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Padre d'Italia (Il)


Regia:Mollo Fabio

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Fabio Mollo, Josella Porto; fotografia: Daria D'Antonio; musiche: Giorgio Giampà; montaggio: Filippo Montemurro; scenografia: Luca Servino; costumi: Andrea Cavalletto; suono: Maricetta Lombardo; interpreti: Luca Marinelli (Paolo), Isabella Ragonese (Mia), Anna Ferruzzo (Nunzia), Mario Sgueglia (Mario), Federica de Cola (assistente sociale), Miriam Karlkvist (Lucia), Esther Elisha (Assunta), Sara Putignano (mamma di Paolo), Filippo Gattuso (Valerio), Franca Maresa (suora anziana); produzione: Donatella Botti per Bianca Film-Rai Cinema; distribuzione: Good Films; origine: Italia, 2017; durata: 93'.

Trama:Paolo ha 30 anni e conduce una vita solitaria, quasi a volersi nascondere dal mondo. Il suo passato è segnato da un dolore che non riesce a superare. Una notte, per puro caso, incontra Mia, una prorompente e problematica coetanea al sesto mese di gravidanza, che mette la sua vita sottosopra. Spinto dalla volontà di riaccompagnarla a casa, Paolo comincia un viaggio al suo fianco che porterà entrambi ad attraversare l'Italia e a scoprire il loro irrefrenabile desiderio di vivere.

Critica (1):Diciamo subito una cosa. Che Il padre d’Italia è l’ennesima dimostrazione del fatto che quanto di più interessante, stimolante, curioso, nuovo nel cinema italiano odierno non proviene dal flusso della commedia. Purtroppo. Dispiace, perché la commedia non solo continua a costituire, e semmai costituisce quantitativamente sempre di più, la principale massa critica della nostra produzione; ma anche perché è una forma di espressione che è radicata profondamente nel dna del cinema italiano. Ma gli spunti di maggior interesse non provengono da lì. Il problema semmai è che riescano a farsi strada fino al pubblico e che il pubblico li riconosca.
Il padre d’Italia, a voler mettere la materia trattata sul tavolo e inventariarla, mette un sacco di carne al fuoco, con un ventaglio di temi tutti maiuscoli: omosessualità, paternità e maternità, maturità, condizione di giovani uomini e donne, sentimento del futuro e della costruzione. Ma nel film non troverete un’esposizione di temi. Troverete due personaggi. Un uomo e una donna coetanei, su per giù trentenni. Non una narrazione lineare, tantomeno pedantemente esplicativa, ma molti salti che evitano il superfluo e conservano l’essenziale. Poche pennellate sicure.
Paolo è un solitario, metodico e ordinato. Lavora presso un grande centro commerciale tipo Ikea. In una città del nord. Mia viene dal profondo sud, forse è una cantante ma più probabilmente non combina niente, è capricciosa e caotica, ed è incinta al sesto mese. Paolo si è dolorosamente lasciato con il suo partner. Nessuno ci spiega come e perché i due fanno conoscenza in un locale gay, dove Paolo è andato a cercare il compagno che lo ha lasciato. Fatto sta che Mia gli si impone. Con una montagna di vaghezze e bugie. Ma la cosa imprevista e imprevedibile è che, progressivamente, Paolo si lascia tirare dentro. Prima la ricovera, poi accetta di accompagnarla verso mete improbabili, infine si spinge insieme a lei on the road lungo lo Stivale in un viaggio che culmina in Calabria, presso la famiglia di Mia.
Intanto la gravidanza avanza. Le loro storie sono speculari. E questo conterà. Paolo è stato abbandonato ed è cresciuto in orfanotrofio. Mia fugge da tutto e non ha la più pallida idea o coscienza della maternità. Paolo non rinnega il proprio orientamento sessuale, anche se tra i due qualcosa è scattato, ma capisce e sente il richiamo della paternità. Della maturità, delle scelte, delle responsabilità e della loro bellezza, del salto in avanti e del quaderno che non può mantenere in eterno i suoi fogli in bianco perché è triste continuare per sempre a travestirsi da adolescenti.
Comunque nascerà Italia, e avrà un padre. Isabella Ragonese (Mia) parte svantaggiata con l’onere, che sorregge con molto onore, di un ruolo più visto e convenzionale, oltre che segnato dalla negatività di tutti i possibili velleitarismi generazionali. Luca Marinelli (Paolo) si avvantaggia al contrario di un personaggio più inusuale, più imprevedibile. E in ogni caso si conferma tra gli interpreti di maggior spessore della sua età nel panorama italiano: un mix originale tra la bonomia popolaresca romana di Valerio Mastandrea e il lampo di follia di Elio Germano, e in mezzo si fa strada inattesa un’irresistibile tenerezza. Il regista è Fabio Mollo, che governa con sapienza i suoi personaggi e i suoi interpreti, qui al suo secondo film di lungometraggio. Una bella sorpresa.
Paolo D'Agostini, La Repubblica, 9/3/2017

