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Nostalgia della luce - Nostalgia de la luz


Regia: Guzmán Patricio

Cast e credits:
Sceneggiatura: Patricio Guzmán; fotografia: Katell Djian; musiche: Miranda & Tobar ; montaggio: Patricio Guzmán, Emmanuelle Joly; effetti: Éric Salleron; produzione: Atacama Productions-Blinker Filmproduktion-Wdr, Cronomedia; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Cile-Francia-Spagna-Germania, 2010; durata: 90'.

Trama:Cile, deserto di Atacama. Astronomi di tutto il mondo si radunano a tremila metri di altitudine per osservare le stelle. Nel frattempo, mentre gli astronomi esaminano le galassie distanti in cerca della vita extraterrestre, ai piedi dell'osservatorio un gruppo di donne scava la terra del deserto in cerca dei loro parenti scomparsi. Nel deserto, infatti, il calore del sole mantiene intatti i resti umani: quelli delle mummie, degli esploratori, dei minatori e dei prigionieri politici della dittatura.

Critica (1):Ancora oggi in Cile, nello sperduto deserto di Atacama, ci sono delle donne che raschiano la terra con le pale in cerca dei loro familiari. Sono madri, mogli, sorelle delle migliaia di desaparecidos trucidati dal regime di Pinochet. Sono figure tragiche di una tragica pagina della nostra storia recente. Quasi delle Antigoni al contrario, impegnate nella riesumazione di brandelli di corpi, nel tentativo di ridar loro dignità e memoria cancellate dalla dittatura militare. A raccontarci di loro è lo straordinario 'Nostalgia de la luz', il nuovo film di uno dei grandi nomi internazionali del cinema del reale: il cileno Patricio Guzman, sbarcato ieri a Cannes, fuori concorso, per presentare questo nuovo tassello del suo complesso lavoro sulla storia del Cile, avviato alla fine dei Sessanta seguendo il 'sogno' di Salvador Allende. La sua 'ossessione' per la memoria stavolta prende forma attraverso un percorso inedito ed affascinante, dal respiro filosofico che mette insieme la ricerca degli astronomi con quello degli archeologi.
Gabriella Gallozzi, L'unità', 14/5/ 2010

Critica (2):Ancora oggi in Cile, nello sperduto deserto di Atacama, ci sono delle donne che raschiano la terra con le pale in cerca dei loro familiari. Sono madri, mogli, sorelle delle migliaia di desaparecidos trucidati dal regime di Pinochet. Sono figure tragiche di una tragica pagina della nostra storia recente. Quasi delle Antigoni al contrario, impegnate nella riesumazione di brandelli di corpi, nel tentativo di ridar loro dignità e memoria cancellate dalla dittatura militare. A raccontarci di loro è lo straordinario 'Nostalgia de la luz', il nuovo film di uno dei grandi nomi internazionali del cinema del reale: il cileno Patricio Guzman, sbarcato ieri a Cannes, fuori concorso, per presentare questo nuovo tassello del suo complesso lavoro sulla storia del Cile, avviato alla fine dei Sessanta seguendo il 'sogno' di Salvador Allende. La sua 'ossessione' per la memoria stavolta prende forma attraverso un percorso inedito ed affascinante, dal respiro filosofico che mette insieme la ricerca degli astronomi con quello degli archeologi.
Gabriella Gallozzi, L'unità', 14/5/ 2010

Critica (3):Nostalgia, una parola che ci accompagna fin dall'inizio della nostra storia su questo pianeta, indica uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per una lontananza da persone care, da luoghi o da eventi di un passato che si vorrebbe rivivere. Senza la luce poi non potrebbe esistere né passato, né presente, né futuro; è solo la sua esistenza che ci consente di vivere e percepire il tempo. Patricio Guzmàn, uno dei grandi rappresentanti del "cinema del reale", con questo suo documentario compie un viaggio nostalgico attraverso vari tipi di passato, alcuni più prossimi, altri molto distanti, alcuni più affascinanti, altri più dolorosi, il tutto osservato da punti di vista solo apparentemente lontani e forse anche difformi, ma che hanno come minimo comune denominatore il luogo in cui convergono: il deserto di Atacama in Cile. Si tratta di un altopiano desertico a oltre tremila metri di altezza dove l'umidità è quasi assente e perciò la notte il cielo è il più terso della Terra, e quindi sede privilegiata di osservatori astronomici. Un luogo dove si rinvengono ancora mummie precolombiane perfettamente conservate, dove vi sono resti archeologici di siti minerari e ricordi dell'orrore della dittatura di Pinochet che ha lasciato dietro di sé tracce dolorose come campi di prigionia e resti umani a cui ancora oggi madri pietose cercano di dare dignitosa sepoltura. La bellezza del cielo stellato, delle galassie, si mescola con l'orrore di resti umani soprav-
vissuti al deserto. Sono tutte tracce del passato perché anche la luce che arriva dalle stelle, come ci racconta un astronomo, parla di un passato remoto, commisurato al tempo che la luce ci ha messo per percorrere quelle distanze.
Senza soluzione di continuità, attraverso metafore emozionanti, senza strappi narrativi e con profonda naturalezza, Guzmàn ci conduce tra i ricordi di chi ha vissuto e lasciato memoria degli orrori dei campi di concentramento e i racconti degli astronomi. Gli osservatori e i campi di prigionia, gli uni accanto agli altri, sono testimoni di due grandi passioni del popolo cileno, l'astronomia e la politica; se la prima, però, ha sempre provocato una meravigliosa serenità, la seconda è stata invece pagata a caro prezzo. Nell'affresco umano che ci consegna Guzmàn, emergono la pacata competenza del giovane astronomo Guzmàn, Vittoria e Violeta, madri che non si arrendono nella ricerca neppure sotto un sole arrabbiato, Miguel, l'architetto che con i suoi disegni in bianco e nero da novello Piranesi ci consegna il ricordo degli orrori del lager, e infine Valentina, la giovane astronoma che cerca nelle stelle la verità sulla fine dei suoi giovani genitori rapiti e svaniti nel nulla. E una di quel-le donne che ancora oggi cercano i resti del figlio rapito, riempie il cuore di commozione quando dice «Vorrei che questi telescopi si potessero rivolgere contro la Terra per scoprire cosa c'è sotto». Un lavoro straordinario che esalta ancor di più la dignità del cinema del reale, e che dovrebbe essere rivisto almeno quattro volte dai rampanti registi italiani che realizzano documentari genuini come una banconota da due curo, per illuminarli sulla differenza che esiste tra cinema che emoziona e cinema di bella immagine.
Fabrizio Liberti, Cineforum n.495, 6/2010

Critica (4):
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