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Mia vita da Zucchina (La) - Ma vie de courgette


Regia:Barras Claude

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo "Autobiografia di una zucchina" di Gilles Paris; sceneggiatura: Céline Sciamma, Germano Zullo, Claude Barras, Morgan Navarro; fotografia: David Toutevoix; musiche: Sophie Hunger; montaggio: Valentin Rotelli; scenografia: Ludovic Chemarin, costumi: Vanessa Riera, Christel Grandchamp; produzione: Rita Productions-Blue Spirit Productions-Gebeka Films-Knm, in coproduzione con Rhône-Alpes Cinéma-Radio Télévision Suisse And Ss R Srg-France 3 Cinema-Helium Films; distribuzione: Teodora Film; origine: Francia-Svizzera, 2016; durata: 66'.

Trama:Zucchina è il soprannome di un bambino di 9 anni, la cui storia, sebbene singolare, è in realtà sorprendentemente universale. Dopo la morte improvvisa di sua madre, Zucchina fa amicizia con un agente di polizia gentile, Raymond, che lo accompagna in una casa famiglia, dove risiedono altri orfani della sua età. In un primo momento, Zucchina dovrà lottare per trovare il proprio posto in questo strano, e a volte ostile, ambiente. Tuttavia, con l'aiuto di Raymond e dei nuovi amici, Zucchina imparerà ad avere fiducia, troverà il vero amore e, finalmente, una nuova famiglia.

Critica (1):E anche quest’anno la Teodora di Vieri Razzini se ne va dal Festival di Cannes con un gioiellino presentato alla Quinzaine des Réalisateurs. Stavolta tocca a Ma vie de courgette (La mia vita da zucchina), film d’animazione in stop-motion diretto da Claude Barras e scritto da Céline Sciamma (sì, la regista di Tomboy e Diamante nero), autrice che ancora una volta dimostra di saperci fare, e come, quando si tratta di “inventare” storie con personaggi non ancora adulti. Nel caso specifico, il protagonista ha appena 9 anni: Icare all’anagrafe, ma soprannominato Courgette, trascorre le sue giornate in soffitta a disegnare il papà (andato via chissà quando) su fogli e aquiloni, oltre a costruire improbabili piramidi con le lattine di birra svuotate a ripetizione dalla mamma. Orfano di lì a poco, Corguette viene accompagnato da un bonario poliziotto in quella che sarà la sua nuova casa, un orfanotrofio. Dove grazie all’amicizia di un gruppo di bambini riuscirà a superare ogni difficoltà, trovando infine una nuova famiglia.
Certe volte basta davvero poco (66 minuti) per uscire rinfrancati da una visione. E’ sufficiente la grazia e la dolcezza, quel giusto tocco di umorismo con cui provare ad affrontare un tema tutt’altro che semplice, assai delicato, come quello dell’infanzia negata. Neanche serve affidarsi a chissà quale volto o corpo capace di sfondare lo schermo: basta disegnare dei fondali minimal, costruire due tre set in miniatura e lasciare alla magia creata da un manipolo di pupazzetti in plastilina il compito di parlare al cuore. Tratto dal romanzo Autobiographie d’une courgette di Gilles Paris, il film mantiene inalterata la dimensione della favola ma non si nasconde dietro facili ipocrisie, lasciando proprio ai bambini protagonisti il compito più doloroso, quello di raccontarsi (e raccontarci) come e perché sono finiti in quell’orfanotrofio, luogo però tanto colorato quanto felice. Chi perché figlio di genitori drogati, chi perché vittima di abusi sessuali, chi perché orfana dopo che il padre ha ucciso la madre, uccidendosi poi a sua volta, chi perché figlio di immigrati costretti al rimpatrio.
C’è tutto quello che viviamo nei nostri giorni di dolori e silenzi quotidiani, di famiglie disgregate e ragazzini allo sbando. E c’è anche un accenno al bullismo, fenomeno che però dopo poco finisce per trasformarsi in altro, lasciando all’amicizia profonda il compito di sedimentarsi, chissà forse per sempre. E c’è, infine, anche lo sguardo di speranza nei confronti di un mondo, quello degli adulti, ancora capace di chinarsi ad altezza bambino. Di prendersi carico di una responsabilità, quella del vero affetto, troppo spesso sepolta sotto cumuli di banalità e sporcizia. E allora sì, finalmente, ci si potrà stupire di piangere per qualcosa di bello. E ricominciare a credere che lì fuori splenda il sole: “Et tout ira bien là / Le vent nous portera”.
Valerio Sammarco, cinematografo.it – La rivista del cinematografo, 15/5/2016

