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Caso (Il) - Przypadek


Regia:Kieslowski Krzysztof

Cast e credits:
Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia: Krzysztof Pakulski; suono: Michal Zarnecki; interpreti: Boguslaw Linda (Witek), Tadeus Lomnicki (Werner), Boguslawa Pawelec (Czuszka), Zbigniew Zapasiewicz (Adam), Jacek Borkowski (Marek), Adam Ferency (il prete), Jacek Sas-Uchrinowski (Daniel), Marzena Trybala (Werka), Irena Burska (la zia), Monika Gozdzig (Olga), Zbigniew Heubner (il dekano); produzione: TOR; distribuzione: Cooperativa Lab 80 Film; origine: Polonia, 1981; durata: 112'.

Trama:Il film si apre con un incidente aereo in cui perde la vita un giovane uomo (più tardi verremo a sapere che a morire sarà Witek, per "un caso" della sua vita). Seguono poi le scene, rapide e confuse, girate in un ospedale mentre vengono ricoverati dei feriti gravi, ricoperti di sangue. Che si tratti della nascita di Witek, del giorno in cui sua madre, mettendolo al mondo, era morta di parto (era il 1956, i carri armati occupavano Poznan), anche questo lo capiremo soltanto più tardi. Altri frammenti ci narrano per ellissi l'infanzia e la giovinezza di Witek. dopo la morte del padre, Witek, in crisi, mette in discussione la propria scelta universitaria e decide di lasciare la città, sperando così di riuscire a capire cosa vuole davvero dalla vita. Witek entra di corsa, all'ultimo momento, nella stazione sovraffollata: urta una donna facendole cadere di mano una moneta, la moneta rotola a lungo sul pavimento (nel frattempo lui fa il biglietto), finendo nelle mani di un ubriaco che può così ordinarsi un'altra birra. Un attimo dopo, mentre l'ubriaco ingombra il passaggio, Witek, continuando nella sua corsa, lo urta violentemente. È proprio da questo episodio, dalla sua accidentale casualità, che si snodano i "tre casi" appunto della vicenda esistenziale del protagonista. Nel primo caso l'urto non ha nessuna conseguenza: il protagonista riesce a saltare sul treno in partenza. Nel secondo caso lo scontro è più violento e Witek perde alcune preziose frazioni di secondo; la porta dell'ultimo vagone sembra ormai a portata di mano, ma lui non ce la fa a saltare sul treno in corsa, anzi va a sbattere contro un ferroviere: cadono entrambi e si giunge ad un'assurda colluttazione. Nel terzo caso, infine, lo scontro con l'alcolizzato occupa ancora più tempo, non c'è alcuna speranza di poter rincorrere il treno, e Witek rinuncia a partire, evitando così anche l'incidente con il ferroviere. In questo modo però gli viene data l'occasione di accorgersi di una ragazza ferma sul binario, una sua compagna di studi. Le differenze nei tre destini del protagonista si sviluppano ormai a catena. (...)

