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Sguardo di Orson Welles (Lo) - Eyes of Orson Welles (The)


Regia:Cousin Mark

Cast e credits:
Sceneggiatura e fotografia: Mark Cousin; montaggio: Timo Langer; musica: Matt Regan; suono: Ali Murray; produzione: Bofa in associazione con BBC e Filmstruck; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Gran Bretagna, 2017; durata: 110’.

Trama:“Solo una persona può decidere il mio destino - e quella persona sono io.” Con questa fermezza si presentava Charles Foster Kane, indimenticabile protagonista di Quarto Potere, il film che nel 1941 sconvolse il mondo del cinema. Molti anni dopo, le stesse parole sembrano riecheggiare dietro al suo regista, sempre pronte a indicargli la via. Grazie all’accesso esclusivo al materiale privato di Orson Welles, Mark Cousins indaga una leggenda: attraverso i suoi occhi, disegnato con le sue mani, dipinto con i suoi pennelli. Prodotto da Michael Moore, "The Eyes of Orson Welles" riscopre uno dei più brillanti autori del Ventesimo secolo e esplora come il suo genio, trent’anni dopo la sua morte, risplenda ancora oggi nell’era di Trump.

Critica (1):Primo titolo del concorso internazionale del Biografilm Festival 2018 è The Eyes of Orson Welles, reduce dalla presentazione nella sezione Cannes Classics dell’ultimo Festival di Cannes, dove ha ottenuto una menzione speciale della giuria. Prodotto tra gli altri anche da Michael Moore, il documentario è diretto dal regista e scrittore nordirlandese Mark Cousins (The Story of Film: An Odyssey) che ha accolto la richiesta della terza figlia di Orson Welles – Beatrice, che vediamo nel film – di realizzare un nuovo lavoro sul padre, partendo dalla consultazione degli schizzi e dei disegni del grande filmmaker, conservati gelosamente in una stanza termostatica a New York.
Uno scrigno di segreti a cui Cousins ha accesso esclusivo e da cui si dipana il documentario, che punta a tracciare un inedito punto di vista sull’immaginazione, il processo creativo e la personalità di Orson Welles. Come vedeva il mondo il cineasta di Kenosha? Come viveva l’amore con le donne della sua vita, l’attivismo politico in difesa delle minoranze trasmessogli dalla madre, le ossessioni tematiche e poi visive del suo percorso artistico, migrato felicemente dalla radio al teatro (celebre il suo Voodoo Macbeth) e infine al grande schermo? Inediti ritratti, storyboard e scenografie di film ma anche schizzi personali, cartoline e illustrazioni private indirizzate ai suoi cari: un patrimonio grafico – accumulato nel corso della vita sin dagli anni dell’adolescenza – che letteralmente si anima in The Eyes of Orson Welles di fronte allo spettatore, il quale è invitato a esplorare le connessioni tra queste linee, la contrastata e contraddittoria dimensione interiore dell’attore-regista e il suo corpus di opere per riscoprirle e rivalutarle in uno scenario attuale in incessante cambiamento – a livello geo-politico, economico e cinematografico – in cui lo sguardo di Orson Welles sarebbe stato ancora tremendamente attuale e incisivo.
Appesantito dalla costante voice over di Mark Cousins, che imbastisce di fatto una lettera d’amore al genio di Welles – immaginandone persino un’ipotetica risposta – il documentario non sempre riesce a collegare bene tra loro i capitoli e i molti argomenti affrontati, ma ha il merito di fornire una chiave di lettura inedita e accessibile, riaccendendo i riflettori sulla complessità del cineasta, una complessità ancora lontana dall’essere pienamente decifrata. (…)
whipart.it/biografilmfestival

Critica (2):Il documentario combina una serie di tecniche per raccontare la storia. Come si è visto nei suoi precedenti film (…) Cousins include se stesso per mettere in scena il mondo in cui si cimenta. C’è anche una narrazione, materiale d’archivio e un’intervista a Beatrice Welles, ma soprattutto c’è l’ombra del regista che molti hanno definito il più grande della storia del cinema. Il film inizia con Cousins che si chiede come Welles avrebbe visto il mondo digitale in cui viviamo oggi. Pensa che Welles si sarebbe divertito. Successivamente Cousins sposta la sua videocamera verso il cielo per guardare il panorama di New York e i suoi immensi edifici, simboli di potere. Crea un collegamento con le angolazioni della videocamera preferite dal regista come se provenisse dalla parole del film, ma questo è solo perché Cousins ci trascina in una storia che vuole raccontare, dandoci un momento per capire fino in fondo quello che già sappiamo prima di fare una rivalutazione.
Gli schizzi e i disegni, presi da un caveau a New York e portati in Scozia dal regista, improvvisamente trasformano il film in qualcosa di abbastanza diverso. L’inconscio esce allo scoperto. All’inizio, i disegni sembrano essere strani, dei modi per tuffarsi nelle storie sul lavoro di Welles sui diritti umani che Couins contestualizza nel mondo di Trump. Emerge che Welles era un uomo piuttosto integro quando si trattava di aiutare il prossimo. Poi Cousins osserva alcune manie di Welles nella sua vita e nelle sue relazioni, ma invece di avere un approccio scandalistico, prova a chiedere come il suo personaggio vedeva l’amore. Cousins è meno interessato al “cosa” e più interessato al “perché”, ed è per questo che i disegni sono prova di uno strumento indispensabile – una finestra sull'inconscio.
C’è a malapena un accenno a Quarto potere, poiché le bozze forniscono a Cousins nuove idee su alcuni lavori meno conosciuti di Welles, come Mr. Arkadin (1955) e il suo adattamento di Macbeth (1948), in cui regista ha recitato il ruolo da protagonista. Si tratta di film che a malapena vengono citati nei dibattiti sul lavoro di Welles, ma Cousins dimostra come la natura tagliente e frammentata di questi film siano specchi per il modo in cui il rinomato regista ha osservato il mondo visivo. È tutto bloccato dalla florida prosa di Cousins, che sembra raccontarci la più emozionante favola della buonanotte di tutti i tempi. È un film incredibile che soddisferà quelli più informati sul corpus di Welles oltre quelli che cercano un lavoro unico e accessibile.
cineuropa.org

Critica (3):

Critica (4):
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