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Paese del silenzio e dell'oscurità - Land des Schweigens und der Dunkelheit


Regia:Herzog Werner

Cast e credits:
Soggetto: Werner Herzog; fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein; musiche: Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach; montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus; interpreti: Hienrich Fleischmann, Rolf Illig (narratore v.o.), Vladimir Kokol, Fini Straubinger, Resi Mittermeier, M. Baaske; produzione: Werner Herzog Filmproduktion, Monaco; distribuzione: Ripley’s Film; origine: Germania, 1971; durata: 85’.

Trama:Per compiere questo viaggio al termine della notte il regista bavarese (…) ha avuto per guida la dolcissima e volitiva Fini Straubinger, sorda e cieca che gli fa da guida – e da interprete attraverso un alfabeto digitale e tattile – in una serie di visite a persone sorde e cieche o a istituzioni che a Monaco di Baviera li accolgono. È qualcosa di più di un documentario, sia pure straziante. (…) È anche un film sul cinema, sull'apprendistato della visione. Per Herzog gli spettatori sono dei sordo-ciechi che devono essere rieducati all'esercizio dei loro sensi ottusi dall'abitudine. Non pochi i momenti di sconvolgente emotività: l'incontro tra la Straubinger e Vladimir, sordo-cieco dalla nascita e handicappato psichico; la scena in cui un contadino, nato sordo e diventato cieco in età adulta, va ad abbracciare un albero. (Il Morandini, Zanichelli editore)