Critica (1):Dopo cinque anni di "invecchiamento", è finalmente uscito sugli schermi di alcuni (non molti!) cinema, Przypadek di Krzysztof Kieslowski. A differenza dei vini, non sempre i film invecchiano molto bene, soprattutto quando il regista utilizza un linguaggio paradocumentario. Il proposito di fotografare la "realtà" così com'è, è per sua natura più effimero di quello di renderne un'immagine sintetica. Ma se riesce a cogliere il ritmo del primo, se non perde il senso del modo in cui la società recepisce la realtà, anch'esso mutevole, allora la verosimiglianza dello stile documentaristico è notevole e ci fa accettare anche la più complessa costruzione narrativa e intellettuale. Proprio in Przypadek, lo stile documentaristico della descrizione non è un fine in sé, ma, un modo per rendere più concreta l'insolita architettura concettuale del film. Dopo un prologo in cui viene condensata in poche scene l'infanzia del protagonista (e che per buona parte del film ci resta incomprensibile), ecco infatti il "caso" evocato dal titolo, lo scontro con un ubriaco alla stazione. Tre successive varianti di quello che a prima vista può sembrare un banale incidente influiscono sulla storia successiva di Witek: in tre diverse versioni diventa infatti un attivista di partito, un militante dell'Opposizione o il cosiddetto "uomo tranquillo", uno scienziato che non vuole immischiarsi nella politica. Bisogna riconoscere che Kieslowski plasma i tre diversi destini di Witek da vero e proprio virtuoso: ogni variante si adatta infatti a pennello alla sua personalità, il corso degli eventi ha tutti i crismi della verosimiglianza, mostrandosi come una logica conseguenza delle scene iniziali, che in un primo tempo apparivano insignificanti. Ogni versione "sfrutta" in un certo modo il passato del protagonista, cosa del resto naturale, perchè ogni volta Witek agisce nell'ambito di un modello diverso, attraverso cui interpreta il proprio passato, dando alla propria biografia via via altri significati. In questo modo le sue diverse storie diventano una sorta di apologo sulla sua generazione, sulla complessità delle sue scelte.
Così espresso, il significato del film potrebbe sembrare pessimistico e deterministico: le nostre scelte non sembrano influire per niente sul fatto di trovarci in un comitato del Partito o in uno sciopero illegale, tutto sembra governato dal caso, determinato da eventi casuali assolutamente indifferenti dal punto di vista politico, come appunto lo scontro con un ubriaco alla stazione.
(...) Ci si potrebbe dilungare ancora sulle tre diverse versioni della vita di Witek: noi cercheremo invece di coglierle in un quadro sintetico. E' notevole la regolarità di ogni variante: in ciascuna egli trova un precettore, un padre spirituale (l'attivista d'alto rango, il prete dissidente, il preside), in ciascuna incontra una donna di cui s'innamora, in ciascuna cerca di realizzarsi nel lavoro. Infine ogni variante è costruita in modo da concludersi con una partenza a Parigi.
Che cosa significa tutto questo? Il protagonista è un ragazzo onesto, pieno di buona volontà. La sua formazione, cui contribuiscono soprattutto il "precettore" e l'ambiente circostante, assegna ogni volta un senso diverso al viaggio finale per Parigi: nella prima variante è una simbolica partenza verso il mondo libero, nella terza una conferma della posizone professione di Witek, invitato a tenere una serie di conferenze. C'è poi anche il fatto di come la vita risponde alle pur migliori intenzioni del giovane. In ogni versione, nonostante l'innegabile purezza delle sue aspirazioni, la sua onestà viene messa in dubbio. Nella prima viene usato - anche se inconsapevolmente - dal suo "precettore", provocando di fatto, attraverso le informazioni che fornisce, l'arresto della ragazza di cui è innamorato. Nella seconda è la probabile causa involontaria della scoperta da parte della polizia di una tipografia clandestina: la sua assenza casuale durante l'incursione lo rende sospetto agli occhi dei compagni. Nella terza rifiuta di firmare un manifesto contro la repressione manifestando il suo distacco dall'impegno politico. I suoi interessi per le ricerche scientifiche potrebbero sembrare puro conformismo.
Witek, nic nie musisz, in Res publica, 4 ottobre 1987, trad. di Giovanna Tomassucci

