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Io sono Li


Regia:Segre Andrea

Cast e credits:
Soggetto: Andrea Segre; sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Sara Zavarise; musiche originali: François Couturier; organizzatore generale: Nicola Rosada; suono in presa diretta: Alessandro Zanon; scenografia: Leonardo Scarpa; aiuto regia: Cinzia Castania; interpreti: Zhao Tao (Shun Li), Rade Sherbedgia (Bepi, il poeta), Giuseppe Battisto (Devis), Marco Paolini (Coppe), Roberto Citran (Avvocato), Giordano Bacci, Spartaco Mainardi, Zhong Cheng, Wang Yuan, Amleto Voltolina, Andrea Pennacchi, Wu Guo Quiang, Sara Perini, Federico Hu; prodotto da: Francesco Bonsembiante, Jolefilm (Italy) in coproduzione con Francesca Feder, Æternam films (France) in collaborazione con Rai Cinema, in coproduzione con Arte France Cinéma; origine: Francia, Italia, 2011.

Trama:Shun Li lavora in un laboratorio tessile della periferia romana per ottenere i documenti e riuscire a far venire in Italia suo figlio di otto anni. All’improvviso viene trasferita a Chioggia, una piccola città-isola della laguna veneta per lavorare come barista in un’osteria. Bepi, pescatore di origini slave, soprannominato dagli amici “il Poeta”, da anni frequenta quella piccola osteria. Il loro incontro è una fuga poetica dalla solitudine, un dialogo silenzioso tra culture diverse, ma non più lontane. È un viaggio nel cuore profondo di una laguna, che sa essere madre e culla di identità mai immobili. Ma l’amicizia tra Shun Li e Bepi turba le due comunità, quella cinese e quella chioggiotta, che ostacolano questo nuovo viaggio, di cui forse hanno semplicemente ancora troppa paura.

Critica (1):Stupisce il, tono del film, ne restiamo sbalorditi: Io sono Li di Andrea Segre era alle Giornate degli Autori a Venezia accolto più che calorosamente come se l’affettuosità riposta nel film il pubblico la restituisse all’autore.
Pensavamo alla durezza implacabile documentari del regista, coraggioso e imperterrito nel seguire la sua pista fino a mettere le istituzioni di fronte alle loro responsabilità: così erano stati A sud di Lampedusa, Come un uomo sulla terra, firmato con Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene, sugli attraversamenti del deserto dall’Etiopia alla Libia dei migranti, Il sangue verde girato a Rosarno.
Invece la tenera storia di Li piccola donna cinese che fa la barista a Chioggia prende i toni morbidi della laguna e sembra una favola: Shun Li esce dal suo isolamento culturale e intesse rapporti di amicizia con gli avventori, in particolare con uno di loro, straniero come lei, anche se gli amici lo prendono in giro perché viene dalla Jugoslavia, ma si trova a Chioggia ormai da una vita ed è uno di loro, tanto che lo chiamano Bepi. Per interpretarlo Segre ha scelto il grande attore Rade Serbedzija (da Grlic, Tadic, Makaveiev, Paskalievic e Harry Potter e Batman), autentico poeta autore di indimenticabili poesie sulla guerra (nel film si schernisce perchè compone “solo rime”, allusione che non sfuggirà ai suoi lettori e del resto il titolo internazionale del film è Li and the poet). Anche in questo caso la rudezza dei suoi ruoli consueti si smorza in una dolcezza protettiva nei confronti della piccola donna che ha il filglio lontano. Grande attrice anche lei, Zhao Tao, protagonista degli ultimi cinque film di Jia Zhang-ke, tra cui Still life, Leone d’Oro alla 63° Mostra di Venezia. Segre diceva che il film ha acquistato nuova vita al contatto con il pubblico e si può dire che acquisti anche nova forza nel ricordo perché emerge tutta l’amarezza dal racconto che a una prima visione sembra smorzata dalla grande atmosfera conviviale del film, popolato dalle presenze dirompenti di Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Roberto Citran. Segre, veneto, orchestra alla perfezione l’atmosfera divertente, ma non sempre limpida di un, bar, dove dalle battute si può passare allo scherzo, alla frecciata e poi all’offesa.
Soprattutto se al banco non c’è più la vecchia proprietria a cui non bisognava spiegare cos’è un’ombra o uno spritz, ma una cinese che forse non sa fare neanche un caffè. Nell’euforica baldoria del bar emerge la realtà che di schiavitù si tratta, perché Li è tenuta legata al lavoro dai suoi capi, come le sue compagne, con il divieto assoluto di familirizzare con gli stranieri e tanto meno lasciarsi andare a rapporti più stretti. E nel silenzio di bepi filtra qualcosa di più dell’amarezza del passato. mentre intorno la fotografia di Luca Bigazzi (sua la fotografia anche dei documentari di Segre) scopre sorprendenti possibilità e prospettive, come quelle fra popoli tanto lontani.
(Silvana Silvestri, il manifesto, 24/09/2011)

