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Icaros: A Vision


Regia:Caraballo Leonor, Norzi Matteo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Abou Farman, Leonor Caraballo, Matteo Norzi; fotografia: Ghasem Ebrahimian; montaggio: Èlia Gasull Balada; scenografia: Eduardo Camino; suono: Amir Naderi; interpreti: Ana Cecilia Stieglitz (Angelina), Filippo Timi (Leonardo), Guillérmo Arevalo (Guillermo), Arturo Izquierdo ((Arturo); produzione: Abou Farman per Conibo Productions, Nice Dissolve; distribuzione: Lab 80 Film; origine: Usa, Perù, 2016; durata: 91’.

Trama:Alla ricerca di un miracolo, Angelina, una donna americana malata di cancro, si imbarca in un viaggio per la foresta amazzonica peruviana e trova speranza in una comunità rurale. Attraverso rituali che coinvolgono un'antica pianta psichedelica conosciuta come ayahuasca, la donna si avvicina a quella che identifica come la trascendenza. Con la percezione sempre alterata, forgia un legame con il giovane sciamano indigeno Arturo, che sta perdendo la vista, e con un gruppo eterogeneo di psiconauti in cerca di emozioni nuove, di compagnia e della comprensione del senso della vita e della morte. Nei loro viaggi allucinogeni, insieme raggiungono un diverso senso del loro destino. Angelina impara ad accettare le sue paure mentre Arturo si rende conto che sarà in grado di vedere al buio e cantare le sue cerimonie di guarigione, gli icaros.

Critica (1):NOTE DI REGIA
Icaros: A Vision è un film sulla paura e la liberazione dalla paura; la paura della malattia e della morte, ma anche il timore di vivere la vita. È una storia sulla possibilità di superare queste paure – che è ciò per cui la pianta amazzonica Ayahuasca è un efficace rimedio. Incentrato sulle cerimonie notturne caratteristiche dei ritiri sciamanici, Icaros si rivela nella penombra, replicando il viaggio sciamanico. Il film mescola realtà e finzione. Ambientato in un centro di guarigione Icaros mette insieme veri sciamani e non-attori indigeni della comunità Shipibo, con attori professionisti nella parte dei turisti. Aspetti del film sono basati su vere esperienze della co-regista Leonor Caraballo. Diagnosticatole un tumore terminale prima dell’inizio delle riprese, ha dedicato al progetto anima e corpo, tristemente spegnendosi prima di poter vedere l’opera finita. Il film è ispirato dalla convinzione che riconoscere il valore delle piante della sapienza indigena è l’unico modo per cambiare il futuro pregiudicato dell'Amazzonia, anch’essa un paziente in fin di vita. Si stima che nei prossimi vent'anni massicci appezzamenti saranno deforestati per produrre quantitativi di petrolio sufficienti a dissetare la domanda degli Stati Uniti solo per circa di due settimane. Le donne e gli uomini che custodiscono la conoscenza sugli usi delle infinite piante medicinali faticano a trovare l’interesse per trasmettere queste pratiche alle nuove generazioni. Pertanto l’intenzione del film è porre attenzione sul lavoro, la vita e la sapienza del popolo Shipibo. La storia si svolge a Iquitos, la stessa città dove Werner Herzog girò Fitzcarraldo più di trenta anni fa, e l’hotel Casa Fitzcarraldo ospita una scena chiave nel film.
Matteo Norzi

