RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
; Archivio film Rosebud; ; Archivio film Rosebud
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 

 > Aree tematiche > Cultura e spettacolo > Archivio film Rosebud > Elenco per titolo > 

Fog (The) - Fog


Regia:Carpenter John

Cast e credits:
Sceneggiatura: John Carpenter, Debra Hill; fotografia: Dean Cundey; montaggio: Tommy Lee Wallace, Charles Bornstein; musica: John Carpenter; scenografie: Tommy Lee Wallace; effetti speciali: Richard Albain jr.; costumi: Bill Whittens, Stephen Loomis; interpreti: Adrienne Barbeau (Stevie Wayne), Hal Holbrook (padre Malone), Janet Leigh (Kathy Williams), Jamie Lee Curtis (Elisabeth Solley), Tom Atkins (Nick Castle), John Houseman (mr. Machen), James Canning (Dick Baxter), Charles Cyphers (Dan O' Bannon), Nancy Loomis (Sandy Fadel), Ty Mitchell (Andy Wayne), John Goff (Al Williams), George «Buck» Flower (Tommy Wallace), Regina Waldon (signora Kobritz), Jim Haynie (Hank Jones, il direttore dei docks), Rob Bottin (Blake), Ric Moreno, Lee Sacks e Tommy Lee Wallace (spettri), Darwin Joston (dottor Phibes), Jay Jacobs (il maggiore), John Vick (sceriffo Simms), Darrow Igus (Mel Sloan), Bill Taylor (barista), Fred Franklyn (giardiniere), Charles Nicklin (voce di Blake), John Strobel (commesso della drogheria); produzione: Debra Hill Production e AVCO Embassy Pictures; origine: USA, 1979; durata: 91'.

Trama:Mentre la cittadina californiana di Antunio Bay si appresta a celebrare il proprio centenario in festeggiamenti di cui Kathy Williams è la patronessa, un banco di nebbia luminosa avvolge un peschereccio (che verrà trovato con i tre uomini d'equipaggio uccisi) e si avvicina minaccioso alla città. Stevie Wayne, giovane annunciatrice della locale emittente radiofonica KAYB, dal faro osserva il luminoso banco e lancia appelli che inizialmente non vengono ascoltati. Solo Nick Machen, un autista che ha dato un passaggio a Elizabeth Solley, avendo assistito a misteriose aggressioni, è convinto di quanto la Wayne sta dicendo. Nel frattempo, padre Malone, trovato il diario del nonno, vi trova tutta la spiegazione: cento anni prima, esattamente nella notte tra il 20 e il 21 aprile del 1880, i fondatori della cittadina, dopo menzognere promesse di soccorso, hanno provocato il naufragio di sei lebbrosi imbarcati sul veliero "Elizabeth Dane" per derubarli di una ingente quantità di oro, che, trasformato in massiccia croce, è stato nascosto tra le mura della chiesa locale. I lebbrosi, ridotti a "morti viventi", stanno chiedendo vendetta e, dopo avere ucciso i tre marinai, provocano l'atroce fine di un meteorologo e di una anziana governante. La sesta vittima è da scegliersi tra il padre Malone, diretto erede della maledizione, e la povera mamma del piccolo Andy, la speaker della KAYB; e il dilemma viene risolto con lo spontaneo sacrificio del religioso.

Critica (1):Fog (1979) è il film che Carpenter diresse subito dopo Halloween: la notte delle streghe (1978), uno dei suoi lavori più fortunati dal punto di vista critico e sicuramente il più fortunato da quello commerciale. Non c'è da sorprendersi del fatto che abbia incontrato delle difficoltà a replicare quel successo, non soltanto per quanto riguarda il box office, ma anche negli alti e bassi che la sua reputazione subì da allora in poi. Carpenter ha fatto fatica a trovare una linea di sviluppo a partire da Halloween, a parte quella di diventare uno specialista di horror per un gruppo ristretto di ammiratori. È senza dubbio un filmmaker dallo stile molto personale, un indipendente che ha anticipato il boom di quell'area del cinema americano. Ma Carpenter ritiene con orgoglio di essere, naturalmente, un regista hollywoodiano vecchio stampo, e paradossalmente sogna per se stesso i compiti che verrebbero assegnati a un regista sotto contratto con una major, felice di rispettare le regole del genere che ha scelto.