Critica (2):Andrea Segre da anni ci racconta “lo straniero”, uomini e donne esclusi da un sistema che li sfrutta senza neanche guardarli, capirli. Siano essi africani o semplicemente di un quartiere satellite come Ponte di Nona. Dopo lo splendido e durissimo Come un uomo sulla terra, dopo il periferico e acuto Magari le cose cambiano e l’instant-doc Il sangue verde, questo giovane regista fa il grande salto e con Io sono Li, presentato in anteprima alle ultime Giornate degli Autori di Venezia, ci regala uno dei più bei lungometraggi di finzione italiani degli ultimi anni. Una storia d’amore tra due stranieri, in un’Italia ottusa, in cui lo sguardo di Segre, originale e potente, sottolinea il razzismo meschino degli “italiani brava gente”. E in un mondo che dal terrore dei cinesi è passato a vederli come salvatori, lo sguardo di Zhao Tao, la dolente protagonista femminile, può dirci davvero molto. Un’opera profonda che ti entra dentro, anche grazie all’ottimo cast e alla magistrale fotografia di Luca Bigazzi. E che potremo vedere nelle sale già il 23 settembre, in 30 copie.
Andrea, come nasce Io sono Li?
Nell’osteria Paradiso dove abbiamo realizzato il film, cinque anni fa ho incontrato la “vera” Shun Li. Una donna cinese che da un giorno all’altro s’è trovata dietro il bancone di una delle più vecchie osterie per pescatori di Chioggia. Tutto era uguale
a prima, ma lì ora non c’era più la Maria, ma Shun Li. Allora la fantasia ha iniziato a viaggiare, mi sono chiesto cosa potesse succedere dopo quell’incontro tra un mondo solo apparentemente così solido nella sua tradizione e uno così nuovo ma comunque in crisi. Ho scritto il soggetto, che ha vinto il primo premio a New Cine Network al festival di Roma nel 2008 ed è iniziata l’avventura produttiva insieme a Bonsembiante della JoleFim. Fondamentale è stato l’incontro con Zhao Tao, l’attrice cinese che da sempre avevo immaginato nel ruolo di Shun Li. Quando ha visitato l’osteria, abbiamo capito che ce l’avremmo fatta.
Ha fotografato un sentimento anticinese presente da anni in Italia. Ora Tremonti e Romiti invitano i cinesi stessi a investire nel nostro paese. Che ne pensa?
Nel film ci sono tre passaggi storici della presenza cinese in Italia, o almeno queste erano le mie intenzioni. Le comunità chiuse e isolate dei laboratori tessili nelle periferie urbane, i gruppi imprenditoriali che rilevano le attività commerciali italiane in provincia e infine l’enorme centro Ingros di Padova, simbolo del successo economico della penetrazione economica cinese in Italia e in Europa. Preparando il film ho letto vari testi sullo sviluppo cinese negli ultimi dieci anni ed è davvero incredibile ciò che è successo: il ruolo della Cina nell’immaginario globale, ed europeo in particolare, è cambiato totalmente in pochissimi anni. Chi come Bepi (Rade Serbedzija) avrà il coraggio di capire se stesso e la propria decadenza ascoltando la cultura cinese, e la sua crisi identitaria, non rimarrà nelle paludi inutili di facili xenofobie e non si sottrarrà al confronto, usando le parole dell’Avvocato (Roberto Citran), con questo nuovo impero.
Ha fatto, quindi, una ricerca approfondita sull’immigrazione cinese. Cosa ha scoperto?
Io vivo tra Pigneto e Torpignattara a Roma, due quartieri ad altissima presenza cinese. Il casting iniziale, insieme a Jorgelina De Petris, l’ho fatto proprio lì ed è stata anche l’occasione di conoscere la comunità. Parallelamente ho letto alcuni testi e alcune tesi di laurea sia sulla cultura cinese in generale sia sulle comunità cinesi in Italia. Utili sono stati anche alcuni documentari prodotti proprio negli ultimi anni in Italia sul tema (tra tutti Miss Little China e Giallo a Milano). Il meccanismo della “notizia” che racconto nel film l’ho invece capito grazie agli studi di un mio collega di dottorato all’Università di Padova e non è molto diverso da quello di molte altre comunità di migranti. Mi ha fatto piacere scoprire, poi, che la stabile presenza di una immigrazione cinese di seconda generazione sta finalmente erodendo la famosa chiusura di questa comunità.
Con il suo lavoro è diventato un osservatore privilegiato dei flussi migratori Che riflessioni ha tratto dall’analisi di questo fenomeno?
Sarò molto sintetico: ci hanno convinti che esista il problema immigrazione, mentre il problema è la differenza di diritti. C’è chi nel mondo può andare dove e come vuole e chi no, ed è deciso in base alla nascita, non in base a meriti. Quindi è un’ingiustizia, contro cui come regista posso fare una cosa sola: dare voce a chi non ha questo diritto, per rendere consapevole chi invece lo ha.
Il fil rouge del Festival di Venezia quest’anno, contando anche l’alieno cinese dei Manetti Bros, è stato l’immigrazione. Che segnale è secondo lei?
Stiamo cercando di raccontarci tramite uno sguardo altro. Questo sta rivoluzionando il cinema italiano che fino ad oggi era conosciuto nel mondo per le sue forti caratteristiche “indigene”: spaghetti, Trastevere, Napoli, il mare, i. pescatori, la mamma, gli operai della Fiat. Questo mondo non esiste più; è più complesso e ha nuove figure. Il cinema se ne è accorto e lo racconta. Trovo incredibile che alcuni diano colpa al cinema di questo. Forse hanno paura che così potremmo diventare meno riconoscibili e vendibili?
Proseguirà sulla difficile strada percorsa finora? A cosa sta lavorando?
A un documentario di denuncia che ricostruisce le vicende dei respingimenti in mare all’epoca dell’alleanza Gheddafi-Berlusconi. Ho intervistato alcuni profughi eritrei e somali al confine tra Tunisia e Libia e nei centri di accoglienza in Italia. È un pezzo di storia che non può, non deve essere cancellato ora che Gheddafi è diventato un nemico. E nel frattempo scrivo nuove idee per nuovi film...
(Boris Sollazzo, Liberazione, 18/09/2011)

Critica (3):

Critica (4):
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