Critica (2):Aiuto, siamo in presenza dell’ultracinema. Icaros: A Vision (in sala dal 12 aprile, durata 91’) diventa, insieme, film, documento, viaggio sospeso tra la vita e la morte. E testamento di un’intrepida cineasta argentina quale era Leonor Caraballo (1971-2015) che col co-regista italiano Matteo Norzi e il produttore Abou Farman assistente universitario di antropologia, suggerisce l’esistenza di un altrove cinematografico dall’impronta emozionante, coinvolgente, evocativa, allusiva, non di rado magica.
È il messaggio da un altro mondo. Quello dell’Amazzonia, stesso perimetro geografico del folle Fitzcarraldo di Werner Herzog (1982). Vi giunge la giovane americana Angelina (Ana Cecilia Stieglitz), cui una nefasta diagnosi di malattia non lascia scampo, in cerca di un miracolo peruviano da consumarsi attraverso la medicina della tradizione sciamànica. Punto d’arrivo l’Anaconda Cosmica, factory fitoterapeutica del maestro sciamano Guillermo Arévalo Valera – di universale rinomanza per la sua attività curativa con le piante e il rapporto col mondo vegetale – che nel film recita se stesso, affiancato da attori non professionisti.
Là Angelina, medium della regista che quell’esperienza ha vissuto e voluto rigenerare nel suo film senza riuscire, purtroppo, a vederlo proiettato, trova il conforto di una (ir)realtà carica di energia e di elettricità visionaria, dove i pazienti sono chiamati passeggeri (c’è anche Filippo Timi che colà vuol risolvere, lacerandosi corpo e mente, la sua proverbiale balbuzie) e la pianta allucinogena Ayahuasca (che s’afferma non combinabile con medicine chimiche “perché gelosa della propria identità”) conduce nei territori della diversa conoscenza. Tra cantilene sciamàniche, visioni e brandelli di memoria, introspezioni trapassanti e proiezioni future, occhi luminosi nella tenebra notturna, pietre di fosforescenza cromatica pulsanti nella foresta.
L’incubo magnetico di una mammografia impietosa affiora ritmicamente nella protagonista col suo battito sordo e gelato. E forse l’estratto di quella pianta ammaliatrice non ha il potere di curare il male fisico ma di certo riesce a guarire – come ad Angelina insegna il giovane sciamàno Arturo (Arturo Izquierdo) minacciato da un'incipiente cecità – da un’altra malattia, insidiosa e strisciante, quella della paura chiamata Susto combinandosi con gli Icaros, le canzoni-cantilena che derivano dal suono degli animali e della saggezza silenziosa ma musicale della selva: dove ascolti le piante che ti chiamano e ti mostrano i mondi di oggi e quelli di domani; e vi si raccontano storie di antichi sciamàni volanti in contatto con i signori del regno acquatico.
Mon dieu, questo è incantesimo cinematografico. Che mostra come con l’Ayahuasca si possa passare dal sogno alla realtà senza uscire dal sogno; e ascoltare le piante che nella notte silvestre risuonano dentro ognuno, nei ricordi di ciò che si è ascoltato nel corso della vita. Leonor Caraballo disse, durante il suo viaggio, di aver assistito alla propria morte nella dimensione “cosmica” dell’Anaconda. E questa visione fantàsmica, passando per i delirii labirintici e le splendide intuizioni estetiche del film tracimanti in impressionismo psichedelico di derivazione underground, testimonia il raggiungimento dell’equilibrio interiore.
Chissà perché, vedendo questo film viene di pensare a un altro e pur diversissimo testamento cinematografico come Nick’s Movie – Lampi sull’acqua di Wim Wenders (1980), girato al capezzale di Nicholas Ray, dove il regista di Gioventù bruciata volle che si filmassero i suoi ultimi giorni di vita. Opera sconvolgente e toccante era quella. Al pari di questo Icaros che associa, in un tracciato parabolico, la pre-morte della sua splendida autrice all’agonica deriva dell’Amazzonia intera, devastata dal fuoco e dalle tribolazioni inferte dall’uomo. E il suono della natura mormorante coincide con una sconsolata implorazione ecologistica.
Claudio Trionfera, panorama.it, 13/4/2018

Critica (3):Ammalata e praticamente senza possibilità di guarigione, Angelina si reca nel cuore dell’Amazzonia. Là, nella fattoria “Anaconda cosmica”, sotto la cura di una sciamano, assume dosi massicce di ayahuasca, chiamata anche “la liana del morto”, “una pianta molto gelosa” che provoca allucinazioni (“puoi passare dal sogno alla realtà senza uscire dal sogno”), sperando di trovare così una improbabile cura. Tra i ricoverati (i “passeggeri”, come vengono chiamati) e l’amicizia con un apprendista curandero che sta perdendo la vista, la donna vivrà un’esperienza totalizzante oltre i confini del nostro comune senso quotidiano.
“Se ti metti ad ascoltare tutto quello che senti nella selva cosa ascolti?”. A questa domanda ad esempio il povero attore Leonardo, lì per guarire da una invalidante forma di balbuzie, non sa rispondere, ma Angelina (il nome è un omaggio ad Angelina Jolie) forse alla fine sì. Perché il segreto delle piante è che esse sanno cantare, sanno comunicare e gli icaros cui allude il titolo altro non sono che canzoni magiche provenienti dal mondo vegetale con poteri curativi. Tra narrazione tradizionale e tanti inserti psichedelici, in cui il documentario si mescola al disegno animato, la computer grafica all’immagine di una natura magnificamente superiore e indifferente, Icaros è, come si legge nei titoli, non un film, ma una visione, che la video artista argentina Leonor Caraballo (scomparsa alla fine delle riprese, in effetti il film si basa sulla sua personale esperienza) e il collega italo uruguaiano Matteo Norzi realizzano con più di un riferimento ideale al cinema alternativo e spirituale che dagli anni ’70, come un fiume carsico, ogni tanto riemerge nelle sale (aggiungiamo che alla sceneggiatura ha collaborato anche il marito di Leonor, Abou Farman, qui anche coproduttore).
Massimo Lastrucci, Ciak-ciakmagazine.it, 11/4/2018

