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Morte corre sul fiume (La) - Night of the Hunter (The)


Regia:Laughton Charles

Cast e credits:
Soggetto
: dal romanzo di Davis Grubb; sceneggiatura: James Agee; fotografia: Stanley Cortez; montaggio: Robert Golden; musica: Walter Schumann; interpreti: Robert Mitchum (Harry Powell), Lilian Gish (Rachel Cooper), Shelley Winters (Willa Harper), Peter Graves (Ben Harper), Billy Chapin (John), Sally Jane Bruce (Pearl), Evelyn Varden (Icey Spoon), James Gleason (Zio Bill), Gloria Castillo (Ruby); produzione: Paul Gregory per la United Artists; distribuzione: Lab 80 Film origine: USA, 1955; durata: 90’.

Trama:Henry Powell, pastore protestante che uccide per denaro, si fa sposare dalla giovane vedova di un omicida - con il quale ha diviso la cella - che ha nascosto il bottino in casa. La donna, che non sa nulla dei soldi, viene uccisa mentre i suoi due bambini che custodiscono il segreto fuggono da lui allontanandosi sul fiume con una barca.

Critica (1):«Quando una volta andavo al cinema, gli spettatori stavano ben seduti ai loro posti e fissavano lo schermo, dritto davanti a loro. Oggi constato che il più delle volte hanno la testa piegata all’indietro, per poter meglio ingoiare popcorn e dolcetti. Vorrei fare in modo che riacquistassero la posizione verticale». Quando Charles Laughton ha la possibilità di girare il suo primo e unico film, The Night of the Hunter, La morte corre sul fiume, lo fa con l’obiettivo, stravagante e nobile, di riportare lo spettatore in posizione verticale. Va detto subito che, allora, nel 1955, lo scopo non fu raggiunto. Il film non ebbe successo, Laughton ne fu molto amareggiato, cominciò senza troppa convinzione a lavorare alla sceneggiatura di Il nudo e il morto di Norman Mailer, presto lasciò perdere (il film lo girò Raoul Walsh) e tornò a fare l’attore. Restò il regista di un solo film. E ci vollero anni perché quel film diventasse il capolavoro che oggi è. La morte corre sul fiume comincia, da qualche anno a questa parte, a far capolino nelle classifiche dei dieci migliori film della storia del cinema. Son dovuti passare alcuni decenni prima che fosse davvero visto e guardato per quello che è: un film complesso e affascinante sotto l’apparenza di una tranquilla, anche se singolare, scorrevolezza. In realtà, La morte corre sul fiume attirò subito l’attenzione, se non del pubblico allungato a ingoiare popcorn, di due critici francesi del calibro di François Truffaut e di André S. Labarthe. Ma, come spesso succede a certi film che parlano ad un tempo e ad una atmosfera diversi da quelli in cui sono nati, venne guardato da Truffaut e da Labarthe secondo una prospettiva parziale che ne metteva in risalto certe caratteristiche a scapito di altre e che, individuata sì nel film una pluralità di materiali e di elementi visivi e tematici, subito la considerava e denunciava come mancanza di unitarietà. Un’opera così manifestamente composita e plurale, un film così apertamente costruito per accostamenti anche arditi e improvvisi (un prologo in cielo, una storia nera, una fiaba che sconfina nell’incubo, una parte finale moraleggiante e apparentemente consolatoria), un’opera a così lontana dall’idea di unitarietà narrativa e stilistica, così slegata dai vincoli con qualsiasi modello di compattezza e uniformità, doveva aspettare un altro tempo, quando con altri occhi la si potesse guardare e apprezzare appunto nelle sue composite e polifoniche complessità e profondità.
La morte corre sul fiume ha faticato non poco per riuscire a lasciarsi alle spalle molte interpretazioni e reinvenzioni devianti. Poi, sono cominciati ad arrivare gli elogi fino al più bello e iperbolico, quello di Serge Daney che l’ha indicato, con felice incongruenza, come «il più bel film americano del mondo». Guardare oggi il film vuol dire poterlo vedere finalmente nella luce giusta di opera «polifonica», come lo stesso Daney l’ha con precisione definito. Complessità, bellezza e polifonia gli derivano dalla sua natura di particolarissimo oggetto narrativo. Si guardi l’inizio. La morte corre sul fiume comincia con un prologo in cielo, con una anziana donna che parla a dei bambini, lei e loro sospesi tra le stelle. La donna comincia a raccontare una storia di bambini, John e Pearl, storia nella quale lei, dona celeste, entrerà soltanto verso la fine quando si tratterà di salvare i bambini affrontando il Male, il falso pastore che è in realtà un serial killer, invasato e impotente, quell’Harry Powell (la più grande interpretazione di Robert Mitchum) che si sente in diretto contatto con un suo personalissimo Dio sanguinario, da lui creato a propria immagine e somiglianza. La donna racconta dunque una storia in cui lei entra soltanto verso la fine, storia che lei riferisce rispettando modi, forme e sensazioni del suo informatore, il piccolo John. La morte corre sul fiume è polifonico in senso stretto: è racconto che conserva le voci e le presenze di coloro che raccontano, la signora Cooper, il piccolo John, il narratore per immagini. Ed è come se Laughton fosse un ulteriore personaggio, come se fosse un coordinatore talmente rispettoso dei suoi personaggi da lasciar loro tutto il campo perché essi possano tessere una rete di rapporti e di scambi paritari e complementari da opporre, finalmente, all’unica e ripetitiva storia di assassini e di denaro che ha da sempre abitato il mondo.