"La sceneggiatura (...) è di Celine Sciamma, e il suo tocco si sente. Come pochi infatti la regista di Diamante nero sa trovare i giusti equilibri narrativi parlando di ragazzini e adolescenti, in più qui soli e traumatizzati, senza retorica del sentimentalismo. Si ride tantissimo e ci si commuove seguendo le giornate di Courgette (...). Quello che (...) sia Barras che Sciamma fanno è cercare di allontanarsi il più possibile dagli stereotipi che spesso circondano un soggetto come questo. Non siamo in una fiaba che Sciamma definisce «troppo crudele» e nemmeno in uno di quegli orfanotrofi dickensiani di atrocità. (...) Al centro ci sono sempre loro, Courgette e gli altri, nei momenti quotidiani, nelle stanzette, nei sogni, nei desideri sotto al cielo stellato per il futuro. Le emozioni, gli imbarazzi, le confidenze, le mani che si sfiorano nel pullman. Sono bimbi nonostante tutto, e i loro sogni sono come quelli di tanti altri e questo film a altezza di bambino ce li rende estremamente «veri».
Cristina Piccino, il manifesto, 22/5/2016

Critica (2):Ancora inquietudini, stavolta nella fase preadolescenziale. Forse Ma vie de Courgette sarebbe potuto essere un altro film diretto da Céline Sciamma; qui è autrice della sceneggiatura ma il suo mondo è tutto presente, soprattutto nel modo in cui lascia vivere ogni esperienza come continua scoperta. Courgette è un bambino di nove anni che va a vivere in una casa famiglia dopo la morte della madre. Nonostante le difficoltà iniziali, riesce gradualmente ad ambientarsi, e la sua vita cambia quando conosce Camille, una ragazzina di dieci anni appena arrivata. L'animazione francese, grazie alla mano di Claude Barras – qui al suo primo lungometraggio – e all'onnipresente "spettro nascosto"della Sciammo, mostra segni di grandissima vitalità, in questo film in stop motion dove i personaggi sembrano veri, reali, come quelli in performing capture del cinema di Robert Zemeckis. Tratto da Autobiografie d'une Courgette, appare una strana ma anche grandiosa sintesi tra la Pixar e Charles Dickens. Le nuvole in cielo in apertura potrebbero rappresentare un fantastico viaggio, stavolta sensoriale, sulla stessa linea di Up, ma sono anche un chiaro segno del termometro emotivo di Courgette e i suoi amici così come è rappresentato nel "Metéo des enfants".
Studiatissimo nel dettaglio, contiene nella sua anima un potenziale mélo in ogni scena, dal ritorno di Courgette a casa al modo in cui i bambini guardano una madre che bacia un figlio. E ogni personaggio è curatissimo nel dettaglio. In ognuno dei bambini (tra cui anche il boss Simon) sembra prendere forma tutta la storia della loro vita. La stessa figura del poliziotto che si prende cura del protagonista è la variazione di un film sulla solitudine, che sembra mostrare tutti i diversi stati d'animo come Inside Out e parla di amore, morte, abbandono e riscatto. Un altro diamante grezzo, dove degli occhi forse troppo grandi guardano sul mondo, capaci di rubare anche più dettagli di quelli di un normale occhio umano, continuamente volti sulla "vita degli altri" oltre che su quella propria, che sembrano uscire adai ricorrenti piani fissi e trasformarsi in un anomalo e, per questo, ancora più debordante, cartoon fantascientifico sui sentimenti. Perché qui non c'è nessun filtro tra quello che provano i personaggi e quello che dicono, quasi confessioni epistolari di figure che viaggiano come se fossero dei libri aperti. Una delle più belle rivelazioni del Festival di Cannes di quest'anno, un film che riesce a volare "al di là delle nuvole".
Simone Emiliani, Cineforum n. 555, 6/2016

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