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Storia ufficiale (La) - Historia Oficial (La)


Regia:Puenzo Luis

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Aida Bortnik e Luis Puenzo; fotografia: Felix Monti; montaggio: Juan Carlos Macias; musica: Atilio Stampone; interpreti: Norma Aleandro (Alicia), Hector Alterio (Roberto), Chela Ruiz (Sara), Chunchuna Villafane (Ana), Ugo Arana (Enrique), Patricio Contreras (Benitez), Guillermo Battaglia (José), Maria Luisa Robledo (Nata), Jorge Petraglia (Macci), Analia Castro (Gaby); produzione: Marcelo Pineyro per Historias Cinematograficas Cinemania; distribuzione: Filmauro; origine: Argentina, 1985;; durata: 112'.

Trama:Buenos Aires, 1983. Alicia, un’ insegnante che ha oltrepassato la quarantina, si presenta alla sua nuova classe. Insegna storia, farà rispettare l’ordine e la disciplina. Gli studenti le sembrano ostili, "La storia ufficiale è menzognera", afferma uno di loro, "perché sono gli assassini che scrivono la storia". Alicia è sposata con Roberto, un uomo d’affari, e ha una figlia adottiva, Gaby, di cinque anni. I due coniugi frequentano il mondo della borghesia conservatrice nel quale un giorno si ripresenta Ana, una compagna di scuola di Alicia, fuggita dall’Argentina dopo essere stata perseguitata e torturata durante il deposto regime militare. Il drammatico racconto di Ana turba Alicia, rivelandole un mondo che in apparenza le era sconosciuto. La scoperta del dramma dei desaparecidos, nel quale erano stati coinvolti anche dei neonati, fa sorgere nella donna una domanda: "La madre di Gaby era d’accordo sull’adozione?". Il marito e il confessore non le danno risposte capaci d’appagarla. Alicia vuol ricercare la verità: e parte dall’archivio dell’ospedale dove sarebbe nata la bambina. Qui incontra una militante del movimento delle madri della Plaza de Mayo. Costei la mette in contatto con una donna che potrebbe essere la nonna di Gaby. L’incontro tra le due donne conferma i sospetti di Alicia: la bimba sarebbe stata strappata ai genitori, due desoparecidos. Roberto confuta nervosamente i sospetti della moglie, ma non le rivela dove ha trovato la bimba. Un giorno Alicia porta in casa la presunta nonna di Gaby e sfida l’ira di Roberto. Tra i due coniugi la frattura diventa irreparabile. lI marito non vuole rivangare un passato di gravi compromessi col regime militare. Alicia abbandona la casa, accettando la solitudine.

