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Jesus' Son - Jesus' Son


Regia:McLean Alison

Cast e credits:
Sceneggiatura:
Elisabeth Cuthrell, tratta dal libro "Jesus' Son" di Denis Johnson; fotografia: Adam Kimmel; montaggio: Geraldine Peroni e Stuart Levy; scenografia: David Doernberg; costumi: Kasia Walicka Maimone;musiche: Joe Henry; interpreti: Billy Crudup (Jesus'Son), Holly Hunter (Mira), Dennis Hopper (Bill), Denis Leary (Wayne), Samantha Morton (Michelle), Will Patton (John Smith), Gregg Germann (Dottor Shanis), Jack Black (Georgie); produzione: Evenstars Film, presentato da Alliance Atlantis e Lions Gate Films; origine: USA, 1999; durata: 84'.

Trama:È la storia del travagliato viaqggio di una giovane donna di vent'anni che, dalla tossicodipendenza e dalla piccola criminalità, approda ad una vita riscattata dalla scoperta delle sua capacità di dedizione agli altri.

Critica (1):Le visioni neozelandesi virano sempre verso il lato strambo, non lineare della messa in scena. Personaggi e situazioni borderline. Nomadismo dell'anima. Romanticismo infetto. Umorismo surreale e cupo. Storie dure. Siamo assuefatti a Jane Campion e cominciamo ad abituarci ad Alison MacLean (era suo "Crush" visto a Cannes qualche anno fa). La vita e le opere di Fuckhead (un nome che è un programma e una condanna), sono organizzate in disordinati capitoletti che prendono il nome da altri sbandati o dalle città del suo viaggio in tondo, sospinto dalla ricerca di un lavoro o dall'amore per la svagata Michelle (Samantha Morton), tossica, in attesa di un figlio, in fuga con un altro uomo, persa dietro i suoi guai e le dosi quotidiane. Motel, un pronto soccorso che sembra la parodia di "E.R.", pillole gialle e blu, funghi psichedelici, un aborto, la famiglia mennonita spiata dalle finestre, incidenti d'auto, riunioni di drogati anonimi, camei eccellenti e perfetti (Dennis Hopper e Holly Hunter), letti sfatti e teste sgualcite. Il ritratto livido, scanzonato e stonato di una generazione di falsi fenomeni. Esempio compiuto dell'estetica Sundance.
Enrico Magrelli , Film TV 5/9/2000

Critica (2):Jesus' Son di Alison MacLean è, contemporaneamente, un monumento all'estetica del cinema indipendente odierno, genere Sundance Film Festival, e un revival dei modi di moda sullo schermo tre decenni fa. A partire dai racconti di Denis Johnson, la regista neozelandese ci riporta agli anni 70, alla cultura della droga e alle atmosfere cupe e poetiche, romantiche e nere delle storie di straordinaria marginalità che costellavano i film dell'epoca. Il "figlio di Gesù" (Billy Crudup), soprannominato Fuckhead nella vita di tutti i giorni, è un tossico alla deriva, sempre in cerca di soldi per drogarsi. Quando la sua Michelle (Samantha Morton) muore di overdose, il giovane sbandato diventa protagonista di una profana storia di redenzione, organizzata per capitoletti programmaticamente disordinati, tra un pronto soccorso che sembra la parodia di E.R., e dove il protagonista viene alquanto improbabilmente assunto, e una clinica per disabili abitata da ragazze paralizzate e vecchietti all'ultimo stadio. Sarà qui che Fuckead troverà la forza di disintossicarsi, grazie a una provvidenziale sinergia tra solidarietà sociale e meditazione trascendentale. Malgrado la lezione positiva (non più ciascuno a rincorrere i suoi guai: la droga si vince occupandosi degli altri), che lo ha fatto amare da giovanissimi e cattolici, Jesus' Son non vuol essere un film edificante. La sua chiave rappresentativa è, al contrario, quella dell'umorismo macabro nello schizzare il ritratto insieme beffardo e livido, pessimistico e grottesco, di una generazione affetta da nomadismo esistenziale e da miti autolesionistici. Più che criticare i miti in questione, per la verità, Alison finisce per rilanciarli, con una messa in scena bizzarra e visionaria, vagamente fuori- moda. A confermare il gusto nostalgico dell'operazione, la colonna sonora è un'accattivante compilation di canzoni d'epoca (Neil Young, Creedence ecc.), mentre il "cammeo" di Dennis Hopper è l'omaggio dichiarato a una icona della cultura psichedelica anni Settanta.
Roberto Nepoti , La Repubblica 30/8/2000

Critica (3):

Critica (4):
Alison McLean
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