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Italiani brava gente


Regia:De Santis Giuseppe

Cast e credits:
Soggetto
: Ennio De Concini, Giuseppe De Santis; sceneggiatura: Serghej Smirnov, Ennio De Concini, Giuseppe De Santis, Augusto Frassinetti, Gian Domenico Giagni; fotografia: Tony Secchi (operatori: Gino Santini); scenografia: Ermanno Manco; costumi: Luciana Marinucci; montaggio: Mario Serandrei, Claudia Moskvina; musica: Armando Travajoli; fonici: Fausto Ancillai, Sergio Marco­tulli, Nino Renda; interpreti: Arthur Kennedy (Ferro Maria Ferri), Tatiana Samoilova (Sonja), Gianna Prokhorenko (Katja), Raffaele Pisu (Libero Gabrielli), Andrea Checchi (colonnello Sermonti), Riccardo Cucciolla (Giuseppe Sanna), Nino Vingelli (sergente Manfredonia), Lev Prygunov (Loris Bazzocchi), Peter Falk (tenente medico Mario Salvioni), Grigorij Mihailov (parti­giano), Valery Somov (Giuliani), Gino Pernice (Collodi), Boris Kozhukhov (un maggiore), S.Lukyanov (comandante partigiano), Yu Kaberdaze (prigioniero russo), I. Paramanov (tedesco nascosto), E. Knausmuller (generale tedesco), Ya. Yanakiev (medico), Vincen­zo Polizzi (il siciliano), Franco Morici, Pasqualino Ferri, Mario Annibali, Alvaro Ceccarelli, Livia Contardi; produzione: Lionello Santi per Mosfilm e Galatea; origine: Italia, 1964.; durata: 104'.

Trama:È la storia di un reggimento italiano in Russia durante la campagna 1941-1943, vista con gli occhi di un agricoltore emiliano, di un idraulico romano, di un minatore pugliese e di un colonnello, tutti dispersi nella tragica disfatta.

Critica (1):Il film fu girato nei luoghi della campagna italiana di Russia, sul fronte del Don e su quello del fiume Bug, in Bessarabia, a Odessa e a Dniepropetrovsk. Ma – pur in Russia – rivivono luoghi umani tipicamente nazionali, attraverso le figure dei nostri soldati, che – per comportamento, indole e parlata – sono non tanto “italiani” quanto pugliesi, emiliani, siciliani, romani, napoletani. È quanto era già accaduto per La strada lunga un anno. Ma in Italiani brava gente c’è una sostanza ideologica alla base di questo “spostamento”: l’internazionalismo operaio e contadino. Un campo di grano è un campo di grano in ogni paese. “Oggi la Russia mi pareva la piana di Cerignola: quel pezzo di terra vicino a casa nostra”, scrive in una lettera ai suoi cari il soldatino Sanna Giuseppe. E un commilitone, idealmente, gli fa eco: “Al paese si dice che il nonno di mio nonno era nato da queste parti”. Affiora qui, ancora una volta, un possibile so­strato di cristianesimo sociale, filtrato attraverso quei valori operai di solidarietà e fratellanza che a De Santis sono così cari.
La tecnico narrativa usata in Italiani brava gente recupera la componente letteraria già rivelata in altre opere del regista di Fondi: in questo film torna in auge la voce fuori campo, anche se ad essa non è più affidato il dire esplicito dell’autore, come accadeva in Caccia tragica. Del resto, dopo un quarto di secolo di (dolorosa) presenza nel cinema italiano, De Santis non ha più bisogno di un dire così esplicito, anche perché ormai non ci crede più ed il suo progetto è stato smontato.
Un elemento letterario – marginale – è costituito dai resti delle lettere scritte dai soldati italiani ai loro parenti che li aspettano. Ma, dove la presenza di questa inclinazione letteraria – mai sopita nel cinema di De Santis, anzi fortemente caratterizzante – si avverte con più vigore è proprio nella struttura di base del racconto; struttura che identifica i sog­getti parlanti di Italiani brava gente nei soldati morti durante la campagna di Russia. La voce di questi morti giunse dall’aldilà, o meglio da sottoterra, come quella dei protagonisti della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters, che “dormivano sulla collina”.
Alla letteratura americana è ispirato pure l’anti-eroismo di molti dei soldati in Italiani brava gente. Particolarmente felice è la costruzione del personaggio del tenente napoletano Mario Salvioni, uno scansapericoli che, solo per orgoglio, veste i panni dell’eroe e finisce per trovare la morte nel più stupido dei modi. Peter Falk è molto bravo nei panni di questo gagà napoletano. La sua non è la comicità drammatica di La grande guerra. Il personaggio che egli interpreta è simile, piuttosto, a quello del marinaio burlone di Roma ore 11, per la sua surreale assurdità, quasi zavattiniana. Mentre i partigiani russi lo conducono al loro accampamento, egli chiede ad uno di questi “comunisti atei”: “Ma se non credete in Dio con chi ve la prende­te quando dovete bestemmiare?”. E alla bella partigiana molto seriamente fa la corte: “Tu sei proprio una bella ciaciona. Se capiti a Napoli ricordati che io abito in via Partenope numero 263, interno 8”. E aggiunge: “Ma prima di venire telefona!”.
Effettivamente, Italiani brava gente è uno strano film di guerra, perché intrattiene particolari rapporti con la comicità. Lo sottolinea anche Farassino nella sua eccellente monografia laddove afferma che l’idea base del film consiste nel “prendere un attore comico (in questo caso Mario Pisu), buttarlo in un mondo più grande di lui dove cerchi disperatamente di sopravvive­re e alla fine annullare l’estraneità tipica del personaggio comico nella realtà comune, facendolo morire come muoiono tutti gli altri”. C’è, tuttavia, qualcosa che inaridisce e appesantisce malamente questo poema epico dedicato alle regioni italiane. Italiani brava gente è un film fatto troppo di testa e poco di cuore. Soprattutto si avverte l’assenza dei personaggi femminili, cosa che è normale per un (seppur anomalo) film di guerra. Il fatto è che la si avverte più del necessario: De Santis è un “women’s director”. Ai personaggi femminili egli riesce ad imprimere una particolare vitalità: sono il tramite attraverso il quale il regista perviene allo sfavillìo dei sentimenti, a quella “flam­boyance” che fa il suo stile.
Stefano Masi, De Santis Il Castoro cinema 1981

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Giuseppe De Santis
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