Critica (2):Da Torino a Roma; da Roma a Napoli. E poi ancora oltre, proseguendo nella discesa nel Sud d'Italia. Due ragazzi, Paolo e Mia, due realtà differenti, due diversi modi di reagire alla vita e un identico senso d’inadeguatezza alle convenzioni sociali.
All’opera seconda, Mollo gira un road movie che delinea poco alla volta due figure complesse e sfaccettate, due personaggi a loro modo tridimensionali. Paolo esce dalla rottura con il suo compagno dopo otto anni di relazione, troppo difficile concepire un'idea di famiglia che accetti di sfidare gli standard sociali consolidati. Sul luogo di lavoro, fuma una sigaretta con alle spalle la gigantografia pubblicitaria di una tipica famiglia felice composta da marito, moglie e figli… Il simbolismo è fin troppo esplicito: ecco cosa la società intende per famiglia, ecco ciò a cui Paolo non sa adeguarsi.
Sarà proprio il viaggio a fargli mettere in discussione, suo malgrado, le convinzioni – e le paure – che lo bloccano. La fatalità che lo porta ad affrontare il tragitto che da Torino lo porterà in Calabria (meta finale dove ovviamente avverrà quella rottura degli schemi mentali che lo ingabbiano) scaturisce dall’incontro con Mia, ragazza estroversa, noncurante delle regole e dei doveri sociali, vivace e vorace della vita. E se buona parte del racconto ruota attorno al dualismo fra ciò che è considerato “secondo natura” e ciò che invece si suppone essere “contro”, proprio grazie a Mia, figura fondamentale da un punto di vista narrativo e morale, il film amplia lo sguardo fino a comprendere, più in generale, la relazione fra i generi e quella fra individuo e società, con le costrizioni, le tradizioni, le convenzioni, le accettazioni.
Come nel film precedente di Mollo, Il sud è niente, il Meridione resta un luogo atemporale, dove proprio le convenzioni sociali si radicalizzano ed estremizzano, dove la diversità viene additata. Paolo e Mia, semplicemente attraversando il paese a piedi, cadono sotto lo sguardo inquisitorio degli abitanti perché i loro vestiti sgargianti emergono contro il nero dominante negli abiti dei locali sottolineando la loro alterità. Ancora una volta il simbolismo del film è diretto, non mediato.
Entrambi, Mia e Paolo, sono a loro modo entrambi diversi: il film li segue, li osserva, li posiziona dentro un mondo dalle chiare coordinate geografiche e sociali, tanto al Nord quanto al Sud, facendo risaltare la loro solitudine, la loro unicità ma affermando anche, con determinazione, il loro diritto a essere altri.
Ilaria Dellisanti, cineforum.it, 13/3/2017

