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Sette samurai (I) - Shichinin no Samurai


Regia:Kurosawa Akira

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Shinobu Hashimoto, Akira Kurosawa, Hideo Oguni; fotografia: Asaichi Nakai; musiche: FumioHayasaka; montaggio: Akira Kurosawa; scenografia: Kohei Ezaki, Seiton Maeda, So Matsuyama; interpreti: Yu Akitsu (marito), Minoru Chiaki (Heihachji), Ichiro Chiba (prete), Tono Eijiro (ladro), Kamatari Fujiwara (Manzo), Bokuzen Hidari (Yohei), Fumiko Homma (paesano), Yoshio Inaba (Gorobel), Sojin Kamiyama (prete), Tsuneo Katagiri (paesano), Ko Kimura (Katsushiro), Kuninori Kodo (Gisaku), Yoshio Kosugi (Mosuke), Toshiro Mifune (Kikuchiyo), Seiji Miyaguchi (Kyuzo), Haruo Nakajima (bandito), Takashi Narita (bandito), Toranosuke Ogawa (vecchio capo villaggio), Masanobu Okubo (bandito), Senkichi Omura (bandito), Shin Otomo (bandito), Keiji Sakakida (Gosaku), Noriko Sengoku (moglie di Rikichi presa dai banditi), Yukiko Shimazaki (moglie di Risichi),Takashi Shimura (Kambei Shimada, caposamurai), Shimpei Takagi (capo dei banditi), Shuno Takahara (bandito), Akira Tani (bandito), Yoshio Tsuchiya (Risichi), Keiko Tsushima (Shino, figlia di Manzo); produzione: Shojiro Motoki per la Toho; distribuzione: Cineteca Griffith – Ventana; origine: Giappone, 1954; durata: 140’ (versione integrale 200’).

Trama:Nei tempi in cui le campagne giapponesi erano infestate dal brigantaggio, una banda di briganti a cavallo invade un giorno un villaggio sottraendo ai contadini i viveri e quanto possiedono, trascinando via alcune donne. Prima d’allontanarsi i briganti promettono di ritornare al tempo del raccolto. Per premunirsi contro tale eventualità il capo del villaggio decide di ricorrere all’aiuto dei samurai ed incarica un giovane contadino di andarne in cerca. Non è facile ottenere l’aiuto degli orgogliosi guerrieri, avidi di gloria e di lauti compensi, ma il giovane riesce a raccogliere sette vecchi soldati. Condotti al villaggio i samurai si mettono all’opera: predispongono la difesa, rizzando palizzate e addestrando alla lotta gli uomini del villaggio. Quando i quaranta banditi vengono all’attacco, incontrano una strenua difesa e vengono alla fine tutti uccisi, uno dopo l’altro. Ma la vittoria è costata cara ai difensori: quattro samurai ed alcuni contadini sono morti.