Critica (4):Il rumore della natura (le “parole” delle piante, la voce degli animali). La malattia (devastante e maligna) e la paura (coraggiosa e battagliera). Visioni colorate e luminose che invadono gli occhi e lo spirito e chetano. Intorno a questo nucleo ruota e si costruisce Icaros: A Vision (...), il film dell’argentina Leonor Caraballo – malata lei stessa di tumore e morta prima di vedere l’opera finita – e dell’italo-uruguaiano Matteo Norzi.
Angelina (Ana Cecilia Stieglitz) è una giovane donna malata, intrisa e pervasa da un devastante tumore che la spinge a fare un viaggio disperato in Amazzonia, alla ricerca di un miracolo. Un miracolo che prende le forme dell’Anaconda cosmica, un centro terapeutico in cui trovano rifugio e cure persone affetta da varie malattie o problematiche, e il nome di Ayahuasca, infuso psichedelico che provoca allucinazioni, chiamato anche “la liana del morto” per il sostegno che offre a chi ne fa uso.
Angelina, spaesata e turbata dalla notizia del male che si è impossessato di lei, lontana dalle vertigini del quotidiano, si lascia cullare nel mondo sciamanico – elemento liquido e amniotico di cui e in cui si immerge il film, infatti il termine Icaros, contenuto nel titolo, è il canto ipnotico e performativo degli sciamani – che la accoglie, la soccorre e sostiene, si lascia trasportare dall’infuso allucinogeno che la porta oltre le percezioni umane a lei sconosciute fino ad ora. Partecipa, abbandonate le urgenze della civiltà, con tutta se stessa a questo percorso spirituale, annega nella foresta peruviana che celebra le proprie meraviglie e fa sperare in visioni prodigiose. Quella di Angelina non è una battaglia, non c’è nessun miracolo da cui restare affascinati, ma qualcosa di più profondo e unico, è sentire la voce muta di se stessi, della natura e quindi divenire tutt’uno con il cosmo. Icaros: A Vision mostra una donna che, a poco a poco, si denuda del superfluo, abbandona gli schemi, i ruoli, le categorie su cui ha costruito la sua esistenza e, ciò che di lei rimane, è l’io essenziale. La paura – “susto” per i peruviani – si stempera in una calda accettazione, Angelina partecipa all’armonia dell’universo, spinta dal vento che muove i rami degli alberi, scaldata da quella terra calda, salvifica e rigenerante e la donna diventa parte di quel tutto che le sta attorno.
Da una parte Icaros: A Vision si muove come un documentario, asciutto, essenziale, “mostrativo” e quasi divulgativo – basti pensare che parte del cast è costituito da appartenenti alla tribù Shipibo che appunto raccontano se stessi, la propria tradizione, la propria medicina -, dall’altra parte l’opera respira come racconto illusionistico, ipnotico, diventando narrazione unica e “contorta” e quasi anti-narrazione, figlia dell’infuso allucinogeno di cui Angelina “si ciba”. Nel titolo c’è questo doppio filone, in Icaros si può leggere il racconto di un mondo, quello degli sciamani, dei loro canti e della loro cultura terrigna e spirituale, naturistica e di condivisione, in quel A Vision invece c’è tutta la folgorazione luminosa e colorata che accompagna i protagonisti sotto l’effetto dell’Ayahuasca. Occhi iridescenti nella notte, pietre luminose (create con semplici effetti speciali), animazioni in 2D, immagini sintetizzate e fotogrammi proiettati nell’acqua diventano album immaginifico per vivere altro e vivere oltre, aiuti per anime e corpi profondamente malati che vengono così accarezzati, abbracciati.
Icaros insegna anche che non si sopravvive da soli, chiusi in un eremo solitario, ma si deve stare nel mondo, partecipare alla vita e alla disperazione degli altri per poi risollevarsi. Infatti Angelina crea un forte legame con Arturo (Arturo Izquierdo), un apprendista sciamano che scopre di essere affetto da una malattia degenerativa degli occhi e che diventa il suo sciamano. Nell’incontro tra i due, uniti da un destino doloroso, anche se diverso, lo spettatore partecipa ad un viaggio, che va di pari passo, di scoperta, di accettazione e di superamento, viaggio che si esplica anche in una corrispondenza narrativa. Lei è una malata terminale, tesa alla ricerca disperata di non si sa bene cosa (pace, cura, affetto e partecipazione) e, come lei, anche Arturo è malato e spaventato: prima tutto preso dal negare ciò che vede, dal dimenticare quel mondo crepato che i suoi occhi registrano e quei colori falsati che non si cancellano mai; l’esistenza di Angelina però coincide e si collega a quella dell’Amazzonia spesso usata e abusata.
Arturo diventa compagno di strada di Angelina e insieme intraprendono un percorso allucinatorio di disarmante accoglienza e attesa, di calmo fatalismo e di bulimico desiderio di farsi invadere dall’istante. Arturo vince la paura (della malattia, del dolore, della morte) di Angelina ma anche la sua stessa e così possono incamminarsi per l’ultimo viaggio lontani ma insieme, verso il buio, inteso in modo diverso, per l’uno e per l’altra.
Icaros: A Vision è un’opera totalizzante che riempie di senso, spinge e sospinge come un fiume carsico, è un film complesso, filosofico quasi ma inesorabile nella sua lentezza alla maniera di una nenia confortante e spirituale. (...)
Eleonora Degrassi, cinematographe.it, 12/4/2018
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