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Gioventù bruciata - Rebel Without a Cause


Regia:Ray Nicholas

Cast e credits:
Soggetto: Nicholas Ray; sceneggiatura: Irving Shulman, Stewart Stern; fotografia: Ernest Haller; musiche: Leonard Rosenman; montaggio: William H. Ziegler; scenografia: Malcolm C. Bert; costumi: Moss Mabry; interpreti: James Dean (Jim Stark), Natalie Wood (Judy), Sal Mineo (Plato), Jim Backus (Frank, il padre di Jim), Ann Doran (Carol, la madre di Jim), Corey Allen (Buzz Gunderson), William Hopper (padre di Judy), Rochelle Hudson (madre di Judy), Dennis Hooper (Goon), Edward Platt (Ray Fremick), Steffy Sidney (Mil), Marietta Canty (governante di Plato), Virginia Brissac (nonna di Jim), Beverly Long (Helen), Ian Wolfe (Dottor Milton), Frank Mazzola (Crunch), Robert Foulk (Gene), Jack Simmons (Cookie), Tom Bernard (Harry), Nick Adams (Moose), Clifford Morris (Cliff); produzione: Warner Bros. Pictures; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Usa, 1955; durata: 111’. Vietato 16

Trama:Il diciassettenne Jim Stark viene arrestato per ubriachezza molesta e, quando i genitori e la nonna vengono a prelevarlo nella locale stazione di polizia, l'agente Ray Fremick della sezione minorile comprende le ragioni del comportamento del ragazzo, recentemente trasferitosi in città a seguito di un evento violento occorsogli in precedenza, e della sua incomunicabilità con i genitori.
Jim conosce Judy, una ragazza vicina di casa che ha un rapporto difficile col padre e che ha intravisto alla stazione di polizia, fermata a seguito di una rissa dove sono stati coinvolti i suoi amici, una piccola banda il cui capo è Buzz, e in seguito incontra Plato, un giovane lasciato solo dai genitori che lo mitizza immediatamente.Dopo che la banda ha bucato una gomma dell’auto di Jim di fronte alla scuola, Buzz lo invita a partecipare ad una prova di coraggio: la cosiddetta chicken run, che consiste nel lanciarsi a forte velocità a bordo di una macchina e gettarsi fuori prima che questa precipiti nello strapiombo sul mare. Jim decide di partecipare alla prova che tuttavia si risolve tragicamente con la morte di Buzz.
Jim sceglie, a dispetto del parere dei genitori, di parlare con l'agente Fremick; gli amici di Buzz, convocati dalla polizia, lo vedono entrare nella stazione e si mettono alla sua ricerca. Egli nel frattempo, insieme a Judy e Plato, si reca in una vecchia villa disabitata dove Plato è solito rifugiarsi per rimanere in solitudine, e i due, oltre a raccoglierne le confidenze, scoprono di essere innamorati. Ma tre degli amici di Buzz, arrivano alla villa dove cercano di aggredire Plato, trovato addormentato, ma questi, armato di pistola, ne ferisce uno e spara anche contro un poliziotto
Mentre i genitori e la polizia accorrono alla villa, Jim cerca di calmare Plato, convincendolo ad uscire con la pistola scarica, ma i poliziotti vedendo il ragazzo armato, gli sparano uccidendolo.

