Ad esempio, i dialoghi sono frutto di una volontà di distacco da molto cinema italiano contemporaneo, in una direzione letteraria, mentre in Giulia in ottobre sono molto più quotidiani, sono frutto di un lavoro più accurato, soprattutto con gli attori, sono il risultato di parecchie prove per la giusta limatura. Mi interessava molto il modo in cui le cose venivano dette, più di quello che si diceva, e questo è l’opposto di quanto è avvenuto con il primo film.
C: In Giulia in ottobre colpisce la stilizzazione del paesaggio urbano, di una Milano vista quasi con pudore.
S: I due film hanno in comune un’ambientazione metropolitana e notturna. Nel primo è stata in parte una scelta obbligata: gli attori, che non sono tutti dei professionisti, nell’arco dei quattro mesi di riprese erano disponibili solo in certe ore della giornata. La notte, d’altronde, permette una stilizzazione di un certo tipo che il giorno non permette, come atmosfera e concentrazione. Giulia in ottobre è nato così, il vagare della protagonista nella prima parte l’ho sempre pensato notturno, come pure l’incontro finale. L’ambientazione è metropolitana, ma non volevo una sottolineatura milanese, non mi interessava raccontare dei giovani a Milano, dei loro punti di incontro, dei bar e dei ritrovi specifici, m’interessava l’ambiente urbano in sé.
C: Come mai hai scelto una figura femminile?
S: Non mi sono posto il problema in questi termini e d’altronde non ho trovato particolare difficoltà nello scrivere la sceneggiatura, da questo punto di vista. Volevo lavorare ancora con Carla Chiarelli, con la quale avevo fatto Paesaggio, lasciandole però poco spazio, ed ho quindi impostato il lavoro con questa ben precisa intenzione. Con un personaggio maschile il film sarebbe stato un altro. Il lavoro sull’attore è stato molto più curato, mi interessava molto di più, non lo vedevo più come veicolo di cose che volevo dire ma come protagonista. Forse è per questo che la ricerca formale sulle immagini è meno evidente, ci sono altri fattori che concorrono alla narrazione. Paesaggio mi appare ora, rivisto, come ibernato in certi punti, non esce la vita degli attori, sembrano dei modelli.
C: Anche la colonna sonora si fa più complessa rispetto ai film precedenti, nei quali pure utilizzavi Vivaldi e Brahms.
S: In Giulia in ottobre le scelte musicali sono funzionali alle caratteristiche del personaggio. Il fatto che per un attimo si senta un pezzo di Vasco Rossi, come, d’altronde, la sigla di Almanacco del giorno dopo, è un segnale del tempo reale in cui si svolge la vicenda, della realtà dell’esterno. Ci sono anche grossi problemi di diritti: se, ad esempio, volessi utilizzare i Clash, non sarebbe semplicissimo dal punto di vista economico. Per la musica originale ho lavorato nei primi due film con Matteo Di Guida, al quale si è aggiunto, per Giulia in ottobre, il sax di Gianni Celesia, che mi sembrava giusto per certi momenti. È stato un lavoro difficile, eravamo tutti e tre dei novellini, abbiamo voluto verificare il lavoro in moviola per poi accrescere quanto fatto, e questo più volte. È stato stressante. Infondo, è solo alla fine, quando si mixa definitivamente il sonoro sul film finito, che hai una verifica reale del lavoro fatto, i tempi stretti ci hanno obbligato ad un lavoro duro e un po’ alla cieca.
C: Comunque, la musica viene sempre utilizzata con grande discrezione.
S: È una scelta mia, voglio che sottolinei certi passaggi, senza tuttavia che le immagini siano prevaricate, che la colonna sonora prenda in mano la situazione. Ricerco sempre un equilibrio con le immagini, non voglio che la musica le offuschi, ma le aiuti quando è necessario. In realtà, il problema maggiore è stato verificare la musica sul film. Il racconto è a volte molto fragile, il raccontare delicato, ed una musica che appariva in sé valida, accostata all’immagine la trascinava in un’atmosfera diversa da quella voluta.
C: Senza voler scomodare Bazin, crediamo si possa affermare che il tuo è un cinema molto “morale”.
S: Credo che ci sia un rispetto della narrazione, un lasciarla fluire. Non voglio coinvolgere eccessivamente lo spettatore con una sovrabbondanza di primi piani, di campo - controcampo, di stacchi, con una recitazione di un certo tipo. Credo che regia e recitazione siano in linea: una sorta di distacco da ciò che stiamo vedendo e non il tentativo di coinvolgere dal di dentro, un rimanere al di fuori, non con disprezzo ma con delicatezza.
C: Pensi che la critica italiana si stia accorgendo del fenomeno dei filmmaker?
S: C’è scarsa attenzione nei confronti di quanto viene prodotto in Italia fuori dai circuiti “ufficiali”. Se fossi americano, se mi chiamassi Soldàini, i miei film avrebbero la stessa attenzione che hanno avuto, che so, Subway Riders o Stranger than Paradise. Piuttosto, è stata sorprendente la risposta del pubblico a Milano, durante Filmmaker. La critica ha lamentato che buona parte del pubblico sia rimasto deluso dai film presentati, cosa che io non credo sia successa. Il pubblico è accorso in massa a vedere i film in modo molto nuovo, molto interessante. Non ci sono stati fischi in sala, gente che entrava e usciva, niente di simile.
C: Di che tipo di pubblico si trattava?
S: Quello di Milano era un caso abbastanza specifico. C’era un pubblico di addetti ai lavori, un pubblico di una certa generazione che veniva a vedere i film prodotti da quella stessa generazione. Era dunque molto complice.[…]

Critica (3):

Critica (4):
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