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Diavolo in corpo (Il)


Regia:Bellocchio Marco

Cast e credits:
Soggetto: Marco Bellocchio ed Enrico Palandri; sceneggiatura: Marco Bellocchio con la collaborazione di Ennio De Concini; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Lina Nerli Taviani; fotografia: Giuseppe Lanci; musica: Carlo Crivelli; montaggio: Mirco Garrone; interpreti: Maruschka Detmers (Giulia Dozza), Federico Pitzalis (Andrea Raimondi), Anita Laurenzi (signora Pulcini), Riccardo De Torrebruna (Giacomo Pulcini), Alberto Di Stasio (professor Raimondi), Catherine Diamant (signora Raimondi), Anna Orso (signora Dozza), Claudio Botosso (don Pisacane), Lidia Broccolino (terrorista), Stefano Abbati (terrorista); produzione: Leo Pescarolo per la L.P. Film e l’istituto Luce/Italnoleggio Cinematografico, Roma, e la Film Sextile, Parigi; distribuzione: Istituto Luce/Italnoleggio Cinematografico; origine: Italia/Francia, 1986; durata: 112’.

Trama:Una pazza di colore, errante sui tetti di Roma minacciando il suicidio, attira l’attenzione di una classe di liceo da una parte e di una bella e nevrotica ragazza borghese dall’altra, Giulia, da cui subito è colpito Andrea, uno dei liceali, che scavalca la finestra dell’aula e la insegue col suo motorino, mentre si allontana su una Maserati. Accompagnata dal giovane prete che poco prima ha cercato goffamente di distogliere la negra dal suicidio, Giulia sosta a un punto del ponte sul Tevere dove è caduto il padre, vittima delle brigate rosse, e si reca poi a un processo contro i brigatisti, prodigando segnali d’intesa e d’affetto a un pentito, cui è promessa sposa. Eccitata dall’amplesso in gabbia di due di essi, incontra lo sguardo di Andrea che l’ha seguita, e subito scoppia fra i due un rapporto morbosamente passionale, che distoglie Giulia dalle nozze col pentito. Partito, nei preannunci di lavorazione, come un film intorno al terrorismo; fermatosi, nelle polemiche di montaggio tra autore e produttore, al gradino inconsueto di film-dono a un analista poco ortodosso; giunto, nelle chiacchiere prima dell’uscita, al ruolo curioso di portabandiera dell’erotismo di stato (perché coproduttore è l’Istituto Luce), Diavolo in corpo si porta addosso la fatica e il fastidio di queste etichette, è piegato su se stesso per le sue intenzioni pedagogiche e magari terapeutiche, ma non cade, non perde una certa proditoria unità, un’indiscutibile suggestione. Non sapremmo se darne il merito a Bellocchio che ha officiato il film in stretta, strettissima sintonia col suo psicoanalista (dice l’incipit rivendicativo: "Questo film è personalmente dedicato a Massimo Fagioli") o non piuttosto all’interprete, a Maruschka Detmers. Raramente una storia realistico-fantastica, in lotta con le pericolose necessità dell’apologo, vigilata da una, come dire, psicoterapia di clan, è stata interpretata in modo tanto intenso e sincero.

Critica (1):La Detmers è "pazza" con una freschezza interiore, una prepotenza corporale, delle quali Prénom: Carmen aveva dato solo un avviso. Si capisce, anche nella fellatio che ha preoccupato censura e cronache: i guardoni e gli studiosi troveranno più esplicite le solite sale a luce rossa, alle quali francamente li indirizziamo. La carica erotica di Maruschka sopravvive intatta anche alle trappole della visione (in genere, guardare tutto non è vedere tutto).
Bellocchio era partito dall’idea (col soggettista e scrittore Palandri) di una grande Mediocrità Romanzesca contrapposta agli itinerari personali della liberazione di una donna e di un ragazzo. Così romanzesca che la donna Maruschka attende di sposare il terrorista pentito che le ha ucciso il padre, colonnello dei carabinieri; il processo nell’aula bunker è alle ultime battute e la legge sui pentiti farà il resto. Così romanzesca che il padre del ragazzo Pitzalis, il liceale innamorato di Maruschka, è lo psicanalista ortodosso che ha avuto in cura la donna, subendone inevitabilmente la seduzione corporale (ecco il corpo bellissimo di Maruschka che emerge nudo dal lettino dell’analista). Nel montaggio il troppo rigoroso e romanzesco "tutto si tiene" s’è un poco attenuato in favore dello stile: non si sa se il terrorista sia l’assassino dell’eventuale suocero e il fidanzamento di Maruschka ha il valore di un astratto cedimento alla "cura" della comune rispettabilità. Il regista non sarebbe più Bellocchio, se non ci spiegasse che famiglia, benessere, ex terrorismo, pentitismo (ma anche ecologismo, marxismo e ciellismo) fanno parte di una stessa, solidale congiura della normalità. Nel film tratto da Radiguet (citato anche per vezzo cinefilo nel titolo) l’amore del ragazzo con la moglie del soldato al fronte costituiva un oltraggio alla normalità della retorica patriottica (del rispetto ufficiale verso i combattenti); nell’apologo di Bellocchio il ragazzo amoroso è il mezzo che ha Maruschka per uscire dall’orribile normalità del fronte interno. In carcere il fidanzato terrorista ha scritto un inno alla mediocrità che sembra convincente come una poesia di Prévert.
I simboli del profondo, sparsi in ordine fagioliano, possono essere accolti, in mancanza di un’interpretazione autentica, come segnali di una fede partecipata (la gita in barca, soprattutto). Certo, c’è un ristagno narrativo, un’esitazione che non è solo elisione creativa, al centro del racconto; ma è molto furbo e commovente il finale. Pitzalis all’esame di maturità, Maruschka che se lo beve con gli occhi (ha disertato le nozze terroristiche), la professoressa di greco che propone di tradurre alcuni versi dell’Antigone, il contrasto con Creonte, la legge scritta contro la legge morale. "Bravo" dice un professore un po’ corrivo, sollecitando confidenze; ma non attacca, perché il ragazzo non ha ideologie da offrire in cambio. Non è complice, non è precisamente nemico. È imprendibile per adesso, è solo l’amante di Maruschka, è la sua libertà con l’amore.
S. Reggiani, Cinema chissà, Torino, 1991

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Marco Bellocchio
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