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Corpus Christi - Boże ciało


Regia:Komasa Jan

Cast e credits:
Sceneggiatura: Mateusz Pacewicz; fotografia: Piotr Sobocinski Jr.; musiche: Evgueni Galperine, Sacha Galperine; montaggio: Przemyslaw Chruscielewski; scenografia: Marek Zawierucha; costumi: Dorota Roqueplo; suono: Kacper Habisiak, Marcin Kasinski, Tomasz Wieczorek; interpreti: Bartosz Bielenia (Daniel), Eliza Rycembel (Eliza), Aleksandra Konieczna (Lidia), Tomasz Zietek (Pinscher), Lukasz Simlat (Padre Tomasz), Lidia Bogacz (Madre); produzione: Aurum Film; distribuzione: Wanted; origine: Francia-Polonia, 2019; durata: 116'. VM14

Trama:Daniel è un ventenne che vive una trasformazione spirituale mentre sconta la sua pena in un centro di detenzione. Daniel vorrebbe farsi prete ma questa possibilità gli è preclusa per la sua fedina penale. Uscendo dal centro di detenzione, gli è assegnato un lavoro presso un laboratorio di falegnameria in una piccola città, ma al suo arrivo, una serie di equivoci lo porta ad essere scambiato per un sacerdote e inizia a professare in una piccola parrocchia. La comparsa di questo giovane e carismatico predicatore diventa l'occasione per la comunità, scossa da una tragedia avvenuta qualche tempo prima, per cominciare a rimarginare le sue ferite.

Critica (1):«Tu non morirai». Non può dire nient’altro, il giovane Daniel, nelle vesti di Padre Tomasz, chiamato d’urgenza al capezzale di un’anziana. E lei, dopo avergli stretto la mano, muore. Non può dirle nient’altro, lui che in fuga dalle responsabilità a cui lo vincola il riformatorio si fa passare per prete in un villaggio di poche anime e quelle poche sono pie e praticanti ma sotto sotto misere ed egoiste. Daniel le dice che non morirà non per mentirle, e neppure per ignoranza: tu non morirai ha per lui lo stesso significato di un’assistenza concreta, un gesto pratico, fare una cosa, fare delle cose, qualcosa.
Daniel ha fede, ma si è visto sbarrare il percorso da seminarista per i suoi peccati. La permanenza nel paese, mentre dice messa, confessa i fedeli e benedice un cantiere, è per lui un’occupazione. La sua, infatti, di fede, è effettiva, non astratta; sostanziale, non teorica. Tanto che i segreti inconfessabili del paese, ma inconfessabili soprattutto per individualismo e povertà d’animo, Daniel li svela più per sé che per penitenza o purificazione delle coscienze. Per capirsi, più che per capire le persone o impartire delle lezioni morali.
Non a caso nel finale, davanti al coetaneo che ha svelato il suo travestimento, non trova di meglio che dirgli «Mi hai venduto». Chiaro, elementare, probabilmente banale, senza dubbio – appunto – concreto, pragmatico. In abito talare Daniel non è diverso dal sé civile nel carcere dove sconta la sua pena. E nel borgo che prega i propri defunti ma rifiuta categoricamente la sepoltura ai presunti assassini, e dove le apparenze devote nascondono rancori violenti che nemmeno la croce e i numerosi piccoli santuari possono sopire, egli, lontano dall’essere il nuovo messia o un missionario, cerca soltanto se stesso.
È dunque un racconto di formazione, Corpus Christi, più che una specie di riarticolazione di Il corvo di Clouzot (benché anche qui ci siano delle sgradevoli lettere anonime). E si tratta di una formazione assolutamente laica nel nome non di Cristo, bensì di un’identità informe, sbriciolata, da rimettere in sesto e da riregistrare. L’io. Per Daniel, fede è carità per ovvietà: la misericordia è un atto istintivo attraverso la quale smontare pregiudizi e abbattere poteri. Dunque tu non morirai e mi hai venduto equivalgono a uno sguardo sul mondo. Nessun dogma. Daniel vuole agire, vuole pensare, vuole credere che l’unico credo giusto appartenga a un dovere di riformulare il proprio esserci. Per lui affrontare il lutto meschino messo in scena dal paese è una necessità personale. Altro che afflizione: il corpo di cristo che Daniel rivela è un’immagine tatuata di simboli di vita.
E la morte, come la delazione e il bigottismo, la grettezza e l’esercizio infame dell’autorità, perde di senso. Tu non morirai. Non c’è palcoscenico, in Corpus Christi: Jan Komasa, che oggi sa come parlare della contemporaneità (recuperare anche The Hater, subito), guarda alla persona come nodo focale e centro prospettico del presente; è da Daniel che Daniel riparte. Senza troppo ottimismo, però: il sistema non cambia, la perpetua del villaggio resta al suo posto e conserva pieni poteri (che personaggio memorabile, Lidia; che interprete sublime, Aleksandra Konieczna), Daniel torna da dov’era venuto, la violenza è ancora una volta già contemplata e inevitabile. Tutto è come prima. Forse anche Daniel.
Pier Maria Bocchi, cineforum.it, 6/5/2021

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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