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Padre dei miei figli (Il) - Père de mes enfants (Le)


Regia:Hansen-Løve Mia

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Mia Hansen-Løve; fotografia: Pascal Auffray; montaggio: Marion Monnier; scenografia: Mathieu Menut; arredamento: Mathieu Menut; costumi: Bethsabée Dreyfus; interpreti: Chiara Caselli (Sylvia), Louis-Do de Lencquesaing (Grégoire), Alice de Lencquesaing (Clémence), Alice Gautier (Valentine), Manelle Driss (Billie), Eric Elmosnino (Serge), Sandrine Dumas (Valérie), Dominique Frot (Bérénice), Djamshed Usmonov (Kova Asimov), Igor Hansen-Løve (Arthur Malkavian), Magne Håvard Brekke (Stig Janson); produzione: Les Films Pelléas-27 Films Production-Arte France Cinéma; distribuzione: Teodora Film Regia; origine: Germania-Francia, 2009; durata: 110’.

Trama:Il produttore Grégoire Canvel può dirsi un uomo di successo: ha una bella moglie, tre splendidi figli e un lavoro che gli dà enormi soddisfazioni. Iperattivo e inarrestabile quando è alla Moon Films, la sua casa di produzione, Grégoire si ferma solo nei fine settimana, dedicati esclusivamente alla sua famiglia. Poi, un giorno, l'uomo ha un brusco risveglio. La sua casa di produzione è in perdita per troppi debiti e progetti azzardati. Inizia così per lui una lenta discesa verso la disperazione a causa dell'insuccesso e della stanchezza.

Critica (1):Ho conosciuto Humbert Balsan. Era un produttore cinematografico francese intelligente, generoso, forse un po’ spericolato, pronto per un verso a ricoprire importanti incarichi istituzionali e per un altro a far conoscere film difficili poco apprezzati dai mercati, come quelli del grande regista egiziano Youssef Chaine o un film marocchino poi premiato a una Mostra di Venezia. A loro volta, naturalmente, i mercati non avevano tardato a voltargli le spalle, così dopo vari dissesti finanziari, pur inizialmente affrontati con coraggio, Balsan nel 2005 finì per togliersi la vita. Adesso una giovane regista, Mia Hansen-Love, ne rivisita le imprese dandogli un altro nome e facendolo soprattutto considerare attraverso gli occhi di una moglie e di tre figlie, due piccole, una grandicella. Tutti, a parte il personaggio di base, abbastanza di fantasia, ma costruiti con specialissime attenzioni, narrative e stilistiche, per la verità, nei caratteri, nei gesti, nelle situazioni che, dopo il suicidio del protagonista, vedranno la sua famiglia prima impegnata a proseguire la sua opera, poi, sconfitta, affidandosi con amore al suo ricordo. Due tempi, perciò. Il primo, con il personaggio sempre al centro, è vorticoso, ritmato quasi con affanno dagli impegni di lavoro, dalle riunioni, dai cellulari sempre in azione, con lo sfondo costante di quello che è la vita quando si fa il cinema. Il secondo, con la famiglia in lutto, prima quieta, quasi raccolta, con segreti che, pur appena accennati, sorgono dal passato, poi, costretta a voltar pagina, definitivamente, con una malinconia solo affidata a modi asciutti. Si segue prima coinvolti e ansiosi, poi partecipi con emozioni delicate. Le suscita soprattutto l’interpretazione della nostra Chiara Caselli, una moglie, una madre di accenti fini, spesso anche intensi e decisi Le dà la replica un attore non molto noto, Louis-Do de Lèncquesaing, all’inizio teso, nervoso, tutto impeti quasi di corsa, in seguito, ma senza drammi esteriori, lacerato e fluito dal tracollo. Un po’ ricorda Balsan.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 11/6/2010

Critica (2):A prima vista Il padre dei miei figli lascia interdetti su un punto chiave. È possibile, plausibile che oggi il cinema - oggi che è marginalizzato sia sul piano delle abitudini di massa sia su quello degli investimenti economici - possa essere per qualcuno una questione di vita o di morte? Che per il cinema si possa dare la vita? È così verosimile che si tratta della vera storia di un produttore francese, Humbert Balsan, che aveva iniziato al fianco di Bresson, ebbe un lungo sodalizio con Ivory, produsse Chahine, Suleiman e Claire Denis. Che dopo essersi affermato per la sua passione e la sua audacia si tolse la vita nel 2005 poco più che cinquantenne quando lo spettro della bancarotta stava soffocando la sua attività e la sua fiducia. Ma anche al di là di questo dato reale, la giovane regista Mia Hansen-Love, conoscitrice della personalità di Balsan per esperienza diretta, si dimostra capace di riempire di anima e di verità universale qualcosa che potrebbe sembrare circoscritto al piccolo ambito della passione cinefila. Questa verità passa per scelte di linguaggio molto forti e decise, piene di personalità. Nella prima metà vediamo il protagonista Gregoire muoversi senza sosta tra problemi finanziari, instancabile dedizione alla sua fede nel cinema,e nel cinema meno facile e scontato,i volonterosi slanci e i sempre più disperati tentativi di nascondere le difficoltà ed essere all' altezza dell' amore che gli proviene dalla bella famiglia, dalla moglie Silvia (Chiara Caselli) e dalle loro tre vivaci bambine. Questa prima parte procede con un ritmo spezzato e incalzante, con un respiro affannato e nervoso. Che ci comunica con chiarezza la contraddittoria convivenza, nella solitudine di Gregoire, tra illimitata energia e convinzione nelle proprie scelte per un verso e, per l' altro, coscienza dell' imminente soccombere a uno scontro impari, ai debiti, alle infinite difficoltà materiali che si oppongono al suo ideale di conciliazione tra bellezza e denaro. Il suicidio avviene a metà film, che proseguirà poi con un tono paradossalmente rasserenato. Quando è la moglie a prendere le redini della situazione. Per liquidare la società di produzione, ma circondata dall' amore e dal rispetto, tranquilla e sicura di sé nel sapere che l' esempio di Gregoire resterà come un patrimonio nella memoria di chiunque abbia avuto a che fare con lui. Dunque cogliamo bene il nodo ispiratore del film e della sua regista e dei suoi ispirati interpreti, in sintonia con lo spirito della persona al cui ricordo rendono omaggio: ciò che fa la credibilità di un progetto che poteva apparire non credibile. Mentre tutto è contro il cinema come lo intendeva Balsan, tutto in realtà continua ad essere a favore di quell' idea generosa e autentica, di cui mai si potrà fare a meno. E intorno al nodo vitale del cinema la luce di questa storia si riflette su tutte le cose della vita. È facile capire che sia tanto piaciuto a Bernardo Bertolucci da voler spendere il proprio nome per sostenerlo.
Paolo D’Agostini, La Repubblica, 12/6/2010

Critica (3):

Critica (4):
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