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Charlie Says


Regia:Harron Mary

Cast e credits:
Sceneggiatura: Guinevere Turner; fotografia: Crille Forsberg; musiche: Keegan DeWitt, Sean Fernald; montaggio: Andrew Hafitz; scenografia: Dins W.W. Danielsen; costumi: Elizabeth Warn; suono: Phillip Bladh; interpreti: Matt Smith (Charles Manson), Hannah Murray (Leslie Van Houten), Marianne Rendón (Susan Atkins), Sosie Bacon (Patricia Krenwinkel), Merritt Wever (Karlene Faith), Suki Waterhouse (Mary Brunner), Chace Crawford (Tex Watson), Annabeth Gish (Virginia Carlson), Grace Van Dien (Sharon Tate); produzione: Epic Level Entertainment, Jeremy Rosen, Kevin Shulman Per Roxwell Films; distribuzione: No.Mad Entertainment; origine: Usa, 2018; durata: 104’. Vietato 14

Trama:Uno sguardo sul vero Charles Manson, il famoso psicopatico americano, mediante l'analisi degli infami delitti perpetrati dalla Manson Family visti attraverso gli occhi di Karlene Faith, ricercatrice che lavora con tre giovani donne, entrate a far parte della setta dopo aver subito il lavaggio del cervello. Condannate alla pena di morte per il coinvolgimento nei crimini durante i quali furono assassinate nove persone, compresa l'attrice Sharon Tate, la loro pena fu in seguito convertita in ergastolo. Il film è una narrazione incentrata sul tentativo da parte di Karlene Faith di rieducare le tre donne, e sulle loro trasformazioni mentre lentamente comprendono l'efferatezza dei crimini commessi.

Critica (1):In attesa di Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino dedicato al periodo in cui è maturato l’omicidio di Sharon Tate, la regista Mary Harron anticipa i tempi e porta sullo schermo non Charles Manson ma le ragazze che facevano parte del suo gruppo a metà tra harem e setta. Non che il diabolico omicida non si manifesti in carne e ossa, solo che la regista è molto più interessata alle dinamiche femminili tra le seguaci e il capo.
Il gruppo è quello della Manson Family, un coacervo di gelosie, frustrazioni, amori, esaltazioni, ordini, punizioni gratuite. Le giovani fanciulle subiscono il fascino diabolico di un seduttore impietoso, mosso dal solo obiettivo di diventare il padrone assoluto di corpo e mente di ognuna di loro. La violenza un passaggio obbligato, da vivere come una sorta di prova di totale fedeltà.
Quando Charlie Says inizia, tutto si è già compiuto. Sharon e i suoi amici massacrati in una notte di follia non hanno più le foto in prima pagina, le giovani donne sono rinchiuse per sempre in un carcere di massima sicurezza. Manson è lontano, la sua parola tuttavia riecheggia ancora nelle menti delle tre ragazze. Il lavaggio del cervello è stato totale, irreversibile. Nemmeno ripercorre gli orrori della tragica notte insinua un seppur larvato senso di colpa. Charlie ha vinto per sempre.
Costruito attorno alla figura di Karlene, la ricercatrice che per anni ha realmente tentato di far comprendere alle assassine la gravità del loro delitto, il film è il ritratto di menti malate ma non per questo meno complesse. La follia non trova spazio però, e non sarebbe comunque una giustificazione. Alla fine infatti ciò che sorprende maggiormente è la lucida accettazione di una manipolazione subita e mai messa in discussione. Ciò che Charlie ha detto, rimane legge per sempre.
Mary Harron non sceglie la strada della compassione, e fa bene. Sguardo lucido scandaglia animi, riproduce nefandezze, rivela assenze di emozioni. Non dimentica però di ammantare di umana pietà la pur dura Karlene, irriducibile nel tentativo infruttuoso di far breccia nel cuore e nella mente delle ragazze di Charlie.
Greta Leo, cinematografo.it

Critica (2):Gli anni Sessanta sono finiti bruscamente il 9 agosto 1969. C'è un prima e un dopo il massacro di Cielo Drive dove venne massacrata e uccisa anche Sharon Tate. Le immagini, come repertorio, di una sua intervista nella tv del carcere dove sono rinchiuse tre sue adepte segnano la frattura temporale in Charle Says. Quasi un racconto in terza persona da parte delle tre ragazze che, attraverso i loro racconti alla ricercatrice Karlene Faith, compongono puzzle sparsi della personalità del famoso psicopatico statunitense Charles Manson.
II film di Mary Harron mostrai graduali cambiamenti all'interno della comunità. Dal rifiuto del consumismo, alla libertà sessuale emergono gradualmente gli impulsi del male. Il volto di Matt Smith, la star di Doctor Who, nei panni di Charles Manson, appare in questo senso un volto dietro una maschera. I suoi occhi sembrano guardare, condizionare e dominare gli eventi. E nella parte iniziale appare soprattutto il filtro dello sguardo Mary Harron, quasi come era accaduto con il serial killer Patrick Bateman del ben più incisivo American Psycho. Due figure diversissime ma uguali. Se Bateman era ossessionato dal possesso delle cose, Manson lo era delle persone. La prima parte del film, da questo punto di vista, appare infatti la più riuscita: il modo in cui il protagonista si fa dare i soldi in pullman dalle ragazze, in cui ne fa spogliare una davanti al fuoco. Charlie non è mai al centro dell'inquadratura, ma appare spesso decentrato. Risulta invece ben più approssimativa la sua frustrazione musicale che comunque nel film ha un peso importante. In apertura c'è infatti Dennis Wilson, batterista dei Beach Boys, che dà un passaggio a tre persone della comunità che stanno facendo l'autostop.
La rabbia di Charle Says è spesso calcolata e non esplosiva. La follia non è contagiosa ma solo puro racconto di un film interessante più per quello che racconta piuttosto che per quello che mostra. Attraversato, come illusione, dalle motociclette di Roger Corman e le Chevrolet (sempre con Dennis Wilson) di Monte Hellman. Ma forse è solo uno dei flash che potevano, e dovevano, contaminare il film.
Simone Emiliani, Cineforum n. 577,9/2018

Critica (3):

Critica (4):
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