Critica (1):(…) In una sequenza del film, un gruppo di giovani handicappati mostra una lettera di solidarietà firmata da una donna che si dichiara «amica dell'umanità». È la sordo-cieca Fini Straubinger. Sarà lei a condurre Herzog nel Paese del silenzio e dell'oscurità. L'argomento di questo Land des Schweigens und der Dunkelheit è appunto la lotta quotidiana di Fini, dolcissima quanto determinata, tesa ad alleviare la solitudine incommensurabile dei suoi «compagni di destino». Seguiamo la protagonista in una serie di visite a persone o a istituzioni dove sempre riesce a trasmettere il suo calore, la sua serena energia interiore, comunicando attraverso una sorta di alfabeto tattile («è una monografia sulle mani di una sordo-cieca», ha detto anche l'autore). Veniamo così a scoprire come si presenta oggi, in una società tecnologicamente avanzata (le riprese sono effettuate quasi interamente a Monaco di Baviera), un mondo situato a una distanza abissale da noi e inimmaginabile nelle sue reali condizioni. Questa volta, però, l'intento "conoscitivo", "documentario", non rappresenta che un primo livello del discorso. I protagonisti di Land des Schweigens ... sono subito intesi come esponenti di un'umanità estrema che può raggiungere vertici di profondità altrimenti insondabili nel comunicare (proprio per via di privazioni, sofferenze, menomazioni originarie) e quindi diventano per Herzog la base amata necessaria per produrre immagini e suoni non compromessi da una retorica quotidiana (lo stesso avverrà nel caso di Steiner e di Bruno S.).
Ripercorrere le esperienze e le sensazioni dei sordo-ciechi significa riproporre per tutti gli spettatori come una sfida il problema del vedere e del sentire alla sua radice. Questo lo si coglie già nella prima, eccezionalmente intensa sequenza. La voce di Fini emerge dal nero "primordiale" che occupa lo schermo raccontando di un paesaggio che sta "vedendo". Subito appaiono in una dominante azzurra molto accentuata, nubi che corrono veloci nel cielo e inizia, sui titoli di testa, una musica serena (Vivaldi). Di nuovo il nero. Fini ricorda ora un'immagine di bambina, quando ancora poteva vedere: una gara di salto con gli sci e i volti degli uomini che scendevano planando. «Mi piacerebbe che anche voi poteste vederli un giorno». A questo punto l'immagine si materializza, pur restando totalmente onirica, irreale: un saltatore, in piano ravvicinato, ripete più volte il suo volo nell'aria, sospeso nel ralenti, immerso nel verde e nell'azzurro, seguito dalle stesse note della prima inquadratura. Poi una scritta: «Ho un tale terrore quando mi tocca qualcuno. Nell'attesa passano gli anni».
La sequenza è in un certo senso un falso: quei ricordi non appartengono realmente alla vita di Fini. Herzog ci rivela subito così che il suo è anche un film sul cinema, un apprendistato alla visione. Tutti gli spettatori sono dei sordo-ciechi che vanno sollecitati a sperimentare di nuovo un esercizio profondo dei loro sensi feriti dall'abitudine. Il cinema è latore in certi casi di una duplice, contraddittoria "potenza": è in grado di rendere visibili sogni, utopie, universi interiori, segreti e nello stesso tempo può riuscire a interiorizzare (elevare a segno distintivo, folgorante di una condizione) gesti, espressioni, dettagli pertinenti alla sfera del quotidiano. Herzog crede in entrambe queste "proprietà" del mezzo, e in Land des Schweigens ... le offre fuse in modo inestricabile. Il film funziona proprio nell'intersecarsi e compenetrarsi di più livelli di percezione e questo ne fa un capitolo chiave, con la sua programmatica "condensazione" di diverse tendenze ugualmente fondamentali per l'opera herzoghiana.
Per comprendere meglio questo processo si pensi a un'altra sequenza, analoga a quella citata, ma del tutto opposta come risoluzione visiva. Fini è in treno e ancora una volta «racconta immagini»: è la suggestiva rappresentazione "pittorica" del suo destino. Questa volta però non si osa farci vedere qualcosa che è tutto dentro di lei; la m.d.p. si limita a indagare sul suo volto sensazioni che ci resterebbero comunque ignote. Il film procede tra questi due estremi di rappresentabilità e ne percorre le tappe intermedie senza mai rinunciare a costruirsi rigorosamente sul " mistero " della presenza fisica dei sordo-ciechi. C'è in Land des Schweigens ... un principio conduttore tutto sommato molto semplice. Ogni scena è una stazione dell'epico viaggio di Fini Straubinger alla conquista di una possibilità in più per comunicare; è la storia di un contatto cercato, sofferto, intuito; alla fine spesso stabilito. Una parte dell'opera, non preponderante, sviluppa questo tema in termini didattici. Fini spiega il linguaggio tattile dei sordo-ciechi mentre la camera inquadra in dettaglio la sua mano. In un'altra scena si entra nel centro di rieducazione ad Hannover dove si effettuano esercizi fonici o esperimenti con vibrazioni sonore per i bambini nati privi di udito e vista. Più spesso prevale l'osservazione dolce, quasi istintiva, ma non meno intensamente tragica, dei casi conosciuti di volta in volta dalla protagonista, oppure il ritratto pieno di partecipazione gioiosa delle esperienze percettive di Fini stessa. Alcune sequenze assumono così un rilievo eccezionale proprio perché lo sguardo della m.d.p., sempre flessibile e carezzevole, riesce a " catturare " all'improvviso il momento in cui si svela il centro indicibile di una situazione.
Come nell'incontro di Fini, il più sconvolgente, con Wladimir, un giovane sordo-cieco dalla nascita ma anche handicappato psichico e quindi vicino a uno stato di " animalità " assoluta, in cui vediamo svolgersi in primo piano un'emozionante presa di contatto tra le mani della donna e il corpo scomposto del ragazzo. Gesti che avvertiamo subito nella loro intensa fisicità e al tempo stesso nel loro travalicare ogni esperienza superficiale, epidermica, legata comunemente ad essi. O come nella scena finale, quando vediamo un contadino, nato sordo e diventato cieco in età adulta, poi vissuto a lungo in completo isolamento tra gli animali di una stalla, abbandonare il gruppo che si è recato a visitarlo, e andare a toccare un albero, ad abbracciarlo letteralmente. Qui è direttamente la m.d.p. che va a cogliere il momento, seguendo l'uomo prima con lo zoom, poi con la macchina a mano fino a girargli lentamente intorno, quasi con cautela e partecipazione. Si crea così un profondo " slittamento " emotivo (sorretto dalla musica di Bach), una carica comunicativa che non ha più nulla a che vedere con l'emozionalità immediata del cinema "diretto", pur costruendosi su procedimenti analoghi.
O ancora come nella precedente sequenza del congresso sugli handicappati, anch'essa illuminata da una " scoperta " non programmata della m.d.p. Il presidente della R.F.T., Heinemann, sta parlando da una tribuna. Fini è tra il pubblico con un accompagnatore che le " traduce " il discorso con il tatto. Terminato l'intervento dell'oratore, inizia un concerto da camera. La cinepresa, fissa in campo medio sull'orchestra, all'improvviso panoramica (evidentemente su segnalazione di Herzog a Schmidt-Reitwein) di nuovo sul pubblico dove scorgiamo 1'"interprete" che ora trasmette a Fini anche il linguaggio della musica, battendole ritmicamente il tempo sulla mano. Anche in questo caso il gesto colto "casualmente" da uno sguardo amoroso diventa un'espressione quasi apologetica di speranza nel comunicare, provocando il sorgere di un turbamento indefinito, istantaneo ma non effimero, che non poteva essere suscitato con altri mezzi.
Di fronte a questi esempi, dominati da una sensibilità visiva pressoché istintiva, "magnetica", restano gli altri capitoli (un altro livello che si interseca col primo) più vicini alla fascinazione voluta, costruita, della prima sequenza. Si pensi ai "viaggi sensoriali" della protagonista, che sembrano organizzati, se non messi in scena da Herzog stesso proprio per accentuare l'idea della necessità di un percorso parallelo di Fini Straubinger e degli spettatori alla ricerca (o riscoperta) di nuovi confini del sentire. Così è per la scena del primo volo in aereo, o per la visita allo zoo e al giardino botanico, dove Fini manifesta nei confronti delle cose, degli animali, di ogni persona, la stessa epica volontà di conoscere e di trasmettere, la stessa superiore sensitività già mostrata con i compagni di sventura.
Land des Schweigens ... è dunque un episodio decisivo in cui Herzog svela con la massima evidenza se stesso e i suoi procedimenti, ma è anche un film che richiede al fruitore (come sempre, del resto) una disponibilità totale, perfino una certa ingenuità se vuole tentare con l'autore l'impresa impossibile di entrare in sintonia attraverso il mezzo filmico con un mondo che non ha alcun riferimento con la nostra realtà percettiva. Partecipare negli stessi termini immediati alla verità degli istanti dove tutto è detto in un dettaglio; accettare di condividere un percorso che mira, senza richiami esteriormente fascinatori, a un'acquisizione "profonda" di immagini e suoni. Questo è ciò che Herzog sembra pretendere dagli spettatori per attenuare il silenzio e l'oscurità che inavvertibilmente li circonda.
Fabrizio Grosoli, Werner Herzog, Il Castoro Cinema, 1/1981

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Critica (4):
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