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Inseparabili - Dead Ringers


Regia:Cronenberg David

Cast e credits:
Sceneggiatura
: David Cronenberg, Norman Snider, dal libro Twins di Bari Wood e Jack Geasland; fotografia: Peter Suschitzky; montaggio: Ronald Sanders; musica: Howard Shore; production design: Carol Spier; interpreti: Jeremy Irons (Elliott e Beverly Mantle), Geneviève Bujold (Claire Niveau), Heidi von Palleske (Cary), Barbara Gordon (Danuta), Shirley Douglas (Laura), Stephen Lack (Anders Wolleck), Nick Nichols (Leo), Lynn Cormack (Arlene), Damir Andrei (Birchall), Miriam Newhouse (Mrs. Bookman); produzione: Mantle Clinic II Ltd, in associazione con Morgan Creek Productions Inc. e con la partecipazione di Telefilm Canada; origine: Canada, 1988; durata: 115’.

Trama:Elliot e Beverley Mantle, sono gemelli, praticametne uguali fisicamente, legatissimi fra loro, ambedue i ginecologi. Elliot è spregiudicato, impenitente donnaiolo; Beverley, è mite, dotato nelle ricerche e dominato dalla figura del fratello.
Quando alla clinica si presenta Claire, attrice, ninfomane dichiarata, affetta da una rarissima anomalia anatomica, questa diviene amante di Elliot e quindi anche di Beverley, ma senza accorgersi del cambio. Ma Beverley si innamora e quando la storia finisce si ritrova alle prese con la droga.

