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Età difficile (L’) - Mistons (Les)


Regia:Truffaut François

Cast e credits:

Soggetto: dalla novella di Maurice Pons contenuta nella raccolta "Virginales"; sceneggiatura: François Truffaut; fotografia: (16 mm, b.n.): Jean Malige; montaggio: Cécile Decugis; musica: Maurice Le Roux; speaker: Michel François; interpreti: Bernadette Lafont (Bernadette), Gérard Blain (Gérard), Michel François (voce narrante nella versione originale.), e "les mistons"; direttore di produzione: Robert Lachenay; produzione: Les Film Du Carrosse; origine: Francia, 1957; durata: 26’.


Trama:Un'estate diversa dalle altre per un piccolo gruppo di adolescenti che scoprono l'amore e prima ancora intuiscono i segreti dell'eros. E lo fanno inseguendo, più o meno scopertamente, una deliziosa ragazza impegnata però con un coetaneo. Con l'autunno, la giovane scompare dalle giornate dei ragazzini, ma non dalla loro memoria.

Critica (1):L’esordio ufficiale di Truffaut, dopo il primo esercizio a carattere "privato", avviene con la presentazione di un cortometraggio (fuori concorso) al festival di Tours del 1957. Titolo: Les mistons, prima realizzazione di una società di produzione costituita per l’occasione. Truffaut ne è il presidente, Bazin l’amministratore, Morgenstern (suocero di Truffaut) uno dei finanziatori. Da questo momento, "Les Films du Carrosse" (il nome è un omaggio a La Carrosse d’Or, film di Jean Renoir molto amato da Truffaut), che produrrà quasi tutti i film del regista. Rivette, nel resoconto critico dedicato al festival di Tours e pubblicato su "Arts", scrive, salutando la comparsa di un nuovo autore: "Non si tratta a dire il vero di un cortometraggio, ma del primo episodio girato di un futuro lungometraggio sul tema comune dell’infanzia, un’infanzia scrostata da tutti gli strati di convenzionalità che la deformano quasi sempre sullo schermo".
Il soggetto, come avverrà per la maggior parte dei film di Truffaut, è il risultato di un adattamento letterario: pretesto, un breve racconto di Maurice Pons, contenuto in Les Virginales. Ma l’adattamento non appare tanto ispirato ai principi dell’inventare senza tradire lo spirito del testo, quanto piuttosto dall’esigenza di filtrare le situazioni offerte dalla fonte di ispirazione attraverso la sensibilità e le preoccupazioni dell’autore, mediante la combinazione degli elementi del racconto ai tratti della propria personalità. Raccontando la storia di cinque adolescenti che passano il loro tempo a sorvegliare e a molestare una coppia di innamorati, nell’assolata estate di una cittadina del sud della Francia (Nîmes), il film si dispone a sorprendere e a registrare, con partecipazione e distacco insieme, i turbamenti e gli audaci sussulti prodotti da una sensualità nascente, risvegliata da immagini tanto più insinuanti quanto più fugaci, una tenerezza nuova e carica di mistero alimentata da dolci visioni di gambe nude che spuntano sotto gonne svolazzanti, di seni appena disegnati sotto una maglietta jersey, di baci furtivi scambiati nel buio di una sala cinematografica, di abbracci non più trattenuti che la complicità di un bosco profondo sembra favorire. Bernadette, origine e oggetto di una scoperta prestigiosa, simbolo di una sensualità luminosa, personificazione misteriosa e affascinante dei sogni oscuri e delle immaginazioni segrete che popolano le notte degli adolescenti di Nîmes, diviene la vittima di una folle ostilità non appena questi apprendono l’impossibilità di possedere l’oggetto del desiderio, il senso della propria estraneità di testimoni gelosi, costretti a solamente spiare i baci desiderati, la tenerezza sperata. La macchina da presa assume su di sé quest’ira impotente, stringendo dappresso i cinque mistons, seguendoli amorevolmente, avvicinandosi ad inquadrare il più piccolo che per un istante osa posare il volto sulla sella della bicicletta di lei ad odorarne il profumo, abbassandosi con tutti loro in un fossato per nascondersi alla vista degli innamorati, scoprendoli mentre accolgono con fischi, ingiurie e schiamazzi i gesti di tenerezza degli amanti. Fissata sul davanti di una 2 CV, la camera insegue Bernadette e Gérard, li smarrisce e li ritrova nel folto del bosco, condotta a mano partecipa all’assalto dell’improvvisato, nido d’amore, assiste all’invio dell’offensiva cartolina vendicatrice, accoglie freddamente, con i mistons, la notizia della morte accidentale di Gérard. La distruzione della coppia ha un carattere remoto, si produce fuori dal mondo esclusivo degli adolescenti: resta appena un po’ di amarezza, di pietà forse, unico ricordo del un’avventura di quell’età della vita che ci sorprende non ancora uomini, non più bambini. Tematicamente, il film sembra anticipare, in un gesto inaugurale, le principali ossessioni che costituiranno l’universo del regista: la crudeltà dell’infanzia, il carattere fugace della felicità, la fuga inarrestabile del tempo, la purezza dei sentimenti, l’instabilità della coppia.