Critica (2):Se è nella percezione di un'unità nella molteplicità dei fenomeni particolari e (apparentemente) casuali della realtà, che sembra possibile riconoscere il principio poetico dell'opera cinematografica di Kieslowski, è proprio a partire da Il caso per arrivare poi a Decalogo, ed infine a La doppia vita di Veronica, che la percezione di questa legalità universale agisce da vero e proprio principio compositivo arrivando a sistematizzare il materiale filmico: secondo un'organizzazione della vicenda esistenziale del personaggio protagonista (il paradigma dei tre casi in Il caso; la specularità de La doppia vita...); secondo una scansione spaziale e seriale dell'intreccio (in Decalogo i dieci episodi-appartamenti di un gigantesco condominio). Ma, se in Decalogo, nell'orchestrare la materia filmica come una grande sinfonia (nel condominio dei dieci episodi-appartamenti che lo compongono appunto), Kieslowski riesce a cogliere ritmicamente il ciclo cui si conforma il divenire del reale, nel tutto delle sue singole parti, in Il caso la percezione di questo stesso divenire, universale e particolare, è declinata dal regista meccanicamente, riducendo a schema il principio compositivo. Certo, Il caso è un film che precede di dieci anni Decalogo e che nasce a ridosso dell'attualità politica e sociale polacca; ancora impregnato degli umori di quel cinema che in Polonia fu detto "dell'inquietudine morale": un cinema che in un difficile momento storico del Paese puntò il proprio obiettivo, tra documentarismo e finzione, sullo stato della coscienza collettiva, registrandone la disfunzione dei criteri fondamentali di valutazione dell'uomo, dei suoi principi ideologici, della sua utilità sociale, della sua moralità. Proprio Il caso inoltre, nel percorso poetico di Kieslowski, sempre autonomo ed originale rispetto la corrente del "cinema dell'inquietudine morale" e tuttavia ad essa assimilabile nel condividerne l'inquieta prospettiva esistenziale del vivere civile, rappresenta un film cerniera: perché lo sguardo cinematografico di Kieslowski qui si approfondisce (ma già ne Il cineamatore era possibile cogliere segnali in questo senso), passando dalla descrizione della realtà esterna alla descrizione di quella interna. Della materia realistica infatti, con cui aveva realizzato i suoi film precedenti, dai documentari ai primi film a soggetto, Kieslowski scopre la fodera e, nell'intimo di questo risvolto, decide di piazzare la propria macchina da presa. E tuttavia l'interiorità, non come psicologia, ma come alterità proveniente da un sottosuolo metafisico, una sostanza parlante oltre la muta fenomenologia delle cose, era già presente nel cinema di Kieslowski, magari nascosta nelle cuciture di qualche montaggio. Si trattava appunto della percezione di una realtà significante, unitaria, al di sotto della divisa e diversa molteplicità dell'esistente. Ma è proprio con Il caso che Kieslowski porta in primo piano la percezione di questo principio unitario, universale legalità, kantiana condizione di possibilità dell'esistenza (sarà questo il leit-motiv della splendida sinfonia di Decalogo), raccontando una storia al condizionale, dominata cioè dalle feroci leggi del caso. Ma il sentimento di possibilità, riconoscibile in Decalogo come concreto fondamento dell'essere secondo l'ispirazione di una libera e responsabile volontà di scelta (scelta che i personaggi a costo di perdite e sofferenza sono in grado di agire ogni volta), in Il caso si da ancora come confuso "tychismo", come fortunata o sfortunata casualità appunto. Le diverse possibilità di determinare il proprio destino infatti si offrono al protagonista in modo troppo fatalista; Witek vive la propria vita come dal di fuori: preoccupato di corrispondere alle aspettative che gli altri nutrono nei suoi confronti, non riesce a raggiungere un fine che abbia valore esclusivamente per se stesso. Il suo dramma dunque sembra essere quello del "bambino dotato", del bambino cioè particolarmente sensibile e pronto che nella sua capacità di captare i bisogni inconsci dei genitori (in seguito di tutti coloro che incontrerà nel corso della propria esistenza), cercherà in tutti i modi di adeguarvisi, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei, il suo "vero Sé". Sicuramente quella iniziale è una delle scene chiavi del film, una sorta di prologo che mostra, fotografate attraverso un filtro giallastro, confuse dalla involontaria, perché rimossa, memoria di Witek, le immagini della sua infanzia, quando faceva i compiti seduto accanto al padre. Ma questo stesso padre che da bambino lo elogiava perché faceva bene il suo dovere di scolaro, da adulto poi lo avrebbe rimproverato confessandogli che non gli era mai piaciuto che fosse il primo della classe, e che si era tranquillizzato solo quando lo aveva visto prendere brutti voti. Così, anche prima di morire, il padre gli aveva mandato a dire, erano state proprio le sue ultime parole: "Witek non deve...". Ma Witek, che si era iscritto a Medicina più per far piacere al padre che per un'autentica vocazione, interpreta la frase come un'autorizzazione ad interrompere gli studi. Dunque quello che il padre era arrivato a comprendere di Witek, lo stesso Witek ancora non riesce a comprendere: ancora una volta, anziché riportare la propria scelta ad un proprio sentimento delle cose (quel "non deve..." raccomandato dal padre al figlio si riferiva probabilmente a tutto ciò che il figlio non avrebbe mai più, per nessun motivo, dovuto fare, corrispondendo a modelli presi in prestito), la adegua alle aspettative esterne, non riuscendo neanche più a riconoscere quali siano queste aspettative, che cosa realmente ci si aspetti da lui. È così dunque, alla luce della scena iniziale che attraversa lo sguardo dello spettatore in modo quasi subliminale (ma è forse lo stesso modo in cui la memoria del proprio trauma attraversa la coscienza di Witek), che Il caso si scopre, sotto il deterministico sviluppo degli avvenimenti, il geometrico teorema esistenziale del protagonista, un film tutt'altro che deterministico. L'incidente