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Bocca del lupo (La)


Regia:Marcello Pietro

Cast e credits:
Soggetto: Pietro Marcello; sceneggiatura: Pietro Marcello; fotografia: Pietro Marcello; musiche: Era; montaggio: Sara Fgaier; interpreti: Vincenzo Motta (Enzo), Mary Monaco (Mary); produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Dario Zonta per Indigo Film-L'avventurosa Film in collaborazione con Rai Cinema, Babe Films; distribuzione: Bim; origine: Italia, 2009; durata: 76’.

Trama:Enzo torna a Genova dopo tanti anni di assenza di cui molti trascorsi in carcere. Ad aspettarlo nella piccola casa di famiglia nel ghetto c'è Mary, la compagna di una vita rimasta a aspettare il suo ritorno. La Genova della sua infanzia e dei racconti di suo padre, che l'aveva sempre descritta come una città ideale, sembra svanita nel nulla. Del resto, i ricordi di Enzo sono confusi e i luoghi del suo passato sono stati intaccati in modo profondo dallo scorrere del tempo.

Critica (1):Sono film come quello di Pietro Marcello che danno ai festival la loro ragion d' essere. E che fanno sentire gli spettatori testimoni privilegiati di un cinema che cerca nuove strade espressive. Non succede spesso. Qui a Torino è accaduto al secondo giorno di programmazione, e con un film italiano: e l' auspicio non potrebbe essere più incoraggiante. La bocca del lupo è un film che sfugge alle facili definizioni (un documentario ma anche un melodramma, un film su commissione ma anche d' autore), capace però di conquistare lo spettatore per forza di stile e di idee e di condensare in meno di settanta minuti una storia d' amore e il ritratto di una condizione sociale, la metamorfosi di una città e il susseguirsi del tempo. Grazie alla Fondazione San Marcellino di Genova (ecco la committenza), Pietro Marcello è stato invitato a raccontare non il lavoro che questa compagnia di gesuiti svolge dal 1945 nel sociale, ma il mondo di emarginati a cui rivolge le proprie cure. E dopo aver condiviso a lungo la vita delle zone più misere della città, alle spalle del porto, il regista ha scelto di raccontare la storia d' amore tra Enzo e Mary, un ex carcerato e il transessuale che l' ha aspettato per quasi vent' anni, mentre lui scontava le pene a cui era stato condannato. Lo racconta con lo stile secco del documentario, usando come traccia le cassette registrate che i due si scambiavano invece delle lettere, mentre mostra i cambiamenti che hanno trasformato il volto di Genova, non più il mondo poetico e romantico dei «caruggi» cantati da De André ma nemmeno quello industriale e produttivo che costruiva giganteschi transatlantici. Ogni tanto il regista chiede a Enzo di «recitare» in piccole scene, ogni tanto il film sembra «dimenticare» i due protagonisti per inseguire altre facce e altri emarginati. Ma poi tutto si lega in un flusso di immagini e di emozioni che vanno dritte al cuore. E quando nell' ultima parte i due protagonisti si offrono all' obiettivo della cinepresa e raccontano in prima persona la loro storia – l'incontro in carcere, la scoperta del reciproco amore, la vita di lui dietro le sbarre e di lei ad aspettarlo – la forma del documentario viene annullata dall' emozione delle parole e la «confessione» diventa travolgente melodramma. Come sarebbe piaciuto a Pasolini e a Fassbinder: senza mascherare la miseria della realtà ma riscattandola con la passione dei sentimenti.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 16/11/2009

Critica (2):Pietro Marcello ha rischiato di perdersi Berlino. Colpa della neve a Ciampino, dove è rimasto per ore, in attesa d'imbarcarsi. Roba d'altri tempi. Un po' come il suo secondo film, La bocca del lupo (produzione Indigo), che ha vinto il Torino Film Festival 2009 e che il Forum della Berlino numero sessanta ha fortemente voluto con proiezione domenicale. (...) Cinema così non se ne fa più perché fare cinema oggi, in una selva di immaginari fotocopia, è una questione di personalissimo posizionamento etico in mezzo alla volgarizzazione del mezzo cinematografico. Il documentario del trentatreenne Marcello è un racconto semplice e prezioso sulle tracce di Enzo e Mary: lui un ultrasessantenne pluricarcerato, lei una transessuale che in lui ha trovato l'amore della vita. Più una Genova novecentesca ritratta in filmati di repertorio: «Alla fondazione San Marcellino dei padri gesuiti di Genova era piaciuto il mio primo film, Il passaggio della linea – racconta Pietro Marcello davanti ad un caffè "espresso" berlinese – così mi hanno chiesto di girare qualcosa che concernesse il loro operare quotidiano nel sociale. Io che provengo da Napoli mi son trovato a Genova, una città che conoscevo pochissimo e che è diventata punto centrale del film».

I due protagonisti sembrano provenire da una Genova che non c'è più…
Mary è cresciuta in una famiglia romana ricca e borghese, ma quando negli anni '60 ha scoperto la sua sessualità non è stata accettata ed è scappata a Genova all'epoca in cui si andavano formando le prime comunità di transessuali. Enzo è un oriundo, una figura rappresentativa di uno scomparso sottoproletariato genovese anni '60, successivo all'epoca dei camalli e precedente all'arrivo degli extracomunitari negli anni '80.
Quando hai incontrato i protagonisti del film?
L'incontro con questo faccione che esprime il volto del cinema è stato casuale. Sono entrato lentamente in relazione con lui. Non è stato facile perché in questi casi, quando racconti un'esistenza, c'è comunque una questione etica che non può essere sottovalutata. La macchina da presa violenta la vita delle persone e io non amo le interviste. L'unica intervista che c'è nel film è arrivata dopo sette mesi, senza far domande. Anche le cassette audio conservate da Mary e che ascoltiamo nel film sono originali.
Cosa ti interessava esplorare con La bocca del lupo?
La relazione sessuale tra i due mi interessava poco. Enzo e Mary si sono incontrati in carcere e lì hanno passato tre mesi d'amore. Poi lei è uscita e ha aspettato lui per anni. Sono due persone che nella vita hanno sofferto e il loro legame nasce proprio dal volersi proteggere dalla malvagità e dallo schifo del mondo. Ma nel film c'è anche la città nel suo presente che ho osservato quotidianamente e in un passato rappresentato dal repertorio. Immagini che ha scovato la montatrice Sara Fgaier tra le cantine di cineamatori genovesi e gli archivi della fondazione Ansaldo. Sarà per questo che non credo tanto negli esperti, ma più nella tenacia. Tutti possono imparare ad usare i macchinari del montaggio, ma montare un film è un fatto di testa. Non credo nemmeno nella sceneggiatura perché il documentario si basa sull'imprevisto ed è un semplice attrezzo del cinema, come la fiction, l'animazione, ecc… Quello che conta, e che spesso manca oggi, è la forma cinematografica.
Cosa intendi per mancanza di forma cinematografica?
A mio avviso manca un'etica dell'estetica. Il cinema è sempre pieno di contenuti, tipo il regista che va a filmare la zona di guerra. Mi chiedo però se costui rispetta veramente le persone che ha di fronte. Ad esempio, io non riesco a filmare la violenza o una persona che rovista nell'immondizia. E soprattutto se faccio un primo piano, mi pongo delle domande sul perché scelgo un primo piano. In tanti possono improvvisare, senza porsi domande, ma per me nel cinema l'importante è riempirsi la vista.
Davide Turrini, Liberazione, 14/2/2010

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Critica (4):
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