Halloween, in altre parole, fu il tipo di successo che poteva anche trasformarsi in un vicolo cieco. Carpenter aveva preso quella storia elementare e l'aveva trasformata in un meraviglioso saggio sui meccanismi del cinema, senza tuttavia mai pretendere di riscrivere quel cinema. Lo schema incrociato del film, composto di carrellate lunghissime e di spazi elegantemente composte in Cinemascope, rivela la modalità con cui arriveranno gli shock, ma senza diminuirne l'impatto al momento dell'accadere. La piccola città del Midwest in cui il film è ambientato era al tempo stesso una realtà geograficamente credibile e una città fantasma, inquietante e astratta già prima che l'orrore la colpisse. Il film riflette sui limiti della propria sceneggiatura di genere, senza tuttavia mai tentare di pensarsene al di fuori o di superare il genere, come invece accade per la maggior parte dei registi della generazione di Carpenter (che si laureò alla scuola di cinema della University of South California, da cui uscirono anche registi come George Lucas e John Milius).
Il successo di Halloween, ovviamente, dette origine a tutto un sotto-genere di horror, film di mostri per adolescenti alla Venerdì 13. Ma il mostro di cui Carpenter rimase prigioniero non fu tanto quello del proprio genere, quanto quello dell'equilibrio estetico che Halloween rappresenta. Come ripetere una così perfetta dimostrazione della propria arte senza cambiarne gli ingredienti, come continuare a sfidare intellettualmente il proprio materiale senza riconoscerne, allo stesso tempo, i limiti? Fog rappresenta ancora oggi la risposta più interessante che Carpenter abbia dato a questo quesito. Fog è un complemento a Halloween, una sua continuazione – entrambi i film hanno delle sceneggiature originali, scritte a quattro mani da Carpenter e Debra Hill, la sua produttrice del tempo –, e un radicale, sebbene naturale, allontanamento.
Il film pone con grande vitalità una questione già implicita in Halloween: cos'è più importante in un film di Carpenter, la storia o la narrazione? Questa domanda non è così ovvia o perversa come potrebbe sembrare e non rappresenta solo una scusa per perdersi in sottigliezze critiche. In parte, questa è la naturale conseguenza della situazione schizofrenica in cui Carpenter stesso si è messo – quella di voler replicare il modo di fare film dello Studio-system, non come gesto di omaggio ma con meccanismo di completa identificazione («Se potessi esprimere tre desideri, uno sarebbe: mandatemi indietro negli anni '40, al tempo dello Studio-system, e fatemi dirigere dei film»; «Sight and Sounds», primavera 1978), mentre è chiaro che i film che realizza non appartengono affatto a quel sistema scomparso, né per come sono strutturati né per come si collocano nell'industria e nel mercato cinematografico attuali.
Ciò porta a una separazione tra il materiale con cui Carpenter non interferisce – ovvero la storia – e il modo in cui tale materiale viene trattato. Non bisogna essere sorpresi, perciò, di come la storia possa risultare insoddisfacente – o è un pretesto o è comunque inerte –, mentre la narrazione procede allegramente, e in modo autonomo, per la sua strada. La storia di Halloween è una scusa, un minimalismo perfetto, che lascia Carpenter libero di attirarci all'interno del film con movimenti di macchina labirintici e composizioni di oscurità impenetrabile allo stesso tempo affascinanti e astratte. A volte questa abilità non sembra andar oltre la premessa del film – come nel caso dell'elettrizzante inizio di 1997: fuga da New York (1981), seguìto da una storia progressivamente meno appagante.
La trama di Fog appartiene alla tipologia «inerte». In questo è simile a Halloween, con la presenza di un antico fantasma che torna a casa in visita; ma, rispetto a Halloween, richiede una spiegazione più dettagliata, e Carpenter dimostra poca pazienza nello svilupparla o nel darle il giusto respiro. Il punto in cui la descrizione di Carpenter manca di questo respiro è là dove la storia si estende dal nucleo di Halloween – una sola famiglia – a un'intera comunità. La piccola cittadina costiera di Antonio Bay nel nord della California sta per iniziare a celebrare il centenario della propria fondazione quando dal mare, avvolto nella sua stessa nebbia, arriva ondeggiando un vascello fantasma. Il suo equipaggio di zombie è composto dai lebbrosi cui un tempo era stato promesso rifugio nei pressi di Antonio Bay, ma la cui nave venne fatta schiantare contro le rocce, e il cui oro venne rubato e utilizzato per costruire la chiesa del paese e fondare la comunità stessa. Discreto come sempre nella sua dimensione narrativa, Carpenter non si addentra nel commento sociale o nella metafora. «La nostra celebrazione di questa notte è una menzogna, stiamo onorando degli assassini» dichiara Padre Malone (Hal Holbrok) riguardo al centenario, quando apprende ciò che accadde ai lebbrosi leggendo il diario di suo nonno, primo sacerdote di Antonio Bay e capo della congiura per far naufragare la nave. È facile vedere le opportunità di satira politica presenti in una simile situazione, considerando che il bicentenario dell'America si era tenuto soltanto tre anni prima della realizzazione di Fog, e che negli anni '70 il genere horror aveva insistito sul tema dei mostri di casa propria, nati e cresciuti in famiglia (mentre il ciclo dei film sui veterani del Vietnam aveva come tema quello dell'orrore portato a casa da fuori).
