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Ragazzo selvaggio (Il) - Enfant sauvage (L’)


Regia:Truffaut François

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Jean Gruault, François Truffaut, da Memorie e relazioni su Victor de l’Aveyron di Jean Itard; fotografia: Nestor Almendros; musiche: Antonio Vivaldi; montaggio: Agnes Guillemot; scenografia: Jean Mandaroux; interpreti: Jean Pierre Cargol (Victor), Jean Dasté (Professor Pinel), Pierre Fabre (L’infermiere), René Levert (Il Commissario), Annie Miller (Sig.ra Lemeri), Claude Miller (Sig. Lemeri), Nathan Miller (Bambino Lemeri), Mathieu Schiffman (Mathieu), Françoise Seigner (M.me Guerin), Jean-François Stevenin (Contadino), François Truffaut (Dottor Itard); produzione: Claude Miller/Marcel Berbert Per Les Films Du Carrosse, Les Productions Artistes Associés; origine: Francia, 1969; durata: 90’.

Trama:Una contadina che raccoglie funghi nella foresta dell’Aveyron, in un giorno dell’estate 1793, scopre un ragazzo selvaggio e dà l’allarme. I cacciatori stanano il ragazzo con i cani e lo catturano. I giornali, parlano di lui: dalla gendarmeria di Rodez, viene trasferito a Parigi, all’Istituto Nazionale Sordomuti. Qui viene esaminato dai dottori Pinel e Itard, che tentano di ricostruire, la sua esistenza: si pensa che abbia circa 12 anni e che sia vissuto per sette o otto nella foresta, dove ha imparato a vivere e a muoversi come un animale. Il suo corpo è coperto di cicatrici: una, più profonda, sotto il mento, fa pensare ad una ferita da arma da taglio. Le unghie sono artigli, si esprime solo con grugniti e non risparmia morsi ai curiosi visitatori. La convivenza con i piccoli sordomuti si rivela impossibile e Pinel ritiene inutile occuparsi di lui, consigliando di rinchiuderlo a Bicêtre. Itard si oppone e ottiene di condurre il ragazzo nella sua casa di Batignolles, un villaggio alla periferia di Parigi. Là, coadiuvato da M.me Guérin, sua governante, intraprende l’educazione del ragazzo selvaggio, al quale sarà dato il nome di Victor. Il film ricostruisce, con fedeltà documentaristica, le difficoltà e gli alterni risultati degli esperimenti ai quali Itard sottopone Victor, nel tentativo di restituire al ragazzo l’uso del linguaggio. Victor sembra reagire positivamente agli sforzi del dottore; ma una notte, fugge. L’estremo tentativo di resistenza di Victor si risolve comunque con il suo ritorno alla casa di Itard. Poi, riprendono gli esperimenti.