D’altra parte, Les mistons è prima di tutto il film di un cinéphile: le citazioni, i riferimenti, gli omaggi, le allusioni sotterranee che attraversano il tessuto del film, ne costituiscono non già una gratuita e posticcia dimensione, messa lì, in aggiunta, per il piacere privato di pochi amici cui sono rivolte le strizzatine d’occhio che lo spettatore distratto neppure sospetta esistere. Al contrario, essi ne sono parte integrante, costituendo appunto il carattere tendenzioso dell’immagine: è questo infatti il modo attraverso il quale si esprimono i gusti cinematografici dell’autore, le sue simpatie, i suoi debiti di riconoscenza nei confronti dei maestri. Insomma è tutto un apparato critico, un sistema di preferenze e di esclusioni, di prese di posizioni estetiche e morali, che vengono esplicitati, entrando a far parte del corpo stesso del film, a costituirne lo spessore significante. Ogni film diviene così un saggio critico sul cinema, la sua storia e i suoi autori: una lezione di regia e di tecnica, di stile e di linguaggio.
Non è dunque un pedante esercizio, filologico quello che si appresta a rilevare il tessuto di citazioni di ciascun film, bensì un’operazione necessaria di rimeditazione, intesa a restituire – appunto – lo spessore significante del testo. Così, in Les mistons, si va dalla citazione esplicita di Zéro de conduite, il film di Jean Vigo di cui il cortometraggio conserva lo spirito di libertà e di indipendenza, l’umorismo gentile e il tono liricheggiante, al riferimento meno diretto al primo Renoir, nella messa in scena che ne evoca i modi costantemente estrosi e felici. Si va dalla inquadratura del manifesto di Et Dieu créa la femme, il film di Vadim che ha lanciato la Bardot, all’inserimento di alcune immagini di Coup de Berger, cortometraggio dell’amico Rivette, che fanno da contrappunto alla scena dei baci nel cinema. Non manca neppure un omaggio al pioniere Lumière, con l’allusione al celeberrimo innaffiatore innaffiato, e un polemico riferimento a un film di Jean Delannoy, Chiens perdus sans collier, a suo tempo accolto dal critico con parole di fuoco: qui, uno dei ragazzi ne strappa il manifesto, mentre gli altri passano cantando: "Colliers perdus sans chiens...".
Opera personale, dunque, intrisa di sensibilità e di intelligenza, di amore per il cinema e di polemica contro chi lo tradisce, Les mistons è anche uno spettacolo divertente, che non disdegna l’intrusione del burlesco in una vicenda d’amore, la concessione divertita di comici interludi che intervengono a contrappuntare i moti e le trepidazioni del cuore dei giovani protagonisti: così il disappunto del miston che agita il pugno contro il manifesto del film della Bardot vietato ai minori, il montaggio accelerato che accompagna la reazione del giardiniere, il gag del fumatore di sigaro che, richiesto di un fiammifero, risponde aggressivamente di non dare mai del fuoco, il dolce amaro aneddoto di Bernadette che racconta di come il padre mancò in gioventù ad un appuntamento galante a causa di un foruncolo sul naso e che ora non passa settimana senza ripensare con rammarico all’occasione perduta.
Truffaut non è tenero con questo suo film: "L’esecuzione lascia a desiderare, gli attori e il dialogo sono spaventosi, il tutto è prodigiosamente informe... Ci sono anche delle cose belle, come Bernadette Lafont, il senso del sole, ma credo che ci voglia molta indulgenza per amarlo". Ma non si può non amare questo piccolo film, tenero e disperato. Il miglior commento lo ha scritto Claude Beylie, sui "Cahiers du cinéma": "Mi piace questa sincerità a fior di pelle che li segue come lo sguardo di chi non ha dimenticato la propria infanzia; questa sensualità luminosa che essi inseguono (e la macchina da presa con loro) senza averne la esatta coscienza; questo erotismo senza freni passato al setaccio di una esigente purezza... Per me, dice qualcuno, è come dei piccoli pezzi di legno. Con dei piccoli pezzi di legno e un talento folle per metterli insieme, Truffaut reinventa il cinema".
Alberto Barbera, François Truffaut, Il Castoro Cinema, 1976

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
François Truffaut
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