Fog non affronta nessuno di questi temi, senza dubbio perché Carpenter lo avrebbe trovato troppo pretenzioso, una violazione delle regole del gioco. Aveva spiegato che il suo primo film, Dark Star (1974), con la sua versione stracciona dei viaggi interplanetari, era stato ispirato in parte dall'irritazione per la pretenziosità di film di fantascienza ad alto budget come 2001: Odissea nello spazio. Ma, nello sforzo di evitare «grandi temi», Carpenter ha mancato di descrivere del tutto Antonio Bay, in quella che dovrebbe essere la storia di una comunità in pericolo (o di una comunità chiamata a rendere conto di crimini del passato).
Gli abitanti del paese appaiono soltanto come una vaga folla in qualche inquadratura durante la notte della festa del centenario. Anche quando la nebbia invade le strade e tutti ricevono l'ordine di abbandonare le proprie case per riunirsi in chiesa, gli unici che riescono ad arrivarci sono i cinque personaggi principali del film. Non ci viene data un'idea chiara della connotazione geografica di Antonio Bay, se non per qualche scarna sequenza di una main street deserta. Questo aspetto appare particolarmente trascurato se confrontato con gli inquisitori percorsi della cinepresa per le strade di Haddonfield, Illinois, in Halloween. E appare povero di fronte al senso della comunità che Hitchcock – un regista non particolarmente noto per un approfondito realismo – tratteggia in Gli uccelli. Ed è proprio a quella storia di una comunità in pericolo che siamo invitati a pensare quando Bodega Bay viene citata come località limitrofa di Antonio Bay. Ma se la storia di Fog non suscita particolare interesse, bisogna riconoscere quanto Carpenter abbia investito nella narrazione. La premessa potrebbe apparire molto simile a quella di Halloween, ma prende una direzione completamente diversa grazie ai differenti modi del racconto. In Halloween questi modi erano quasi interamente visuali – quegli invitanti, paurosi, movimenti di macchina. In Fog, Carpenter entra in un mondo diverso – e nel contempo crea un senso della comunità totalmente diverso – utilizzando una narrazione spiccatamente verbale.
È vero che non vediamo molto di Antonio Bay, tuttavia la storia della città ci viene raccontata ben due volte – com'era nel passato e com'è adesso – da due diversi narratori. Il primo è un uomo anziano, Mr. Machen, che incanta un gruppo di ragazzini sulla spiaggia, di notte, raccontando loro storie di fantasmi intorno al fuoco. La sua ultima storia è quella della Elisabeth Dane, il vascello che esattamente cent'anni prima, mentre si avvicinava alla baia, fu improvvisamente avvolto da una nebbia misteriosa. Guidata verso la costa da un fuoco, proprio come quello intorno a cui siedono ora il vecchio e i bambini, anziché essere tratta in salvo l'imbarcazione venne fatta schiantare contro le rocce e tutti i suoi passeggeri perirono. Secondo la leggenda, però, quando la nebbia ritornerà, i passeggeri della nave si risveglieranno e andranno in cerca di coloro da cui furono traditi.
Mr. Machen è una sorta di versione urbana del «vecchio marinaio» (dal poema di Coleridge N.d.C.). Non compare mai più nel film; in quanto custode di leggende, opera sia a livello intimo sia a distanza. La sua funzione è quella di sapere ciò che gli abitanti del luogo non possono sopportare, è il depositario delle cattive memorie della città e il profeta della sua rovina. Quando il suo racconto volge alla fine, viene subito ripreso, prima ancora che finiscano i titoli di testa, dal secondo narratore, questa volta una donna, Stevie Wayne, che gestisce da sola la radio locale. I segreti che lei rivela sono previsioni del tempo, notizie della zona ed eventi sociali, come l'imminente festa per il centenario. Anch'essa mantiene le distanze – trasmette da un faro, in un punto isolato della baia: «Dalla cima del mondo» è il suo slogan – ma al tempo stesso suggerisce una certa intimità. Ognuna delle sue trasmissioni inizia infatti con un seducente richiamo: «Tenetemi accesa per un po' e io farò del mio meglio per tenere accesi voi».