Critica (1):L’enfant sauvage, più degli altri film di Truffaut, richiede un approccio critico a diversi livelli, tanto il film è ricco di intenzionalità ideologiche e d’implicazioni tematiche. D’altra parte, corrispondono a questi livelli almeno tre componenti strutturali, l’esasperazione didascalica delle quali rinvia, con disegno evidente, al cinema di Truffaut in generale: l’autobiografia, la riflessione metalinguistica sul lavoro della messa in scena, la storia di una educazione. Cominciamo da quest’ultima, che rappresenta la significazione più immediata del film, sulla organizzazione sintattica della quale "poggiano" le altre due.
La sceneggiatura di L’enfant sauvage prende spunto dai due rapporti redatti dal dottor Jean Itard: il primo nel 1801, il secondo nel 1806, e destinati rispettivamente all’Accademia di Medicina e al Ministero degli Interni. Il film li fonde, immaginando che il dottore annoti in un diario quotidiano i progressi dell’esperimento pedagogico. La voce fuori campo ne commenta i principali momenti, assicurando insieme la comprensibilità immediata e la fedeltà allo stile dei rapporti originali, composti di appunti scientifici, divagazioni filosofiche, notazioni morali e trasporti affettivi. Il film appare costruito con intenti didascalici; ma, l’attenzione documentaristica con cui vengono presentate le tappe dell’iniziazione al linguaggio di un ragazzo selvaggio che ne è escluso, si dà a leggere come esasperazione pedagogica (nei confronti, questa volta, dello spettatore), di uno dei motivi fondamentali del cinema di Truffaut. Immaginiamo di sovrapporre idealmente i suoi film: al di là delle differenze che ne confondono i disegni, l’operazione pone comunque in rilievo i punti di coincidenza. Questi appaiono organizzati in una serie di eventi drammatici che, senza difficoltà, possiamo ricondurre ad un’unica situazione tematica, incessantemente modificata, ma persistente e riconoscibile: la storia di una educazione, del significato più esteso del termine. "Oggi mi rendo conto che L’enfant sauvage si imparenta sia con Les quatre-cents coups, che con Fahrenheit 451. In Les quatre-cents coups ho mostrato un ragazzo che mancava di affetto, cresciuto senza tenerezza; in Fahrenheit 451 ho parlato di un uomo cui vengono negati i libri, cioè la cultura. Quello che manca a Victor dell’Aveyron è ancora più radicale: si tratta del linguaggio. Questi tre film sono dunque costruiti sopra una frustrazione fondamentale. Anche negli altri film mi sono adattato a descrivere personaggi che sono fuori della società; non sono loro che rifiutano la società, ma è la società che li rifiuta".
L’emarginazione è condizione comune a tutti gli anti-eroi del cinema di Truffaut: quando non si risolve in una autentica esclusione (e dunque nella morte: reale nel finale di Jules et Jim, mitica in quello de La sirène, metaforica ne La mariée), essa genera comunque contraddizione, dolore, solitudine, umiliazione. Il prezzo della reintegrazione è la sconfitta degli ideali di purezza e di libertà: la sopravvivenza conosce solo la strada della educazione al compromesso e alla rinuncia. Con L’enfant sauvage, Truffaut radicalizza i termini della questione, consentendo di chiarire, alla luce di questo film, gli estremi di un discorso poetico del quale non si è mancato di rilevare la coerenza nell’arco dei dieci film esaminati. Scopriremo così, anzitutto, che è inutile accusare Truffaut – come è stato fatto – di aver realizzato un film incoerente o falso dal punto di vista scientifico, perché non è questo aspetto ad aver interessato il regista. "Non ho neanche voluto avvalermi di una consulenza medico-scientifica; non desideravo che qualcuno mi potesse impedire, comunque, di "muovermi liberamente". L’esclusione di cui è vittima il ragazzo selvaggio è la più radicale tra quelle che possono colpire un individuo: essendo l’accesso al linguaggio (la psicanalisi insegna) condizione indispensabile per la costituzione del soggetto in quanto tale. Ora, può sembrare che tema del film sia l’avventura della riconquista del piccolo Victor alla "civiltà": e non è mancato chi ha letto il film sulla base di una opposizione idealistica Natura/Cultura, dove il secondo termine sostiene il peso positivo dell’idea di progresso e il primo quello complementare-negativo di regressione. Ma poiché è evidente che qualunque discussione sull’utilità che Victor rimanesse a vivere nella foresta sarebbe fuori luogo, è altrettanto evidente che l’attenzione di Truffaut si è precisamente appuntata sulle modalità e sul significato (problematico) di quel processo di educazione al quale Itard sottopone Victor.
Non c’è nessun dubbio che l’errore di Itard sia stato quello di credere all’animalità del ragazzo: di pensare cioè che il soggiorno nella foresta di Victor avesse conservato allo stato naturale le sue risorse intellettive, ad una sorta di grado zero, per effetto di una mancata educazione culturale. Ma Itard è un illuminista del XIX secolo, e non poteva sapere ciò che la psicanalisi ha scoperto, solo molto più tardi, sui bambini psicopatici, incapaci di comunicare (i "ragazzi selvaggi" sono la risposta mitica ad un problema di cui non si conoscono, o non si vogliono conoscere, le cause). In verità, Victor è, appunto, uno psicopatico, un bambino cioè, le cui capacità comunicative sono state seriamente compromesse a causa di carenze affettive precedenti il suo soggiorno nella foresta. L’errore dei detrattori di Truffaut è invece quello di credere che il regista condivida pienamente il punto di vista e l’ottimismo del dottore (l’interpretazione del ruolo di Itard da parte di Truffaut ne sarebbe una conferma), sostenendo l’idea di un apologo umanistico ed edificante sulla recuperabilità, dei ragazzi handicappati. Ma conosciamo l’abilità (il gusto) del regista nel confondere le piste: conviene dunque dubitare di una interpretazione così palesemente superficiale per tentare di scoprire, dietro le maschere del discorso, il senso ultimo del film. In primo luogo, converremo allora con Alessandro Cappabianca che, in una analisi del film comparsa sul n. 214 di Filmcritica, giudica il film "problematico e del tutto privo di illusioni di qualunque genere": per cui appare non solo lecita ma doverosa una lettura de L’enfant sauvage in chiave di spietata critica nei confronti del metodo educativo messo in atto da Itard. Il distacco critico si coniuga anche formalmente, tramite il ricorso a procedimenti e scelte stilistiche che, nel loro insieme, sono riconducibili ad un modello di messa in scena inequivocabilmente bressoniano: schermo standard, fotografia in bianco e nero, voce fuori campo, mascherini e dissolvenze, prevalenza assoluta di inquadrature a figura intera e dei campi lunghi, che sottolineano la messa a distanza di una rappresentazione esplicitamente costruita e anti-autoritaria.
Alberto Barbera, François Truffaut, Il Castoro Cinema, 1976

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François Truffaut
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