Critica (1):Rebel without a Cause resta la rappresentazione hollywoodiana più emblematica della gioventù moderna (gli italiani e altri europei avevano già compiuto questa ricognizione), non più incarnata dalle presenze stereotipate di Shirley Temple e Mickey Rooney ma da creature fragili, tormentate e disorientate sulla soglia dell'età adulta. Nessun altro film seppe addentrarsi così tanto in questa tematica. Il saggio del dottor Robert Lindner da cui fu tratto il film era sepolto negli archivi della Warner dal 1946 e fu ripescato proprio quando la tematica giovanile si stava facendo scottante. I giovani attori trovarono nel regista un'anima affine che li capiva e che sapeva vedere nell'onore e nella dignità le caratteristiche salienti – già oltre la portata delle persone più anziane – della loro generazione. Il ritratto che Nicholas Ray fece di James Dean (e naturalmente di Natalie Wood e Sal Mineo) era plausibile e trattava con irriverenza i precetti dell'Actors' Studio. Non a caso, contrariamente a Kazan e a Stevens, Ray fu il solo a non lamentarsi del carattere di James Dean.
Il film traeva la propria verosimiglianza dalla ricerca antropologica, sempre cara a Nicholas Ray. Ma non avrebbe potuto conquistare il rango di verità eterna senza il CinemaScope (nel glorioso formato 2.55:1) e il colore (ricordiamo che il film fu girato per dieci giorni in bianco e nero prima che la Warner Bros. decidesse il passaggio al colore): lo testimoniano già i primi sensazionali minuti nella stazione di polizia. La messinscena è fondamentale in questo sottile e improbabile melodramma condensato in ventiquattro ore. I giovani volti di Dean e Wood, prima estranei l'uno all'altra e ora costretti ad affrontare l'ignoto, mettono in campo la tenerezza quale sorprendente antagonista di un mondo troppo crudele e la miracolosa forza dell'innocenza ancora intatta.
Anche i luoghi, come il planetario e la sua notte artificiale seguita da una notte vera e dai suoi lampi di vita familiare, offrono un efficace contrasto con l'ipocrisia del mondo adulto. Ma le parole più eloquenti restano quelle di François Truffaut, che considerava James Dean "un eroe baudelairiano": "In James Dean i giovani d'oggi si ritrovano completamente, e più che per le ragioni che si citano di solito, violenza, sadismo, frenesia, malvagità, pessimismo e crudeltà, per altre infinitamente più semplici e quotidiane: pudore dei sentimenti, fantasia in ogni occasione, purezza morale senza rapporti con la morale corrente ma più rigorosa, gusto inestinguibile dell'adolescente per la competizione, ebbrezza, orgoglio e rimpianto di sentirsi 'fuori' della società, rifiuto e desiderio di integrarsi e infine accettazione - o rifiuto - del mondo come è".
Peter von Bagh, cinetecadibologna.it

