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Terra dell'abbastanza (La)


Regia:D'Innocenzo Damiano, D'Innocenzo Fabio

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo; fotografia: Paolo Carnera; musiche: Toni Bruna; montaggio: Marco Spoletini; scenografia: Paolo Bonfini; costumi: Massimo Cantini Parrini; suono: Maricetta Lombardo; interpreti: Andrea Carpenzano (Manolo), Matteo Olivetti (Mirko), Milena Mancini (Alessia), Max Tortora (Danilo), Luca Zingaretti (Angelo), Demetra Bellina, Michela De Rossi; produzione: Agostino Saccà, Giuseppe Saccà, Maria Grazia Saccà per Pepito Produzioni con Rai Cinema; distribuzione: Adler Entertainment; origine: Italia, 2018; durata: 96’. Vietato 14

Trama:Storia di Mirko e Manolo, due giovani amici della periferia romana. Bravi ragazzi fino al momento in cui, guidando a tarda notte, investono un uomo e decidono di scappare. La tragedia si trasforma in un apparente colpo di fortuna: l'uomo che hanno ucciso è il pentito di un clan criminale di zona e facendolo fuori i due ragazzi si sono guadagnati un ruolo, il rispetto ed il denaro che non hanno mai avuto. Un biglietto d'entrata per l'inferno che scambiano per un lasciapassare verso il paradiso.

Critica (1):La terra dell’abbastanza è abbastanza un buon film. Anzi, è un buon film. Ha un unico, gravoso problema: essere arrivato tardi sul terreno delle periferie dell’Italia oggi, in primis romana e criminale. Fosse giunto sullo schermo prima di Fiore, Cuori puri, Manuel eccetera, staremmo parlando di altro, differenti traguardi, diverse accoglienze e, chissà, qualche gridetto al miracolo si sarebbe levato. Invece no, Et in terra pax, Il più grande sogno, Il contagio, Suburra film e serie, chi più ne ha ne metta, hanno colmato l’attese, meglio, riempito gli spazi, e se non La terra il territorio è già stato perlustrato, delimitato, dissodato. Nondimeno, anzi, nonostante questo accodarsi, l’esordio scritto e diretto dai nemmeno 30enni gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo ha elementi di assoluto valore.
La fotografia di Paolo Carnera, che è tallonamento parziale (inquadrature ravvicinate), indefesso e totalizzante, le scenografie (Paolo Bonfini) da paradigma iperrealistico, i costumi (Massimo Cantini Parrini), la regia più che la sceneggiatura e, infine, loro i protagonisti, Matteo Olivetti, che vediamo per la prima volta, e Andrea Carpenzano (Tutto quello che vuoi, Il permesso).
Sono bravi anche i comprimari, Max Tortora e Luca Zingaretti, e c’è la conferma di quanto Milena Mancini sia poco e male utilizzata dal nostro comparto, perché qui nell’occhio per misura e forza, insomma, parlasse d’altro La terra dell’abbastanza, prodotto da Pepito Produzioni (Agostino Saccà) con Rai Cinema e il sostegno del Mibact e Regione Lazio, avrebbe strada e plauso spianati, viceversa, dopo la prima a Berlino 2018 (Panorama) ha faticato a trovare distribuzione.
“Con questo film volevamo raccontare com’è maledettamente facile assuefarsi al male”, dicono i D’Innocenzo: “In un mondo in cui la sofferenza è sinonimo di debolezza, i nostri protagonisti si spingeranno oltre il limite della sopportazione: vedere fin dove si può fingere di non sentire nulla”. Molto giusto, molto estendibile: che cos’è l’indifferenza se non la grammatica prima delle relazioni qui e ora? Che cos’è, l’indifferenza, se non il sesto senso del sopravvivere e sopraffare oggi?
A non sentire nulla sono Mirko (Olivetti) e Manolo (Carpenzano), bravi ragazzi di borgata finché nottetempo non investono un uomo e scappano: “fortuna” vuole, era il pentito, alias l’infame, pronto a inchiodare alle proprie responsabilità il clan di zona, sicché prima Manolo, spinto dal padre (Tortora), e poi anche Mirko entrano nelle grazie del boss (Zingaretti)…
Bel tappeto sonoro, e musicale, di Toni Bruni, bel passo a uno in una periferia che è prima di tutto morale, La terra dell’abbastanza offre sequenze disturbanti – il sesso del vecchio pusher con la ragazzina, la festa di compleanno munificamente rovinata da Mirko, il traffico di esseri umani – perché immediate, senza filtri, “vere”, ovvero scippate all’edulcorazione del cinemino nostro sul tema: qui c’è sporcizia, nitore, dolore, negli occhi, volti e gesta amorali e alegali e vitali – come respirare, come bere un bicchier d’acqua portano la morte – di due messaggeri di morte per riflesso incondizionato.
È film poeticamente, leggi sociologicamente, scomodo; straordinariamente girato, per essere un esordio; assai perfettibile, per drammaturgia. Pertanto, ancor più prezioso: ne sentiremo parlare, di questi D’Innocenzo, perché mettono in scena con una sicurezza, anche negli errori, una assertività e una lucidità ammirevoli. Soprattutto, declinano pistola alla mano il ritratto di una gioventù che sa andare oltre, superarsi, negarsi in un movimento da fermo, un surplace, molto preciso, molto sintomatico. Si capisce qui, e bene, il perché della diversità poetica, della non addomesticabilità al genere, dello scarto tra quel che appare e quel che è: sotto le mentite spoglie del romanzo, pardon, saggio criminale, c’è molto di più, c’è un’idea di cinema ambiziosa, una tensione formale non doma, un anelito di libertà in catene. Vedere per credere.
Federico Pontiggia, cinematografo.it, 4/6/2018