alla stazione infatti, lo scontro con l'ubriaco, cui Witek non da particolare importanza e che invece decide del suo destino, è in realtà provocato da lui stesso. Sono la sua fretta, la sua disattenzione, la sua confusione (la morte del padre e quell'improvviso, incomprensibile, "non dovere..."), a causare gli eventi: correndo fa cadere una moneta dalla mano di una donna e proprio questa moneta è la causa indiretta del particolare comportamento dell'ubriaco che, aiutato dalla disattenzione di Witek, provoca lo scontro. Così, proprio il caso, che dall'esterno sembrava muovere la vicenda, indipendentemente da Witek, dalla sua fortuna o sfortuna, si scopre in realtà qualcosa che dipende proprio da lui. Se infatti le varianti della storia di Witek sono tre, in fondo si tratta di un unico destino, quello di un uomo inconsapevole delle proprie scelte. Perché la vita dei "bambini dotati", dei "primi della classe", non può non essere governata dal caso: nella misura in cui è una vita condannata ad esser vissuta come uno specchio, una superficie piatta dove si riflette la vita degli altri. Il destino è dunque cieco, casuale, per tutti quelli che non riescono a vedere se stessi: a vedersi nella propria vita, a causarla dandole una destinazione che sia frutto della propria, libera, scelta. Da questo punto di vista il film di Kieslowski è acuto ed apre proprio a quel Decalogo dove la percezione di una legalità universale, nella relazione organica, sinfonica, delle parti al tutto, epifanizzerà, kantianamente, il sentimento della possibilità come condizione della realtà: suo senso a priori. Per Kieslowski infatti, che è stato da sempre un osservatore attento ai meccanismi del potere, dovunque essi prendano corpo, nel pubblico come nel privato, si tratterà in "Decalogo" di analizzare il potere alla radice, quasi etimologicamente: ciò che l'uomo può fare. Perché proprio attraverso la possibilità è dato sperimentare il sentimento universale dell'esistenza; ed è rinunciando a tale possibilità, nell'inconsapevolezza di sceglierla, di agirla, che Kieslowski indica la mancanza ad essere: a cogliere, a sentire appunto la relazione generale, come trama unitaria di un infinito numero di fili particolari.
Purtroppo però in Il caso, Kieslowski non riesce a formare la propria percezione: una declinazione paradigmatica agisce al posto dei metodi compositivi organici che presiederanno all'orchestrazione di Decalogo. Il determinismo programmatico delle tre vite di Witek non si riempie della radianza del proprio contenuto, e resta così come un disegno dai soli contorni. Non può non venire in mente comunque, come, a questi tre casi di Witek, sia vicina La doppia vita di Veronica, l'ultimo film realizzato da Kieslowski, dopo Decalogo. Tra i due film c'è tutta la vicinanza di un'affinità strutturale e tematica, e tuttavia c'è la distanza che la maturità espressiva di un'opera come Decalogo non poteva non frapporre. Difatti tra il paradigma esistenziale dei tre casi di Witek e la riflessione speculare delle due vite di Veronica si pone non soltanto il raggiungimento di una "forma del contenuto", attraverso una sistematizzazione finalmente organica, non più meccanica, della materia filmica, ma anche la messa fuoco di un linguaggio appassionato delle immagini, tagliate bressonianamente nella forza misteriosa della loro evidenza, capaci di rimandare sempre a quel sentimento, a quel senso altro, condizione di possibilità del reale stesso, che in Il caso era rimasto inespresso, imprigionato nell'impostazione matematica del film. Anche se ne La doppia vita di Veronica Kieslowski non ritrova sempre l'ineffabilità di Decalogo, cedendo spesso alla tentazione di cifrare enigmaticamente, appesantendolo, il simbolismo degli echi, delle tracce, dei segnali, delle allusioni, dei frammenti ricorrenti, tuttavia il film è percorso da una sotterranea, elettrica attività che accende l'esistenza opaca della protagonista di improvvisi bagliori, epifanie di possibilità che le annunciano il sentimento, il senso di una realtà universale, unica e molteplice. E difatti, diversamente da Witek, incapace di proseguire lungo la strada di una delle tre scelte possibili, perché realmente incapace di maturare un sentimento dell'essere che attraverso la scelta lo restituisca a se stesso, alla sua identità, alla sua capacità di determinarsi, Veronica riesce a sentire se stessa e ad agire la propria scelta: "Io sento sempre quello che devo fare" dice Veronica. Perché Veronica fin da bambina (ed è sintomatico che tutti e due i film si aprano, con straordinario potere onirico, sulle immagini inconsce relative all'infanzia di Witek e Veronica), aveva imparato a vedere se stessa e le cose intorno a sé non divise paradigmaticamente, all'interno del proprio stesso sguardo. Veronica da sempre aveva avuto la sensazione di non essere sola al mondo, ma come doppiata da un'altra presenza, di cui poteva ascoltare l'esperienza; Witek invece aveva vissuto con la coscienza di un essere a metà: suo fratello gemello era morto subito dopo di lui, di parto, insieme alla loro madre. Anche Veronica è orfana di madre, ma per lei la figura del padre non rappresenta un categorico, castrante, "dover essere": piuttosto è vicina all'immagine di un tronco d'albero forte ed antico, le cui radici affondano nella terra mentre i rami toccano il cielo. Se i tre casi di Witek restano paralleli nell'impossibilità di sperimentarsi a vicenda, le due vite di Veronica mostrano invece le possibilità di incontro; a dire, secondo Kieslowski, che le molteplici linee parallele delle esistenze mostrano nella profondità delle cose, dei fatti, dei destini (i destini doppi, tripli, infiniti, della nostra vita e di quella altrui), un punto di convergenza che è sentimento possibile della realtà: percezione cosmica della relazione d'insieme in cui siamo immersi, dei fili invisibili che ci collegano tutti.

Emanuela Imparato, Cineforum n. 314, 5/1992

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Krzysztof Kieslowski
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