Critica (2):Rebel without a Cause è una delle cose più belle del cinema americano degli anni cinquanta. Ha letto le ossessioni di una generazione, con qualche anno di anticipo. L'immaginario cinematografico aveva sfruttato in molte occasioni la figura del giovane ribelle. Per lo stesso Ray questo personaggio non costituiva una novità: il suo ragazzo-bandito Bowie e il suo assassino faccia d'angelo Nick Romano, ragazzi cresciuti nella miseria e spinti alla violenza dall'infelicità sociale, ne sono
la prova. Ma ecco la differenza – la ribellione di James è, apparentemente, priva di giustificazioni, proprio « without a cause » (il titolo deve far i conti col moralismo della Hollywood anni cinquanta). Jimmy Stark è un ragazzo ricco. Alle spalle ha un'infanzia serena. È figlio unico. I genitori lo hanno circondato – e lo circondano – di ogni attenzione. Che cosa, dunque, lo spinge a diventare un rebel? Ci sono due risposte: la prima è di ordine sociologico ed implica una certa analisi della società americana di quel periodo; la seconda è di ordine filosofico e riguarda più direttamente la poetica rayana.
La felicità della classe media, negli anni cinquanta, era uno dei pilastri psicologici dell'America. Contraddirla era come bestemmiare (da tale punto di vista il film altro non era che una bestemmia, seppur raddolcita dal «without a cause» del titolo) . Questa felicità risiedeva nella cultura del benessere e nell'esaltazione calvinista della produttività del lavoro umano, una religione positiva che faceva tutt'uno col moralismo capitalista ed era esaltata anche dal clima della caccia alle streghe.
La generazione che negli anni cinquanta compiva i suoi cinquant'anni aveva conosciuto in età già adulta i disagi della guerra e ora sognava un'America simile a quella dell'anteguerra, isolata dal resto del mondo come per evitarne il contagio (il pericolo rosso era solo il più appariscente dei rischi, ma ce n'erano molti altri, a cominciare dall'inarrestabile corrente dell'immigrazione). Era una generazione gelosa della sua piccola felicità. La generazione successiva provò una sorta di disprezzo verso queste volgari ambizioni: aveva vissuto la guerra in condizioni diverse, i suoi fantasmi li aveva confusi con le fantasie infantili, subendo però in molti casi il trauma dell'assenza di uno dei genitori. Non poteva nutrire nostalgie verso un passato che non aveva conosciuto e sentiva di non potere aderire alle aspirazioni dei padri, a questa richiesta di felicità nell'abbondanza.
La frattura tra le generazioni era probabilmente diffusa in ogni strato della società, ma si manifestava con maggior evidenza nella classe media che, più degli altri ceti, tendeva a dare un'immagine definita di sé (Ray dedicherà un altro film ai problemi psicologici della media e piccola borghesia americana, Bigger Than Life). Nel decennio successivo questa specie di insoddisfazione strisciante esploderà in un vastissimo movimento d'opinione che, partendo dal college – luogo dove si formano i rampolli della borghesia danarosa – si estenderà a tutta la società americana.
Il Jimmy Stark di Rebel without a Cause è, dunque, un personaggio di attualità nell'America degli anni cinquanta. A ciò si deve, probabilmente, il grande successo del film, i cui personaggi resteranno un modello di etica e di comportamento per almeno quindici anni. Ma Jimmy non è solo questo. È anche uno dei tanti loser rayani, il tassello di un puzzle che si va componendo nella filmografia del regista. Vista in quest'ottica, la sua ribellione ha un significato diverso. Il fatto che essa sia «without a cause» va collegato a quell'inspiegabile sofferenza alla quale sono condannati gli adolescenti che cercano invano di diventare adulti. (…)
Naturalmente, il rapporto padre-figlio costituisce uno dei perni su cui ruota Rebel without a Cause. Vale la pena di soffermarsi sul modo nel quale Ray lo presenta. Il rapporto si articola in due parti contigue che qua e là appaiono anche sovrapposte: dapprima la partita si gioca tra mister Stark e suo figlio James; poi, quando il racconto entra nella fase cruciale, James stesso diventa «padre » per il suo amico Plato. La paternità in Ray è solo di rado un rapporto di sangue. Di solito è l'adozione di un personaggio bisognoso di protezione da parte di un altro personaggio che mostra una maggior sicurezza e una identità meglio definita, conquistata a duro prezzo. Si noti con quanta armonia proceda il racconto nel quale si alternano sequenze fascinose (come quella della lezione al planetario) e scene violente (il successivo incontro tra jim e Buzz). Allo stesso modo Jimmy è prima figlio e poi, subito dopo, «padre». In taluni momenti è sia figlio che padre: conosce la sua parte e quella del suo antagonista. Il suo carattere cinematografico si articola in due metà contrastanti che, messe insieme ricompongono un'unità.
Quando è nelle vesti di «padre», Jimmy si comporta con Plato come vorrebbe che suo padre facesse con lui: è un padre perfetto per quella generazione. Cionostante, il suo rapporto con Plato si conclude in maniera tragica: il ragazzo viene ucciso dai poliziotti. C'è un profondo pessimismo in tutto ciò. È una resa incondizionata all'impossibilità di trovare un rapporto positivo con i propri «figli», vera e propria ossessione che seguirà Ray fino a We Can't Go Home Again (il professore che s'impicca perché non riesce ad avere un rapporto onesto con i suoi allievi) e praticamente fino alla tomba (in fondo questo è anche il tema di Nick's Movie) . Jimmv, passando dal ruolo di figlio a quello di padre, si ritrova liberato dall'impossibilità di diventare adulto. Di questa raggiunta maturità è segno l'amore per Judy. Ma il problema non è cancellato; è semplicemente trasferito da Jim a Plato, che adesso è il «figlio» (…) La messa in scena di Rebel without a Cause è splendida, "fiammeggiante" (si pensi solo alla scelta dei colori, al romanticismo sfrenato del giubbotto rosso che Jim depone sul cadavere di Plato), come quella di Johnny Guitar. A quel film ci riporta anche la grande abilità nello spostare i personaggi all'interno dello spazio del fotogramma. Esemplare da questo punto di vista la sequenza della «corsa del coniglio». Le automobili degli spettatori sono disposte su due file convergenti (a proposito, proprio allora in America c'è il boom dei drive in) e, coi fari accesi, delimitano lo spazio nel quale avrà luogo il confronto. Judy, la donna, ombelico del dramma, sta proprio nel mezzo, e con le braccia alzate dà il segnale di partenza. Le due auto scattano sgommando e sfrecciano di fianco a lei, la sfiorano quasi, prima di avventarsi sul precipizio. Ponendo Judy al centro di questa arena Ray vuole mostrarci come la ragazza sia dentro il "gioco", (oggetto della sfida, premio promesso al vincitore, vittima ecc.). Ed è una idea resa alla perfezione: questo vuol dire essere un grande metteur en scène. (…)
Stefano Masi, Nicholas Ray, Il Castoro cinema, 5-6/1983

Critica (3):

Critica (4):
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