John discende il fiume e fugge da due padri: da un primo padre che l’ha costretto ad un giuramento e ad un patto scellerato (custodire il denaro frutto di rapina e omicidio) e da un secondo padre, pastore e pluriassassino che di quel denaro vuole impossessarsi. John va alla ricerca di qualcuno con cui stabilire un nuovo patto. La scena finale, quella che non piaceva a Truffault, lo vede scambiare con la signora Cooper i doni di un nuovo Natale, di un nuovo inizio: un orologio e una mela, segni di un tempo a venire in cui tempo e vita potranno finalmente dare buoni frutti. La morte corre sul fiume è la storia di come si possano costruire nuovi e fruttuosi patti. Di come si possa e si debba cercare di allontanarsi dalla fissità della vecchia storia in cui luce ed ombra, bene e male si scontrano dentro un cerchio da cui entrambi non possono uscire, facce opposte di una stessa moneta. Film in cui la messinscena luministica dà luogo a sequenze memorabili (Powell che, sotto la finestra di John, «mangia» il bambino con la propria ombra; le punte di coltello disegnate dall’ombra e dalla luce sulle pareti delle stanze in cui dormono le figure femminili prossime a morire; la prima notte di nozze con quel quadro di pioniere sulla parete che alla fine della scena resta in piena luce quando dovrebbe tornare nell’ombra in cui stava all’inizio…), film di luci e di tenebre, La morte corre sul fiume diventa, nel profondo, un invito ad uscire dalla costrizione simbolica e teologica dello scontro tra la luce e l’ombra, tra il Bene e il Male, per entrare finalmente in un’altra storia. Si può mangiare una nuova mela, come John fa nella sequenza più commovente del film, ma soltanto dopo che la donna ha accettato di cambiare la vecchia storia e di trasformare un re in due re. Le vecchie storie possono essere cambiate. Nell’ultima sequenza del film, nella cucina della signora Cooper, il giorno del nuovo Natale, la luce è morbida, tranquilla, non combatte più con le tenebre. Forse, si può cominciare a sperare di poter entrare in un’altra storia, fondata su di un patto di reciproco aiuto e scambio. Un storia di doni, non di assassini, denaro, vendette, giuramenti costrittivi. Una decina di anni prima di dirigere La morte corre sul fiume, Laughton aveva lavorato con Bertolt Brecht alla traduzione e alla messinscena del Galileo. Il dramma fu rappresentato a Los Angeles e a New York nel 1947, con Laughton protagonista e con la direzione di Joseph Losey, dopo che era caduto l’invito di Laughton perché Orson Welles ne accettasse la regia teatrale. In quell’occasione, Brecht scrisse una “Lettera all’attore Charles Laughton sul lavoro del dramma Vita di Galileo, la lettera ha forma di poesia e parla proprio della necessità di stabilire dei nuovi patti, dopo la guerra, dopo la distruzione, dopo l’ennesimo sanguinoso episodio della storia di sempre. Questo il testo: I nostri popoli erano ancora intenti a scannarsi/quando noi stavamo chini sui quaderni consunti,/cercando termini nei dizionari, e molte volte/cancellavamo i nostri testi e poi/di sotto le cancellature portavamo di nuovo alla luce/le espressioni di prima./A poco a poco/mentre nelle nostre capitali crollavano le mura delle case,/crollavano i baluardi delle lingue./Insieme/cominciavamo a seguire il precetto dei personaggi e degli accadimenti:/un nuovo testo./Di continuo mi trasformavo in attore, mostrando/gesto e cadenza di un personaggio, e tu/ti trasformavi in scrittore. Eppure ne io ne tu/uscivamo dall’ambito del nostro mestiere.
Quando Laughton uscirà dall’ambito del suo mestiere di attore per diventare, unica volta nella sua vita, regista, racconterà una storia che invita ad uscire da tutte le vecchie storie per raccontarne e viverne di nuove. E affiderà a un bambino e a una bambina, a John e a Pearl, il compito di entrare in un nuovo mondo. La morte corre sul fiume non dice se ciò sarà possibile. Le ultime parole sono della signora Cooper. Il e le piogge flagellano gli innocenti ed essi sopportano: “They abide and they endure”. I Bambini sopportano e resistono.La morte corre sul fiume, unico film di Charles Laughton, il più bel film americano del mondo, si conclude con un monito a sopportare e resistere. Sono evidentemente ancora lontani i giorni in cui ci si potrà scambiare in pace dei veri doni
Bruno Fornara, dal catalogo del Bergamo Film Meeting 1999

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Charles Laughton
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