Con la loro presenza, questi due personaggi creano un senso molto forte, quasi inquietante, della comunità, che funziona su quelle lunghezze d'onda che la cinepresa non può rappresentare. Ma rimane pur sempre una comunità di outsider isolati. Pochi dei personaggi principali sembrano appartenere ad Antonio Bay: Elisabeth Solley arriva in autostop, e viene raccolta dal protagonista, Nick Castle vive in città ma di lui non si capisce chiaramente l'occupazione. Castle è uno di quegli eroi che popolano i film di Carpenter, eroi presunti ed elusivi – a meno che non siano interpretati da Kurt Russell o da Jeff Bridges. Essi sono un altro sintomo della sua incapacità o riluttanza a esprimere compiutamente ciò che la storia sembra esigere.
Stevie Wayne è quella più isolata di tutti, e Carpenter descrive il suo ambiente meglio di quanto non faccia con l'intera Antonio Bay. Le immagini più memorabili del film sono quelle di Stevie che va al lavoro, scendendo una fila vertiginosa di gradini che portano dalla sommità della scogliera fino alla torre del faro. Alcune sequenze intermittenti del mare circostante anticipano l'arrivo della nebbia, e servono a creare la suspense tipica del film dell'orrore. Ma c'è un'inquadratura, in cui Stevie guarda lontano, oltre la vuota distesa grigio-blu, che è più inquietante proprio perché non è in funzione della suspense; è un'inquadratura che esprime uno stato d'animo. «Nient'altro che acqua, Stevie, ma è meglio di Chicago» essa medita. Questa è l'unica informazione che riceviamo sul personaggio, l'unico riferimento a una vita passata, che presumibilmente includeva il padre di suo figlio ancora piccolo. È un momento alla Halloween, perfettamente bilanciato tra il funzionale e l'astratto.
Viene suggerito che Stevie ha una vita nel presente, anche se questa vita sembra caratterizzata più dalla lontananza che dall'intimità. Ha infatti una relazione radiofonica con il responsabile delle previsioni del tempo del luogo (Charles Cypers), il cui chiuso mondo di macchinari è uno specchio di quello di lei. Lui le propone un incontro per il centenario; lei risponde : «Sei soltanto una voce al telefono»; lui controbatte: «La mia idea di perfezione è una voce al telefono». I racconti e le voci nel buio che connettono questo mondo di personaggi isolati sono più convincenti della trama sulla comunità-in-pericolo che si sviluppa quando gli zombie iniziano ad apparire dalla nebbia. Ed è più emozionante del climax dell'assedio in cui il gruppo di outsider respinge i fantasmi dall'interno della chiesa che è al tempo stesso la beneficiaria e la depositaria dell'oro rubato.
Ciò dovrebbe sorprendere, dal momento che l'azione autorizzava Carpenter a riprendere l'assedio di Un dollaro d'onore di Howard Hawks, che aveva già fornito lo spunto per il suo secondo film, Distretto 13: le brigate della morte (1976). Di fatto questa situazione, che Hawks trasporta di film in film, e che è servita per i suoi due remake di Un dollaro d'onore (Rio Lobo ed Eldorado; N.d.C.) rappresentava qualcosa di più che uno schema cinematografico. Era piuttosto il modello per un intero modo di lavoro, e descriveva il metodo e l'etica del fare cinema in modo altrettanto esplicito di quanto non descrivesse quello che accadeva sullo schermo. La situazione non rappresenta tanto una comunità in pericolo quanto dei professionisti sotto pressione. Riproponendo in diversi film situazioni e personaggi simili, oltre che un gruppo mutevole ma riconoscibile di attori e collaboratori, Hawks si opponeva alla tendenza dello Studio-system a trasformare i suoi registi in anonimi artigiani. Ma naturalmente fu solo la solidità e la continuità dello stesso Studio-system che permise a Hawks di attuare questo metodo.
È stato un simile contesto professionale, come anche la professionalità celebrata dal film stesso – la recitazione laconica, l'approccio diretto all'azione, la mancanza di pretenziosità o retorica – ad attrarre Carpenter. Ma è significativo il fatto che l'assedio – situazione paradigmatica dei film di Hawks – non emerga in Fog, uno dei migliori film di Carpenter. Una cosa che se ne potrebbe dedurre è che la situazione non è basata su quella ripetizione-con-variazione e su quella circolazione di un gruppo ben collaudato che dà la sua risonanza ai film di Hawks.