Critica (1):L’invenzione del contadino-samurai (Kikuchiyo, n.d.r.) è forse la più sorprendente in un film che è tutto una sorpresa. Volta a volta timido (all’inizio rincorre Kambei come un cagnolino) e invadente, vanaglorioso (per provare i suoi falsi quarti di nobiltà estrae una pergamena rubata secondo la quale – se sapesse leggere – dovrebbe avere oggi dieci anni!?) e generoso, ingenuo e furbissimo (la sua trovata per far uscire i contadini dalle tane quando i sette arrivano al villaggio), questo formidabile personaggio – un felice incrocio di Sancho Panza e Falstaff – dominerà la seconda e terza parte del film. Che un contadino diventi protagonista di un film di samurai è un fatto rivoluzionario; grande contaminatore di generi Kurosawa ha anche il merito di aver rivoluzionato il genere epico. La sua origine fa di Kikuchiyo un mediatore ideale tra due classi tradizionalmente rivali che si guardano con atavica diffidenza; la sua presenza nel gruppo (dopo la grottesca presentazione nella locanda, come un cane seguirà a distanza i sei che divertiti dalle sue innocenti smargiassate finiscono con l’adottarlo) si rivela provvidenziale fin dall’arrivo al villaggio. Mentre i samurai organizzano la difesa del villaggio, trasformato a poco a poco in una fortezza, Kikuchiyo appiana i contrasti e costruisce il morale dei contadini: grazie alla sua mediazione il periodo che precede la mietitura diventa l’occasione per un fruttuoso incontro tra due culture. I samurai imparano a capire perché i contadini vivono “nella paura di tutto”, misurano quanta sofferenza c’è dietro ogni chicco di riso (la decisione di distribuire parte del loro riso a vecchi e bambini – sequenza tagliata – è un primo concreto segno del radicale cambiamento di prospettiva). Questa metamorfosi è il cuore dei film, come risulta da due episodi imprescindibili ma che erano stati tagliati.
(...) la fusione utopistica samurai-contadini è il tema centrale del film. La loro ritrovata solidarietà sconfiggerà la rabbia dei quaranta mitici predoni: durante l’assedio che dura tre giorni e tre notti il regista non si limita a mostrare le imprese dei samurai, sottolinea anche l’eroismo dei contadini (anche queste scene sono state diligentemente tagliate). Nelle pause della titanica lotta contro la potenza delle tenebre, Kurosawa l’epico non trascura l’indagine delle psicologie, dei piccoli drammi segreti di samurai e contadini. Kyuzo, il maestro di spada, ci offre dei nuovi saggi della sua straordinaria capacità di concentrazione interiore (impassibile come Budda si estranea nella contemplazione di un fiore, mentre attende un attacco), della sua modestia (tornando da una solitaria spedizione notturna nel campo nemico consegna in silenzio il prezioso archibugio sottratto ai briganti e va a riposare ai piedi di un albero). Per non essere da meno l’impulsivo Kjkuchiyo fa anche lui la sua brava spedizione notturna che si rivela una gustosa caricatura della precedente (sequenza tagliata); d’ora in poi indosserà con orgoglio la troppo piccola armatura rubata che gli lascia scoperte le natiche. Il primo giorno dell’attacco l’avevamo visto precipitarsi generosamente al mulino incendiato e ritornare reggendo in braccio l’unico superstite, un bambino. “Questo bambino sono io, mi è capitata la stessa cosa” aveva esclamato in lacrime. Durante la sepoltura del primo samurai caduto è lui che corre ad issare la bandiera del villaggio disegnata dal morto. Sarà ancora lui mortalmente ferito a stanare e trafiggere il capobrigante per vendicare la morte d Kyuzo.
Kurosawa si interessa anche ai drammi esistenziali dei contadini. Quello di Rikichi che, ritrovata la moglie nel covo dei briganti, assiste impotente alla sua morte tra le fiamme. (La spedizione notturna al covo dei briganti sperduto tra le gole è un capolavoro del cinema fantastico: la partenza picaresca – Mifune grottescamente disarcionato dal cavallo –, gli scorci caravaggeschi dei corpi seminudi dei banditi abbandonati nel sonno, lo sguardo struggente dell’umiliata e offesa che vedendo le fiamme non dà l’allarme per punire i suoi aguzzini, quei dannati che svegliati dalle fiamme sprizzano fuori dal rogo gettandosi sulle spade degli assalitori e rotolano nell’acqua... è una delle raffigurazioni più indimenticabili dell’inferno mai viste al cinema). Il dramma della soave Shino, segretamente innamorata del giovane samurai Katsushiro, che sorpresa con l’amante viene trascinata per l’intero villaggio dal padre diffidente (“hai osato amare un samurai!”) sotto gli occhi impotenti dei giovane che non osa intervenire. Dopo quella notte tragica in cui è diventato “un uomo” (gli farà notare scherzando il maestro Kambei) l’aspirante samurai troverà il coraggio di battersi; ucciderà anche lui un bandito, la terza notte, prima di crollare in singhiozzi in una pozzanghera; non è facile diventare adulti.
Capolavoro di ingegnosità militare, la battaglia finale è anche un capolavoro di architettura narrativa; i tre giorni e le tre notti di lotta si susseguono come i tempi di una vasta sinfonia secondo ritmi e cadenze di una precisione matematica. (...)
Definirlo il capolavoro epico di Kurosawa è troppo poco: nell’edizione integrale I sette samurai ha la semplicità e la vitalità dei migliori film di Ford, il vigore ritmico e lo splendore visivo del Nevski e dell’Ivan eisensteiniani, senza la retorica e il manicheismo del maestro sovietico che avrebbe qualcosa da imparare dall’umanità, dalla naturalezza, dall’ironia di Kurosawa. (...)
Aldo Tassone, Akira Kurosawa, Il Castoro Cinema-L’Unità, 5/1995

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Akira Kurosawa
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