Critica (1):La Storia ufficiale costituisce un indiretto ma esemplare approccio alla più grande tragedia argentina del secolo: la degenerazione in genocidio della "guerra sporca" contro il terrorismo, combattuta dai militari golpisti nella seconda metà degli anni Settanta. Il film non presenta rapimenti o eliminazioni di persone. Il fatto criminale è già avvenuto, ma nella penombra. Le bombe della "guerra sporca" hanno lasciate intatte le strade e le facciate delle case. Lo scandalo vi fu, ma silenzioso. Luis Puenzo, il regista, non crede certamente al film politico genere manifesto. Non ha ideologie da servire, ma solo un impegno civile. "La Storia ufficiale è un’opera sulla memoria o, meglio, sulla voluta mancanza di memoria", spiega. Di fatto questo film è un rimprovero per il passato e anche un monito per l’avvenire: l’Argentina della rinata democrazia, dopo aver condannato una ventina di criminali in divisa, si è dotata da qualche mese di una legge per la quale non è più possibile intentare processi a carico dei militari che si sono macchiati di crimini durante la dittatura. Consapevole o meno, Puenzo va anche oltre gli ampi confini latino-americani: parla della malattia mortale che può colpire una democrazia non partecipata e della condizione delle donne nella polis.
Il soggetto intimista, l’ambiente della media e alta borghesia, la prevalente presenza dei mondo femminile indicano bene il proposito del regista: fare un film politico contrabbandandolo da dramma psicologico. In un Paese che non ha voluto sapere e non vuol ricordare ("En el Pais del No-meacuerdo", canta nel film Maria Elene Walsh), Puenzo paga il prezzo necessario, ma non accetta alcuna rinuncia. Il grande successo arriso in patria al film – anche se solo a seguito dei premio all’interpretazione vinto a Cannes e dell’Oscar hollywoodiano – dice che la scommessa dei regista è stata vinta. Grazie a Puenzo, è più difficile oggi in Argentina pensare che la scomparsa di 30mila persone sia un caso privato, che riguarda solo le vittime e i persecutori. Il monito del film non si rivolge solo alle società che vivono sotto le dittature: disagio e fuga sono anche caratteristiche delle democrazie che vivono nel sonno e nell’apatia. Il regista indica a tutti, a partire dalla storia di Alicia, i pericoli di cui la gente comune, che sceglie l’ignoranza e la passività, finisce per essere vittima. "La maggior parte di noi argentini ha creduto di non essere vittima o carnefice. Adesso abbiamo scoperto di essere stati entrambi", confessa il regista. Il non sapere accomuna colpevoli e vittime, anzi degrada le vittime a colpevoli. Puenzo, pur amando la storia privata al limiti del melodramma, ci fa intravvedere il sotterraneo groviglio di complicità, connivenze, ricatti intessuti dal mondo degli affari e dalla dittatura militare al suo servizio. Di quest’ambigua complicità del silenzio, la sceneggiatura, firmata con il regista da Aida Bortnik, è un modello: di tutti i personaggi vengono fornite le ragioni, indicati i capi d’accusa e di difesa perché il giudizio dello spettatore sia un giudizio complesso e, pertanto, più vero. Alicia accetta la "storia ufficiale", vive in un equilibrio delicato, dove non si dice ciò che si pensa e non si pensa "ciò che è bene non pensare". Ma inesorabilmente è gettata sul cammino della presa di coscienza. Non perché sia un’intellettuale, ma perché comincia a temere che la "sua" Gaby sia la figlia di una desaparecida. Alicia sembra avere le dimensioni di un personaggio della tragedia greca: un giorno guarda e "vede". Dopo quel giorno, come Edipo, non potrà più sopportare di non conoscere la verità, anche se questa conoscenza significa la perdita del paradiso. Andrà fino al bordo dell’abisso pur di accedere alla conoscenza. Raggiungerà la meta, ma non avrà alcuna consolazione: l’attraversamento di tanti orrori non l’ammette. Perderà il suo uomo; non avrà la bambina. Roberto, il marito, viene smascherato nella sua veste di protagonista - complice - spettatore di misfatti. Attraverso questo personaggio, visto nella sua dimensione domestica, ma anche lavorativa e mondana, Puenzo getta uno sguardo sulla "patria finanziaria" di cui parlavano i generali golpisti. Sufficiente a far capire che i militari agirono in Argentina come un esercito d’occupazione a servizio di un progetto economico che dovette fare ricorso, tra le altre, a una nuova figura giuridica a mezza via tra la vita e la morte: quella del desaparecido. Mentre l’eroe hitleriano era il superuomo di Nietzsche, quello di Pol Pot un’avanguardia rivoluzionarla allucinata, l’eroe della dittatura argentina è un piccolo uomo ansioso di iscriversi nel mondo dei "vincenti". In questa requisitoria contro la dittatura militare, Puenzo sta ben attento a non introdurre uomini in divisa, suggerendoci implicitamente che i militari non erano che intermediari operativi tra carnefici e vittime. Roberto non pagherà le sue colpe perché la storia ufficiale non dà prove, perché, come dice a scuola uno studente, "è scritta dagli assassini". Dovrà tuttavia un giorno spiegare a Gaby la sua origine oscura: la parola sarà, ancora una volta, menzogna, cioè "storia ufficiale".
Non c’è niente di manicheo in questo film terribilmente politico. Luis Puenzo ritrae un ambiente che conosce benissimo: quello della borghesia di Buenos Aires, con le sue colpe, le sue nevrosi, i suoi segreti. Stranamente questo regista, che viene dalla pubblicità, ed è qui al suo terzo film, riesce in un’impresa che sembrava impossibile ai registi latino-americani: accostare silenziosamente i drammi. In questo silenzio, Puenzo riesce a individuare il legame diretto, negato tenacemente dalla falsa coscienza dei suoi connazionali, tra quelli che sotto la dittatura avevano perso soltanto le illusioni e quelli che erano stati privati dei figli. Solo di rado il regista si lascia sedurre dalla tortuosità del racconto e dalla passione per il melodramma. Quando invece scandaglia sui visi, registra parole appena sussurrate, pedina i personaggi nella solitudine, spazia tra le luci soft di una casa ricca di Buenos Aires, trova le sue note più significative. In un’Argentina che per anni ha vissuto di dimenticanze e finzioni, La Storia ufficiale restituisce senso alle parole e ai valori.
Nel personaggio di Alicia, straordinariamente interpretato da Norma Aleandro, e negli altri mai casuali personaggi femminili, Puenzo sembra condurre anche una rilevazione sociologica sulla estraneità delle donne dalla politica, sulla loro scelta di non voler sapere, sull’esproprio di conoscenza di cui sono vittime. Dalle loro "case di bambole" sono uscite Ana, l’amica torturata, per aver sofferto nelle viscere, e le madri della Plaza de Mayo per un eccesso di dolore. Diventeranno comuni cittadine di un Paese dove l’orrore s’impone anche a chi pretende d’ignorarlo. Uscirà anche Alicia, dalla sua "casa di bambola", ma quando tutto sarà perduto. Questa presa di coscienza non necessita, come troppe volte al cinema, di motivazioni sentimentali. Un collega rivela alla protagonista, già caduta nella spirale della conoscenza, la possibilità di essere ancora una donna desiderabile, ma il regista resta ben attento a non oltrepassare questa soglia. Non offre pretesto per dire che l’ideologia entra nel letto della protagonista. Questa Alicia timida, quasi assente, attenta a non deragliare dai binari della più banale quotidianità, si apre all’avventura e vive la sua condizione umana. Divenuta, alla fine, protagonista di una storia "non ufficiale", scoprirà che il tentativo di rifugiarsi nell’individualismo equivale a portare con sé, nel proprio rifugio, una parte della tragedia di tutti.
Giorgio Rinaldi, Cineforum, n. 263, aprile 1987

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Luis Puenzo
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