Con il suo sogno di ritrovarsi negli anni '40 Carpenter non è capace di ricreare lo spirito degli Studios nell'ambito di una produzione indipendente. In realtà, un tentativo in questa direzione lo fece: per un po' ebbe lo stesso direttore della fotografia, Dean Cundey, e si portò dietro la stella degli Halloween, Jamie Lee Curtis, affiancandole sua madre, Janet Leigh, per aggiungere profondità storico-cinematografica. Ma questo genere di riferimenti e di manifestazioni da patito di cinema sono il solo genere di continuità che un regista come Carpenter possa permettersi di sfruttare. La sua «compagnia» di nomi e ammiccamenti è abbastanza sgangherata. Lo psichiatra folle interpretato da Donald Pleasence nei primi due episodi di Halloween si chiama Sam Loomis, come il personaggio di John Gavin in Psycho; l'uomo delle previsioni del tempo di Fog, interpretato da Charles Cyphers, si chiama Dan O'Bannon, il nome vero di un collaboratore di Carpenter in Dark Star; in Halloween II(1981), Cyphers interpreta un capo di polizia chiamato Brackett, uno degli sceneggiatori abituali di Hawks. Ancora più inquietante è la citazione di Nick Castle, il protagonista di Fog, come co-sceneggiatore di 1997: fuga da New York.
Potrebbe anche darsi che l'assedio di Fog non funzioni perché Hawks è il riferimento sbagliato in questo caso; anche Hitchcock è stato uno dei modelli e delle fonti di citazione di Carpenter, ed è difficile non vedere questo film come un remake di Gli uccelli. «Le cose sembrano succedermi. Porto sfortuna» dice Jamie Lee Curtis quando arriva ad Antonio Bay, richiamando alla mente la mala sorte associata a Tippi Hedren nel film di Hitchcock. Ma qui si tratta di qualcosa di più che del dovuto omaggio a due maestri. Anche lui regista da Studios, Hitchcock lavorava in una direzione totalmente opposta a quella di Hawks; lontano da qualsiasi irregimentazione «professionale» che prevedesse regole di comportamento uniformi davanti come dietro alla cinepresa, e aperto verso un'ampia gamma di effetti alienanti (trascinando personaggi e situazioni fuori dal contesto – fuori da una trama che generalmente liquidava come il «MacGuffin» – per arricchirli di mistero e complessità tematica).
La mezz'ora iniziale di Fog, con l'incontrarsi e il replicarsi di mondi isolati, è più profondamente hitchcockiana di quanto qualsiasi confronto con Gli uccelli potrebbe suggerire. È anche l'unica parte del film che giustifica la citazione di apertura da Edgar Allan Poe: «È tutto ciò che vediamo o sembriamo null'altro che un sogno dentro a un sogno?». Carpenter una volta espresse il desiderio di realizzare un adattamento del racconto La discesa nel Maelström. Ciò non per suggerire che Carpenter dovrebbe citare più Hitchcock che Hawks, ma che forse potrebbe aver malinteso che tipo di regista egli sia o dove si trovi la sua vera forza.
La struttura di Dark Star è stata definita da Carpenter «serpeggiante» («è stata una lavorazione a episodi, la cosa più simile all'improvvisazione che abbia mai fatto»), in parte perché era pensata come una descrizione della vita nello spazio di stampo comico-realistico in contrasto con la tendenza esaltata-religiosa: «Come fai a lavare la biancheria quando sei su un'astronave?». Questo modo di fare cinema fu messo da parte una volta che Carpenter diventò «un po' più disciplinato», quando entrò in gioco il rigore hawksiano. Ma è proprio nell'esplorazione di questi motivi, di queste condizioni di non-storia – come la decadenza e la povertà urbana all'inizio di Essi vivono (1988), prima che abbia inizio la trama horror –, che Carpenter ha raggiunto alcuni dei suoi risultati migliori. Tale esplorazione è anche parte della gamma di possibilità drammatiche e della costruzione di un contesto metaforico che perfino qualcuno con il rigore gesuitico di Hitchcock si concedeva, non soltanto in Gli uccelli ma anche, per esempio, in L'ombra del dubbio. Una possibile cura della schizofrenia potrebbe essere l'approfondimento di questi percorsi a spese del portare troppo rispetto a quelli che sono i codici di condotta professionali.
Richerd Combs, in Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto, John Carpenter, Lindau 1999

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 12/06/2010
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale