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Whiplash


Regia:Chazelle Damien

Cast e credits:
Sceneggiatura: Damien Chazelle; fotografia: Sharone Meir; musiche: Justin Hurwitz; montaggio: Tom Cross; scenografia: Melanie Paizis-Jones; arredamento: Karuna Karmarkar; costume: Lisa Norcia; effetti: Jamison Scott Goei, Ingenuity Engine; suono: Lauren Hadaway; interpreti: Miles Teller (Andrew Neiman), J.K. Simmons (Terence Fletcher), Melissa Benoist (Nicole), Paul Reiser (Jim, padre di Andrew), Austin Stowell (Ryan), Nate Lang (Carl), Chris Mulkey (Zio Frank), Damon Gupton (Sig. Kramer), Suanne Spoke (Zia Emma), Charlie Ian (Dustin), Jayson Blair (Travis), C.J. Vana (Metz), April Grace (Rachel Bornholdt), Henry G. Sanders (Red Henderson), Sam Campisi (Andrew a 8 anni); produzione: Bold Films, in coproduzione con Blumhouse Productions, Right Of Way Films; distribuzione: Warner Bros. Entertainment Italia; origine: Usa, 2014; durata: 105’.

Trama:Andrew Neiman ha 19 anni e sogna di diventare uno dei migliori batteristi jazz della sua generazione. La concorrenza al conservatorio di Manhattan, però, è feroce e lui si allena duramente, anche per non ripercorrere il fallimento di suo padre, aspirante scrittore la cui carriera non è mai decollata. Il suo primo obiettivo è quello di entrare a far parte dell'orchestra diretta da Terence Fletcher, insegnante crudele e intransigente, che non si ferma di fronte a nulla pur di esaltare il potenziale di un suo studente...