Critica (1):(…) di Inseparabili si è parlato come del film che segna l’abbandono da parte di Cronenberg degli effetti speciali e soprattutto del film dell’orrore (Evidentemente non tutti hanno visto La zona morta). (...) Pur modificando sensibilmente alcune delle sue coordinate estetiche, il regista di Toronto rimane ancorato a quei temi che conosciamo e che lo hanno reso famoso. Anzi, Inseparabili, da questo punto di vista, non cambia una virgola. Ancora una volta, siamo di fronte a un universo popolato di mutanti, per i quali processi mentali diventano processi fisici, diventano carne. Cronenberg continua a rappresentare il conflitto tra la mente e il corpo, scolpendolo nella carne dei suoi antieroi. Una volta di più – e Inseparabili ne è affermazione quasi brutale nella sua perentorietà – è impossibile individuare orizzonte o limite o possibilità che non sia carne anche esso. Beverly, tentando la separazione impossibile dal fratello, giunge a quella che François Ramasse definisce “la chair dans l’âme”. Il corpo con la sua materialità è sempre l’epicentro della drammaturgia cronenberghiana (in questo senso, tutti i corpi dei suoi film sono corpi-set). Inseparabili è contemporaneamente la fine di un percorso e l’inizio di un altro. Di primo acchito, il film sembrerebbe un tentativo di sistematizzazione delle ossessioni del suo autore in un racconto che abbia la fredda e implacabile precisione di un teorema. In questo modo, il suo lirismo biologico ha scansioni inedite. L’ambiguità del corpo diventa tout-court ambiguità della percezione. Altre volte, Cronenberg si era confrontato con questo aspetto della sua problematica, ma nell’impossibilità di distinguere i gemelli Mantle, questa ha una dimostrazione dall’efficacia inesorabile. Il rifiuto del gore indica non un allontanarsi dalla platealità che i detrattori del regista gli rimproverano, quanto l’avvicinarsi di/a una frontiera (estetica, tematica) ancora ampiamente sconosciuta. La scrittura filmica cronenberghiana esaspera, ulteriormente, la verticalità tipica dei film precedenti. Questa risiede nella chiusura degli ambienti (mai così accurati in un film di Cronenberg) sui protagonisti (anche questo espediente ha nuovi significati in Inseparabili, rispetto agli altri film). Questi, con i loro colori da acquario, orchestrati in maniera formidabile da Peter Sushitzky (Mark Irwin era impegnato sul set di The Blob di Chuck Russel) rispecchiano la chiusura amniotica del mondo dei Mantle, isolati totalmente nella loro unione. Questo aspetto costituisce l’atmosfera globale del film in cui i due sono continuamente sottoposti al riflesso di sé. Questo riflesso è il loro mondo. Tutta la loro esistenza è costruita come un sistema di difesa da eventuali ultracorpi. Il timore di esserne invasi è denunciato sin dai titoli di testa, dove compaiono strumenti chirurgici e tavole anatomiche medievali. Questi sono rappresentativi della natura stessa del cinema di Cronenberg regista/chirurgo/scultore, che opera sui corpi mutanti. La cupa follia di Beverly, che trascina Elliott in un vortice autodistruttivo, non è altro che il delirio di una mente scientifica dinanzi alla consapevolezza che “le verità sono illusioni delle quali si è dimenticato che sono tali” (Nietzsche). La chiusura dello spazio nel quale si muovono i due fratelli, la sua lucida organizzazione geometrica, i colori gelidi del loro appartamento, sono indicativi di questa condizione. Inseparabili porta a compimento la ricerca creativa sugli ambienti, iniziata con La mosca. In quest’ultimo film, la casa/laboratorio di Brundle s’opponeva alla freddezza dell’ufficio di Borans. Ma un altro tratto accomuna i due film: Brundle condivide con i Mantle il desiderio di superare la dualità che lo abita. Per questo motivo, il finale di Inseparabili sprigiona una inaudita carica d’angoscia: non è possibile ricostituire l’unione precedente il principio d’individuazione e non è dato vivere la separazione. Se Inseparabili pareva annunciare una soluzione ai dilemmi cronenberghiani, questa si ferma davanti all’ineluttabilità della carne. Di fronte questa, Beverly perde la ragione. L’utero mutante di Claire (e la relazione con questa che egli non riesce a vivere, sospeso com’è tra suo fratello e l’attrice) lo portano a concepire gli strumenti per intervenire sui corpi mutanti (ossia che non comprende più). Ancora una volta, il corpo traduce i segni della realtà in forme mutanti. “Le pazienti sono sempre più strane. All’esterno sembrano a posto, ma dentro sono deformi e io devo adeguarmi in qualche modo. Ci vuole una tecnologia assolutamente radicale”. Questi strumenti, che ricordano attrezzi medievali di tortura, diventano un elemento estensivo del desiderio di controllo e/o manipolazione della carne. In definitiva, volontà di dominio sul corpo, vettore primario di dis/ordine. (...) (...) Se la trasformazione/trasmutazione a vista è un tentativo di rappresentazione dell’altro nella sua radicale diversità, Inseparabili ne afferma l’impossibilità, a partire dall’incapacità dei gemelli di stabilire chi e/o cos’è l’altro se il nostro codice genetico sopravanza la ragione nel lavoro di definizione della nostra individualità (fisica e mentale). Da qui il sospetto che il corpo avrà, d’ora innanzi, un valore diverso nel cinema di Cronenberg. In questo cupo melodramma, lo show-down finale, tipico di quasi tutti i film del regista, ossia l’esplosione della carne che sola ne può fermare il processo di transmutazione, è rimandato continuamente: il corpo e la sua lacerazione ci sono sottratti. Il movimento a spirale del racconto approda al vuoto. L’anticlimax di Inseparabili procede per percorsi che sembrano presagire una circolarità continuamente disattesa. Quello che sembrava essere un teorema è, in effetti, un interrogativo sul quale cala il silenzio della tragedia. Di fronte ad essa Cronenberg ritira il suo sguardo. La morte riguadagna lo spazio del vuoto. Il regista di Toronto, che ci aveva mostrato the unshowable, si affida alla sospensione. Lo smarrimento, tipico dei film di Cronenberg, assume qui un carattere definitivo che l’abbraccio mortale dei due fratelli non fa che ampliare. La disperazione in Inseparabili è totale. E la morte non è liberatoria (come in La zona morta), non rimanda ad alcuna possibilità di mutazione ulteriore (come Scanners e Videodrome). Il corpo, che non può essere utilizzato per la rappresentazione dell’altro, si ritira davanti allo sguardo. Cronenberg, profeta del cinema antilewtoniano, radicalizza il suo discorso sul corpo e contemporaneamente lo sposta in avanti, in un territorio le cui coordinate sono ancora da scoprire.
Giona Antonio Nazzaro, Cinemasessanta n. 4, 1993

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
David Cronenberg
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