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Accusa (L') - Choses humaines (Les)


Regia:Attal Yvan

Cast e credits:
Sceneggiatura:Yvan Attal, Yaël Langmann; fotografia: Rémy Chevrin; montaggio: Albertine Lastera; musica: Mathieu Lamboley; interpreti: Charlotte Gainsbourg, Mathieu Kassovitz, Laëtitia Eïdo, Camille Razat, Pierre Arditi, Benjamin Lavernhe, Audrey Dana, Judith Chemla, Ben Attal, Franz-Rudolf Lang, Romain Barreau, Suzanne Jouannet; produzione: Curiosa Films, Films Sous Influence; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia, 2021; durata: 138'.

Trama:Il film racconta la storia di una coppia sposata, i Farel, formata da Jean, opinionista francese, e Claire, saggista e femminista. I due hanno un figlio, Alexandre, che studia in un'università americana ed è uno studente modello.
Quando si reca a Parigi, Alexandre si imbatte in Mila, una giovane donna figlia dell'amante di sua madre e la invita a prendere parte con lui a una festa. Il giorno successivo la ragazza denuncia Alexandre per stupro. È una vittima o solo in un desiderio di vendetta, come sostiene l'imputato? L'accusa di violenza porta l'equilibrio familiare dei Farel a incrinarsi e le loro vite in frantumi, ma quale è la verità?

Critica (1):Il titolo originale de L’Accusa, presentato fuori concorso a Venezia 78, tratto dal romanzo di Karine Tuil, è Le choses humaines. La connotazione generica di questo titolo è in realtà puntuale nel cogliere il carattere sociale, essenzialmente politico delle conseguenze dell’evento sul quale si impernia l’opera, un presunto stupro.
Lo stesso fatto colto da due percezioni diverse; la stessa realtà ma due verità a narrarla, entrambe credibili e fondamentalmente oneste. La vicenda si svolge a Parigi e parte dal 2018: Il giovane Alexandre Farel (Ben Attal), figlio di un noto conduttore televisivo (Pierre Arditi) e di una saggista femminista (Charlotte Gainsbourg), viene accusato dalla figlia del compagno della madre (Mathieu Kassovitz), dopo una serata finita con una stupida scommessa tra maschi. Seguirà un’inchiesta giudiziaria e poi un processo, in cui tutte le parti sociali saranno coinvolte.
Yvan Attal, che qui abbandona drasticamente le note comiche e surreali delle sue prime esperienze registiche, sceglie di lavorare con la moglie Charlotte Gainsbourg e il figlio Ben Attal, trasposti dal domestico al finzionale. Il racconto segue le conseguenze emotive ed esistenziali dei protagonisti e dei loro parenti senza scadere nel melodramma famigliare. L’approccio scelto da Attal è prettamente sociologico che fa della coralità un vettore per una resa imparziale dei fatti. È proprio l’attenzione all’emotività e alla psicologia di ogni personaggio a restituire un andamento che proprio per il suo carattere soggettivo risulta paradossalmente oggettivo, in qualche modo scientifico. Queste soggettività collettive – il dramma della madre dell’accusato, il rapporto pulsionale e predatorio del padre con l’altro sesso – riescono ad animare il film e al contempo renderlo austero, in bilico tra il pathos di una tragedia e il distacco di un’indagine antropologica.
È così che in L’accusa, morale e giustizia si compenetrano, si impediscono vicendevolmente, ponendo lo spettatore ora nel ruolo di accusato, ora di vittima, infine di giurato. La coralità dei punti di vista, oltre a rendere la vicenda avvincente ed immersiva, esprimono al massimo la potenza del mezzo cinematografico, nel dipanarsi di campi e controcampi emotivi che non si risolvono mai in una esatta corrispondenza. Il movimento #metoo e l’annosa questione del rapporto tra maschile e femminile, si condensano e sfumano nel qui e ora negato di venti minuti di una fredda serata parigina. Le due parti in causa sono fratellastri, legati ma in fondo estranei per cultura, classe sociale e formazione.
Il fulcro tematico di L’accusa s’interroga proprio su cosa possa determinare la diversa percezione di un medesimo evento, partendo da premesse culturali, psicologiche e di classe sociale. Nel film, viene spesso ripetuta la formula di “zona grigia”: un luogo dove niente è definitivamente bianco o nero, uno spazio concettuale in cui una verità non nega l’altra. A questo proposito, è importante dire che L’accusa è un film riflessivo per quanto incalzante, che tratta della complessità del reale. Con una regia ora trasparente e fluida ora ellittica, laconica sulla vicenda, Attal favorisce l’approccio critico dello spettatore alla vicenda narrata.
In questo senso, il thrilling e il legal drama si stratificano maggiormente: la suspence che immerge il fruitore nella vicenda non è quindi legata all’antica domanda del “come andrà a finire”, perché un finale come attestazione qui non è possibile. Ne risulta un dramma corale, solenne e rigoroso, che, nel sontuoso piano sequenza delle arringhe finali, attesta nel dato visuale, coi suoi movimenti di macchina vorticosi e fluidi, l’impossibilità di un punto di vista unico e unito su ciò che è stato.
Matteo Bonfiglioli, cineforum.it, 1/3/2022

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Critica (3):

Critica (4):
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