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A est di Bucarest - A Fost sau n-a fost?


Regia:Porumboiu Corneliu

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Corneliu Porumboiu; fotografia: Marius Panduru; musiche: Rotaria; montaggio: Roxana Szel; scenografia: Daniel Raduta; costumi: Monica Raduta; interpreti: Mircea Andreescu (Piscoci), Teo Corban (Virgil Jderescu, Ion Sapdaru (Manescu); produzione: 42 Km Film; distribuzione: Istituto Luce; origine: Romania, 2006; durata: 89'.

Trama:È il 22 dicembre. Sono trascorsi sedici anni dagli sconvolgimenti del 1989 e si sta avvicinando il Natale. Pisconi, un anziano pensionato, si è ritirato a vita privata e si sta preparando a trascorrere ancora una volta le festività tutto da solo. Manescu è un professore di storia scontento di dover dilapidare tutto il suo stipendio mensile per pagare i suoi numerosi debiti. Neppure Jderescu, il proprietario della televisione locale, è interessato al Natale. Quello che desidera, con l'aiuto di Pisconi e Manescu, è trovare la risposta a una domanda che lo assilla da sedici anni: c'è stata veramente una rivoluzione nella loro città?

Critica (1):Che siano violente o pacifiche, ispirate da un cambiamento radicale nell'opinione pubblica o piuttosto fomentate da gruppi piccoli ma influenti, le "rivoluzioni", le grandi svolte, "il giorno dopo" devono sempre fare i conti con la realtà. Che è fatta di privilegi difficili da strappare di mano, di meschinità, di voltafaccia clamorosi. Ce lo ha insegnato l'Ucraina o il Brasile, tanto per fare esempi recenti. E guardando a casa nostra non c'è tanto da stare allegri. Corneliu Porumboiu, giovane regista rumeno (possiamo dirlo, classe 1975) è andato a fare le pulci ai suoi concittadini piuttosto che ai politici. Anzi non è si è spinto oltre il recinto del diroccato quartiere in cui è cresciuto. Si è chiesto: mentre la rivolta popolare costringeva quel comunista megalomane di Ceausescu ad abbandonare in elicottero Bucarest, erano le 12:08 del 22 dicembre dell'89, che cosa facevano i suoi vicini di Vaslui, qualche chilometro a est della capitale? La storiografia delle rivoluzioni vuole per tradizione il popolo inferocito che si solleva come un sol uomo, dalle scalinate del Palazzo alle campagne. Tanto più era abietto il dittatore, tanto più la simultaneità della sollevazione trova conferma nei racconti popolari. Eppure A est di Bucarest ha una storia (di fiction) più obliqua, sgangherata, meschina da consegnare ai posteri. Poromboiu ha filmato comunissime esistenze dentro i loro spazi, squallidi ma che profumano di poesia. Anti-eroi che appena possono si dileguano dentro postacci da due soldi, offendendo l'ultimo di turno. In questo caso un cinese che, nella gag del bazar, regala schegge di comicità sintetica. Insomma, per rifarci ad un esempio recente, spostandosi quasi di 180°, il film rumeno ricorda in parte le atmosfere di Whisky, piccolo gioiello uruguayano di Stoll e Rebella (pace all'anima sua).
C'è un ex ingegnere, Jderescu (Teo Corban), convertitosi giornalista televisivo in un'emittente locale, quelle con gli sfondi fissi e uno studio-bugigattolo, che vuole dedicare una trasmissione all'anniversario della rivoluzione del 22 dicembre. Dopo vane ricerche per avere due commentatori decenti, per quanto Vaslui possa offrire, ripiega su Piscoci (Mircea Andreescu) e Manescu (Ion Sapdaru). Il primo è un combattivo pensionato che tira avanti con poco, sente un po' la nostalgia della moglie e se riesce darà una lezione ai teppistelli che lo torturano con i mortaretti. L'altro è un insegnante di storia che passa la vita nei bar a spendere lo stipendio in alcool, tentando di darla a bere alla moglie (non a casa il primo corto di Poromboiu si chiamava Gone with the wine). Quando parte la diretta Jderescu disattende al suo ennesimo tentativo di darsi un tono da anchorman di provincia e sollevare la conversazione. Alla sua domanda ("Che cosa facevate quel giorno?") i due ospiti rispondono in maniera improbabile. La situazione diventa ingestibile sommando gli interventi dei telespettatori che telefonano in studio: smontano le versioni fornite dagli ospiti (ma che rivoluzionari della prima ora!), dicono la loro senza filtro, diventano la voce dell'assurdo che si sostituisce all'inutilità della ricostruzione storica. Una telespettatrice li lascia di sasso: "Mentre parlate sta nevicando. Siate felici per questa neve perchè domani sarà di nuovo tutto fango". Fango che sta forse per falso, corrotto, sporco, artificioso. Una resa fatalista (giustificabile o meno) alla mera sopravvivenza, lasciando agli altri i giochi più opportunisti.
A est di Bucarest, come è accaduto appunto per Whisky, è un piccolo capolavoro low-fi destinato a sgomitare senza successo nelle sale italiane (esce in 20 copie, una al "Nuovo Sacher" di Moretti). E poi, si fa per dire, tra Cannes (dove ha vinto la Camera d'Or), il Bobbio Film Fest (premiato da Marco Bellocchio) e il Festival Terra di Siena di Verdone (che gli ha consegnato il premio del pubblico durante la conferenza stampa romana per l'uscita), lo zoccolo duro dei cinefili lo ha già visto. E molti avranno pensato che è il tipico film che è facile fare. Piani sequenza, telecamera fissa, approccio da improvvisazione, incisi caratteristici come i lampioni che si spengono nell'alba dell'inizio e si accedono all'imbrunire della chiusa. Eppure bisogna nascere in quelle case scalcinate, convivere con quella mobilia da socialismo reale, osservare per mesi le buche delle strade sempre più grandi e il decadimento di palazzi razionalisti affacciati su enormi piazze per sviluppare uno sguardo "affettuoso" per quello squallore. Non è un caso che nel film una piccola banda suoni musica latinoamericana con la tipica punk-attitude di tanti musicisti slavi. Poromboiu ha fatto l'unico film che poteva venire da "una nazione in stato di convalescienza" (come l'ha definita). Che sia per l'alcool, per la fame, per l'attitudine caratteriale di un popolo innamorato degli accostamenti strani o piuttosto per lo stordimento del brusco risveglio di un sogno irrealizzato, questo ce lo dovrebbero spiegare loro.
pasquale.colizzi@fastwebnet.it

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Corneliu Porumboiu
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