Critica (2):Fiore, Cuori puri, Manuel ma anche e soprattutto Suburra, prima il film e poi la serie… la malavita grande e piccola, la marginalità, una città che è rappresentata come un universo a sé stante, uno Stato nello Stato con le sue regole, le sue dinamiche, le sue leggi ma anche – e soprattutto – un luogo dell’immaginario. La periferia romana terra di nessuno è diventata oggi quello che erano le città dei polizieschi italiani degli anni Settanta, terra di calibri 9, città violente, nere, roventi, tremanti... città che nessuno vedeva davvero ma che tutti riconoscevano come reali proprio nel momento in cui diventavano luogo legittimato dalla messa in scena, dalla narrazione, dalle rappresentazioni che le eleggevano a protagoniste proprio dell’immaginario.
Quella Roma, quella periferia – umana e geografica – è La terra dell’abbastanza, titolo programmatico del film d’esordio dei fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo (...)
In questa terra lunare tanto paesaggisticamente quanto umanamente ci sono anche le persone che cercano di cavarsela, più o meno in modo normale. Mettendo con fatica insieme il pranzo con la cena, mandando i figli a scuola, pensando possano trovare un lavoro migliore, sfangandosela con il miraggio di poter svoltare, in qualche modo. A questo tipo di famiglie appartengono Mirko e Manolo, compagni di scuola (l’alberghiero), amici da sempre, fratelli di sangue che, una notte, in modo del tutto fortuito, investono un uomo. Che fare? La vita, comunque, non sarà mai più quella di prima.
È cosi (grazie all’intervento del padre di uno di loro, interpretato da Max Tortora), l’accadimento che sembra far scivolare le loro vite lanciate verso il futuro nel buio della colpa si trasforma invece per i due ragazzi in una sorta di opportunità, che implica però il diventare criminali. Perché presa una vita (anche se in modo casuale), la frontiera è varcata e dare la morte non è più un atto inimmaginabile e il senso di colpa diventa un qualcosa di evanescente. “Non hanno consapevolezza” dice uno degli uomini del malavitoso (Luca Zingaretti) per il quale si sono messi a lavorare e questo fa di loro dei killer provetti; non hanno consapevolezza e non subiscono il giudizio di nessuno, se non, in fondo, quello di se stessi.
Mirko e Manolo, come Manuel, Daphne, Josh, Stefano, Spadino, Aureliano sono i giovani, belli, coatti, protagonisti di questo nuovo genere del cinema e della televisione italiani, quelli che sostituiscono i commissari con il volto di Marizio Merli e i malavitosi con la faccia di Tomas Millian o di Henry Silva; la polizia non compare o quasi, “e’ guardie” non contano, contano i pezzi grossi e quello che rappresentano sostituendosi alla legge e allo Stato, contano le famiglie – in un modo o nell’altro – e soprattutto contano i ragazzi, questi qua, con la parlantina spiccia, il cuore buono, i tatuaggi, gli occhi grandi, e la vita segnata… Questi per i quali, in quella terra, in fondo nulla sarà mai abbastanza.
Chiara Borroni, cineforum.it, 6/6/2018

Critica (3):

Critica (4):
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