Critica (3):Paolo, trentenne gay con un passato doloroso alle spalle, conduce una vita deprimentemente ordinaria: un appartamento spoglio, un lavoro monotono, una storia d'amore chiusa da poco. Una sera, tra i corridoi asfittici e caotici di un club per soli uomini della Torino notturna, s'imbatte nella prorompente Mia, sbandata dal cuore d'oro al sesto mese di gravidanza. Si guardano, si sfiorano, lei sviene, lui la scorta in ospedale. "Non lasciarmi sola", chiede la ragazza a metà tra lo spavento e l'incoscienza, senza sapere che anche lui si sente altrettanto smarrito, abbandonato, rifiutato. Animale ferito, diffidente per indole ma allo stesso tempo incapace di disinteressarsene come il pragmatico buon senso comune suggerirebbe, Paolo sceglie di reagire e di mettersi in gioco. Per la prima volta dopo molto tempo, un po' per caso e un po' per sfida, permette a se stesso di farsi coinvolgere, di lasciarsi investire dalla dirompente vivacità della sregolata Mia.
Al suo secondo lungometraggio di finzione, Fabio Mollo, documentarista calabro con curriculum internazionale, mette in scena il proverbiale incontro di due solitudini. Mia e Paolo, infatti, ognuno a suo modo, sono due emarginati bisognosi d'amore, due spostati che non hanno ancora trovato il proprio posto nel mondo. Contrito, represso e remissivo lui, dirompente, infantile e inaffidabile lei, insieme riescono miracolosamente a instaurare una relazione di mutuo soccorso tanto eccentrica e inconsueta, quanto intensa e genuina. Non a caso, persino il loro primo fuggevole contatto nel locale si trasforma subito in un abbraccio salvifico.
È attraverso i loro duetti che Il padre d'Italia prende forma e ritmo, si anima di fantasie pulsanti e paure inesprimibili, esplode nella vivacità di sequenze musicali d'impronta dolaniana, come la passeggiata pop-floreale nel paese natio di Mia, e subito si richiude nel candore pudico di una confessione sotto le lenzuola. Il viaggio verso Sud che Mia e Paolo intraprendono diventa così felice metafora di una metamorfosi più intima e interiore: la ricerca di un posto dove stare coincide infatti con un percorso di riscoperta di sé e dell'altro, un'educazione emotiva per provare a smettere di soffrire e imparare a essere, finalmente, pienamente se stessi.
Ma il Sud è niente, come cita il precedente lavoro di Mollo, e niente ha da offrire. Nonostante il tono di melanconica leggerezza, per Mia e Paolo non c'è conforto né facile redenzione: dopo il lungo e giocoso peregrinare, dopo tutte le chimere d'evasione e le utopie di un mondo migliore, i due dovranno infine affrontare gli stessi interrogativi, sfidare le stesse insicurezze che li tormentavano alla partenza. La maternità è un istinto invincibile per ogni donna? Come conciliare il desiderio di omogenitorialità con l'arretratezza del diritto? Cosa è naturale e cosa, al contrario, è contro natura?
Il padre d'Italia si concentra tutto sui suoi improbabili protagonisti e sull'evolversi del loro bizzarro, irripetibile ménage, a costo di rinunciare a una visione d'insieme che, forse, avrebbe donato al film più solidità e coerenza. Dopo la presentazione dei personaggi, infatti, la sceneggiatura firmata da Mollo insieme a Josella Porto si fa esilissima e rarefatta, inciampando più volte in tempi morti e ridondanze. Eppure, rincorrendo quel flusso di coscienze che sono i dialoghi tra Mia e Paolo, l'autore riesce a tratteggiare dei piccoli momenti di toccante e straziante tenerezza, scevri da ogni intento polemico o rigidità ideologica.
In questo senso, il film ricorda in molti (s)punti Tutti i santi giorni, complice anche la presenza dell'attore principale – un Luca Marinelli di ammirevole finezza – e la dinamica tra i protagonisti – con la fiera Isabella Ragonese al posto della sregolata cantautrice Thony. Ma rispetto alla pellicola di Virzì, Il padre d'Italia sembra attraversato da un'autenticità più profonda e commovente, mosso da un'urgenza più intima e sincera. Con pudore e senso della misura, Mollo si estranea dalla trivialità del dibattito incancrenito che ha azzoppato l'approvazione piena della Legge Cirinnà in Parlamento meno di un anno fa. Rinuncia a qualsiasi pretesa sociologica e ai toni da pamphlet di denuncia per imbastire, piuttosto, una favola fievole e delicatissima, sì, ma anche sorprendentemente onesta e calorosa. Una favola che, all'indomani della sentenza del tribunale di Trento che ha stabilito la prevalenza della volontà di cura sul legame biologico, assume una ottimistica concretezza e permette di volgersi al futuro con sguardo fiduciosamente benevolo e pacificato.
Stefano Guerini Rocco, ondacinema.it

Critica (4):
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