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Ride


Regia:Mastandrea Valerio

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Valerio Mastandrea, Enrico Audenino; fotografia: Andrea Fastella; musiche: Riccardo Sinigallia, Emiliano Di Meo; montaggio: Mauro Bonanni; scenografia: Marta Maffucci; costumi: Olivia Bellini; suono: Gianluca Costamagna; interpreti: Chiara Martegiani (Carolina), Arturo Marchetti (Bruno), Renato Carpentieri (Cesare), Stefano Dionisi (Nicola), Milena Vukotic (Ada), Mattia Stramazzi (Ciccio), Walter Toschi (Ictus), Giancarlo Porcacchia (Morbido), Silvia Gallerano (Sonia), Emanuele Bevilacqua (Aldo), Milena Mancini (Marta), Giordano De Plano (Paolo), Lino Musella (Mauro); produzione: Simone Isola, Paolo Bogna per Kimerafilm, con Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution-RaiCinema; origine: Italia, 2018; durata: 95’.

Trama:Una domenica di maggio, a casa di Carolina si contano le ore. Ne mancano solo 24 al giorno in cui bisognerà aderire pubblicamente alla commozione collettiva che ha travolto una piccola comunità sul mare, a pochi chilometri dalla capitale. Se n'è andato Mauro Secondari, un giovane operaio caduto nella fabbrica in cui, da quelle parti, hanno transitato almeno tre generazioni. E da sette giorni Carolina è rimasta sola, con un figlio di dieci anni, e con la sua fatica immensa a sprofondare nel dolore per la perdita dell'amore della sua vita. Manca un giorno solo al funerale dove tutti si aspetteranno una giovane vedova devastata che sviene ogni due minuti. Come fare a non deludere tutta quella gente? E soprattutto come fare a non deludere se stessa?

Critica (1):Ride, il primo lungometraggio da regista di Valerio Mastandrea, scritto a quattro mani insieme a Enrico Audenino (Maicol Jecson), muove da un tema particolarmente sensibile e attuale: le morti bianche. Pur rimanendo centrale lungo tutto l’arco narrativo del film, però, non è quello che sembra veramente interessare ai due autori.
Il povero Mauro Secondari, impiegato in una fabbrica, è scomparso sì anzi tempo a causa di un incidente sul posto di lavoro, ma non è un dettaglio così fondamentale se poi l’attenzione è tutta rivolta a riflettere sugli stati d’animo, le reazioni e le trasformazioni che la morte di qualcuno, a prescindere dal contesto in cui si verifica, suscita in chi resta – che sono coloro ai quali il film è dedicato.
Lo dimostra il fatto che il film si concentri esclusivamente sul racconto delle 24 ore che precedono il funerale della vittima; che Scandariato, a parte un momento simbolico nel finale in cui lo vediamo per la prima e unica volta in carne e ossa, viva solo nelle parole e nei ricordi degli altri personaggi; e che di lui – dettaglio solo apparentemente insignificante, chissà se voluto o involontario – non esistano immagini fotografiche, soprattutto all’interno dell’appartamento dove il film si svolge quasi interamente e dove, al contrario, si intravedono quelle di Carolina (sua moglie) e di Bruno (suo figlio).
Ecco allora che, più che un film di denuncia sociale, Ride sia e funzioni meglio come un’esplorazione nostalgica, in chiave intimistica e a tratti surreale, dei sentimenti umani e del rapporto che i viventi hanno nei confronti della morte, intesa come esperienza ineluttabile con cui chiunque, prima o poi, è chiamato a confrontarsi.
Mastandrea lo fa con i toni leggeri e agrodolci della commedia, attraverso la serie variopinta e grottesca di personaggi che gravitano intorno a Carolina (Chiara Martegiani). È lei a cui il titolo del film si riferisce. Mentre tutti gli altri, dal fratello delinquente (Stefano Dionisi) al suo primo amore degli anni di scuola, si struggono, Caterina, l’unica probabilmente ad avere tutte le buone ragioni per piangerlo, non riesce a versare una lacrima. Anzi, come lei stessa ammette, cercando di dare un senso alla propria reazione emotiva, da quando è avvenuta la tragedia sta benissimo, nonostante il suo diritto e dovere a stare male.
Poi trovano posto anche il discorso politico e gli ideali sui diritti dei lavoratori, con la mobilitazione dei colleghi della fabbrica e il cordoglio dei vecchi compagni sindacalisti del padre della vittima, interpretato da Renato Carpentieri. Ma è un aspetto del film, questo, che sembra appartenere a un’altra storia, a un altro contesto, come si evince anche da alcuni dialoghi che suonano come delle forzature: quello sugli ultimi istanti di vita delle vongole, per esempio, o quando Dionisi, pistola in pugno, minaccia il padre rivoluzionario dicendogli: «Ma sta guerra, quando la vincete che mi pare che a morire siate solo voi?» (…)
Marco Cacioppo, cineforum.it, 3/12/2018

Critica (2):C’è in Ride, lungometraggio d’esordio di Valerio Mastandrea, una messa a fuoco importante, decisiva: l’attuale divaricazione tra libertà individuale e sanzione sociale, significativamente addossata a un’elaborazione del lutto. A Carolina (Chiara Martegiani) è morto sul lavoro il marito, Mauro Secondari: la comunità, sulla costiera laziale (Nettuno), è piccola, per quella fabbrica si son succedute generazioni, tra cui il padre della giovane donna, Cesare (Renato Carpentieri).
Vecchie fidanzate, amici scoppiati, vicine truccatrici, tanta gente le fa visita in quella domenica di maggio che precede il funerale, ma per i canoni sociali qualcosa non va: Chiara non riesce a piangere, s’impegna, si sforza, ma le lacrime non arrivano, proprio no. A una settimana dalla scomparsa sta bene, lo strazio nemmeno si intuisce: no, Chiara ride, e che c’è di male?
La sua storia, questo lutto eterodosso, eretico, insoddisfacente, persino indecente, è intervallata a quella del figlio Bruno (Arturo Marchetti), che sulla terrazza condominiale – surrealmente vi campeggia un pattino di salvataggio… – si prepara, domanda e risposta, con un amichetto alle interviste che certamente dovrà concedere l’indomani, e a quella di Cesare, prima nella casetta sulla spiaggia con due vecchi compagni e poi a tu per tu, un confronto violento, con il figliol prodigo Nicola (Stefano Dionisi).
Il soggetto, trasformato in sceneggiatura dagli stessi Enrico Audenino e Mastandrea, è un ineludibile punto di forza, se non il pregio fondamentale del film: per un personaggio pubblico, per di più attore, per di più attore in procinto di passare alla regia quell’innesco di individuale/sociale e autonomia/omologazione ha ovvi risvolti personali, financo intimi, ma la deflagrazione sullo schermo ha un valore universale, una responsabilità allargata.
Ottima, poi, è la direzione degli attori: Carpentieri si conferma il fuoriclasse che conosciamo, Dionisi un graditissimo ritorno e Martegiani, soprattutto nella prima parte, una scommessa non perduta. Indovinato è anche l’appiglio al genere drammatico, con fughe nella commedia e persino diversioni comiche, assistito da una tavolozza accorta di toni, accenti, sottrazioni.(…)
Federico Pontiggia, cinematografo.it. 27/11/2018

Critica (3):

Critica (4):
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