Critica (1):(…) Whiplash racconta la storia di Andrew Neiman (l'attore Miles Tener), diciannovenne che studia batteria jazz allo Shaffer Conservatory di New York, una scuola di musica (inventata) fra le più prestigiose degli Stati Uniti. Andrew non ha madre, né fidanzata, né amici, soltanto la propria aspirazione a diventare un grande fra i grandi, il nuovo Buddy Rich, perciò quello che fa dalla mattina
alla sera è ascoltare ed esercitarsi, esercitarsi e ascoltare, e. pestare sulla batteria come un invasato per guadagnare qualche frazione di battuta-per-minuto in più. L'ensemble più esclusivo della scuola è diretto da un insegnante sadico e spietato, Terence Fletcher (J. K. Simmons, che ha già vinto il Golden Globe per la sua interpretazione sopra le righe in tutti i sensi). Alla classe di Fletcher accedono soltanto i migliori musicisti e un giorno Andrew, con sorpresa di tutti, viene convocato. Fletcher lo ha sentito suonare e forse ne è rimasto colpito. Ma l'ingresso di Andrew nell'Olimpo di Fletcher non segna il principio di un idillio, bensì di una spirale distruttiva e perversa, fatta di umiliazioni continue, di violenza verbale e fisica, di isolamento crescente: il lato oscuro e malvagio - forse necessario, ed è questo il dilemma che il film lascia aperto - del rapporto fra un allievo e il suo maestro. Fletcher sostiene che Charlie Parker non sarebbe mai diventato quel Charlie Parker, «Bird», se Jo Jones non gli avesse scagliato addosso un piatto al termine di una performance alquanto mediocre, perciò anche lui, alla ricerca del Bird nella sua classe, lancia piatti, leggi!, sedie, tutto ciò che gli capita a tiro.
A sentire Chazelle, che mi risponde al telefono da qualche angolo della West Coast, buona parte di ciò che è narrato nel film è accaduta davvero. «A diciannove anni, l'età di Andrew, ero ancora un batterista, anche se muovevo i primi passi nella regia. La storia del film si concentra su un periodo che per me fu in realtà appena precedente, gli anni delle superiori, i più intensi per me come musicista. Suonavo in questa big band con un insegnante di primo livello, e la competizione era altissima. Oggi ho più che altro ritirato le bacchette, ma il film è stato un tentativo di tornare a quella fase della mia vita con un po' di oggettività».
Whiplash è il nome di un brano di Hank Levy, un brano in tempo dispari, sincopato, difficile da contare. È quello con cui Andrew viene accolto nell'ensemble di Terence Fletcher ed è quello per cui Fletcher lo prenderà a schiaffi nel tentativo di fargli apprezzare la differenza, talvolta appena percettibile nel jazz, tra «accelerare» e «rallentare». Per Whiplash, Adrew si procurerà tagli profondi nelle mani e un esaurimento nervoso. Quel pezzo diverrà per lui un mostro indomabile, come il Terzo concerto per pianoforte di Rachmaninov per David Helfgott, il pianista del film Shine. E «whiplash », forse non a caso, significa «colpo di frusta». «Da batterista suonavo Whiplash e Caravan. Li ho voluti nel film perché sono dei grandi pezzi, ma non solo: li ho voluti perché sono stati così importanti per me a livello personale. Whiplash è il primo brano che ho sentito suonare quando sono entrato nella big band del conservatorio. Ero seduto dietro il batterista principale, a voltargli le pagine, e cercavo di seguire questo bizzarro tempo in sette quarti. Mi sentivo completamente perso, fuori dal mio elemento. Whiplash si è trasformato in una minaccia costante. Dall'altra parte, Caravan era un godimento, è un pezzo divertente, che racchiude in sé un senso di velocità e di potere. Quei due brani contengono tutta la paura e la gioia di quando ero un batterista».
Nella storia, tuttavia, la paura domina completamente sulla gioia. E una paura multiforme, che si maschera dietro l'ambizione, l'accanimento, poi l'ansia, e infine la paranoia, un atteggiamento unidirezionale che ha fatto Indignare il critico del « l ew Yorker» Richard Brody («Whiplash non onora né il jazz né il cinema!»). Chazelle lo spiega così: «Ci sono molti film sulla felicità della musica, sulla speranza e l'eccitazione che porta, ma io volevo fare un film sulla paura dei musicisti, su quell'angoscia familiare a chiunque stia tentando di creare qualcosa e di farcela in un ambiente competitivo. Non suono più, ma temo che l'ansia del batterista si sia in qualche modo trasferita nell'ansia del regista. II timore di fallire accomuna tutta l'arte. Che tu sia un musicista, un regista o uno scrittore, sei costantemente spinto in misura uguale dalla speranza e dalla paura».
E così, l'apprendistato alla batteria di Andrew assomiglia sempre più a una lotta, a una guerra a tutto campo. In Whiplash compaiono almeno due riferimenti espliciti al cinema: gli insulti barocchi di Fletcher ai suoi allievi, a sfondo omofobo/xenofpbo/misogino a seconda della vittima, fanno riecheggiate quelli del sergente Hartman di Full Metal Jacket, e in un'inquadratura si ha l'impressione evidente di scambiare il viso tumefatto e sudato di Miles Teller con quello di Robert De Niro in Toro scatenato. II musicista jazz come soldato e come pugile, insomma. Nella guerra totale di Andrew Neiman non viene risparmiata neppure la famiglia, incapace di comprendere l'impresa a cui egli si è votato. Viene da chiedersi se Damien Chazelle sappia vivere in un compromesso migliore di quello del suo protagonista. «La tensione fra il lavoro e la vita personale... è qualcosa contro cui combatto ancora. Andrew non è troppo differente da me in questo. Sceglie istintivamente il lavoro a discapito della vita, sceglie le cose che lo porteranno avanti nell'arte a discapito di ogni felicità immediata. Le sue decisioni non sono necessariamente quelle che prenderei o vorrei prendere io, ma capisco la loro origine, il pensiero che sta dietro. Negli anni della scuola di musica il dissidio era molto presente in me e in un certo senso è ancora lì, irrisolto: come si raggiunge un qualche tipo di equilibrio?».
Se il suo equilibrio è ancora lontano fuori dal cinema, è senza dubbio raggiunto dentro quest'opera. Whiplash ha lo strano, rarissimo dono di muoversi nel territorio stretto fra il film d'autore – si permette un certo estremismo, minuti e minuti ininterrotti di batteria in assolo – e il blockbuster possente, perché ha la velocità e la tensione costanti di un film d'azione. Sembra una scelta calibrata al millimetro, degna di una mania di perfezionismo come quella di Andrew. «In realtà, mentre scrivevo la sceneggiatura ero piuttosto naïf. Era tutto basato sui ricordi, come se stessi producendo un'autobiografia, non riuscivo a tenere in considerazione l'accessibilità degli altri alla storia. La mia sola speranza era che se fossi stato davvero specifico in ciò che raccontavo, allora quel racconto sarebbe potuto diventare universale. È sta
to quando abbiamo cominciato a cercare i finanziamenti per il film che mi è risultato chiaro quanto poco il mondo che avevo scelto di narrare fosse commerciale. Ogni singola parte del processo me lo ha ricordato». (…)
Paolo Giordano, Corriere della Sera, 1/02/2015

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