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Crossing the Bridge - The Sound of Istanbul - Crossing the Bridge


Regia:Akin Fatih

Cast e credits:
Soggetto
: Fatih Akin; fotografia: Hervé Dieu; montaggio: Andrew Bird; interpreti: Alexander Hacke, Baba Zula, Orient Expressions, Duman, Replikas, Erkih Koray, Ceza, Istanbul Style Breakers, Mercan Dede, Selim Sesler, Brenna MacGrimmon, Siyasiyabend, Orhan Gencebay, Müzeyyen Senar, Sezen Aksu, Sertab Erener; produzione: Intervista Digital Media Gmbh - Corazon International; distribuzione: Fandango; origine: Germania - Turchia, 2005; durata: 90'.

Trama:La storia è quella del compositore Alexander Hacke, esponente dell’avanguardia musicale tedesca, che ripercorre il viaggio che fece in Turchia per scrivere la colonna sonora de "La sposa turca". Le emozioni, i rumori, i colori di una metropoli che segna non il confine ma l’incontro di Oriente e Occidente, e soprattutto le sue melodie perché, recita Confucio, “quando arrivi in un luogo e vuoi comprenderlo, ascolta la musica che vi si suona”.

Critica (1):Fatih Akin,[...] 31 anni, generazione schiuma, i figli dell'immigrazione turca nati in Germania (lui è di Amburgo), genitori che vivono lì da almeno altre due generazioni e però continuano come i maghrebini delle periferie francesi a essere considerati "mondo-a-parte", la sua esperienza di vita l'ha usata per esplorare la Turchia oggi. Crossing the Bridge, fuori concorso (Akin è in giuria) già nel titolo riassume un'esperienza multipla, quel cortocircuito di occidente-oriente che è nel mito di Istanbul. E che oggi è orizzonte primario (e manipolato) nelle discusssioni sul diritto di accesso o meno della Turchia in Europa. Ma il film - il ponte è il Golden Horn che unisce le due parti della metropoli turca - va nella direzione contraria. Nessun ammiccamento all'Europa se non in senso critico da chi, come la minoranza curda, si sente "usato" per dimostrare la vittoria della democrazia, ma un'immersione nel cuore di oriente/occidente, nell'utopia del metissage che va al di là della Turchia - peraltro invece allineata nel massacro di minoranze e nella sua negazione (il genocidio armeno) a una pratica europea, e con questo già per diritto nell'unione anch'essa - e che invece è radice di una cultura squisita, avanzata, vittoria del molteplice temuto dagli integralismi di tutte le parti che per questo sbandierano i conflitti di civiltà.
Mezzo di indagine la musica, in un tessuto di persone (non di istituzioni) cresciute tra i Pink Floyd e Zeki Muren e che hanno metabolizzato quel mix di ritmi, note, ottave, strumenti in incontri da cui nasce sempre qualcosa di nuovo. E mai facilmente assimilabile, anzi prezioso spazio mentale e fisico di ribellione, come racconta Erkon Koray, rocker storico, perseguitato nella Turchia degli anni '60, ma non poteva essere altrimenti visto che musica e vita correvano tra Beatles, sonorità tradizionali, Rolling Stones. Ci sono i ragazzini di Baba Zula, rock psichedelico modulato sul Bosforo , e Ceza che usa l'hip-hop come protesta politica, e insieme alla sorella fa a pezzi il rap a senso unico maschile. L'idolo non sono i Public Enemy ma Muzzeyene Senar, voce dell'era di Ataturk (un po' come Oum Kalsoum in Egitto) negli anni `30, poi dimenticata e riscoperta dalla star (sempre femminile) Sezen Aksu. Orhan Gencebay, altra icona degli anni `60, anche attore famosissimo (sarebbe stato perfetto nei film di Di Leo) è un maestro del liuto saz, che ha imparato a accarezzare quando negli anni `30 la musica turca era proibita alla radio.
Storie che compongono una città nervosa, mobile, poco assimilabile alla sua faccia istituzionale. Aynur canta in curdo, fino a dieci anni fa era proibito, la musica è l'affermazione condivisibile della sua identità. L'alter-ego di Fatih Akim è Alexander Hacke, bassista degli Einsturzende Neubauten, che hanno lavorato col regista in Head on, e anche questa dichiarazione di poetica (politica), il gruppo che fa esplodere il rock industriale, contrappunto antagonista ai paesaggi di fabbrica e alienazione. La stessa potenza che è nelle sonorità contaminate, oriente/occidente, fuori dalla dicotomia.
Cristina Piccino, il manifesto, 13/5/2005

Critica (2):Documentare la vita e l'opera di musicisti su e giù per il mondo è diventata, nel cinema, una moda seria. Forse ad averla avviata è stato quel bellissimo film che Wim Wenders aveva voluto dedicare alla musica cubana, Buena Vista Social Club. Oggi è di scena la musica turca. Se ne occupa un regista, Fatih Akin, che con un suo lungometraggio di finzione, "La sposa turca", si era visto addirittura assegnare l'Orso d'Oro a un festival di Berlino. Con un forte senso del cinema, con una decisa sensibilità per la musica, ha seguito passo passo a Istanbul le esibizioni, ma anche il privato, dei principali compositori turchi di oggi (e di ieri), alternando le loro ricerche sul nuovo al culto e al rispetto per la tradizione. Sua guida, in questo suo viaggio sempre coinvolgente e suggestivo, è un bassista della band d'avanguardia Einsturzende Neubauten, il tedesco Alexander Hacke, che gli aveva già fornito il contesto musicale per "La sposa turca". Hacke, non solo canta e suona, ma accompagna il regista lungo le varie tappe percorse ad Istambul dai gruppi più famosi o dai personaggi più celebrati della musica nazionale. Si comincia con l'incontro con una band neo-psichedelica, quella dei Baba Zula, per proseguire con quegli Orient Expression da cui si ascolta anche la curiosa osservazione che "l'Oriente nasce in India e finisce a Istambul e l'Occidente inizia a Istambul e finisce a Los Angeles". Seguono i Duman, campioni festeggiati del rock, i Replikas, che il rock, sofisticatissimo, lo eseguono solo con le chitarre, e un autore di musica turca tradizionale, Erkin Koray, che si vale però solo di strumenti amplificati elettronicamente. Per sostare su un gruppo dedito all'hip hop (i Ceza), su uno zingaro, Selim Sesler, virtuoso del clarinetto, su una cantante curda, Aynur, fino a ieri vittima di ostracismi statali. Per concludere con una diva quasi novantenne, Müzeyyen Senar, legata da sempre alla musica classica orientale. Senza sbalzi né fratture tra le varie e diverse concezioni musicali. Con immagini che, via via, ne riflettono i ritmi e ne ripropongono, con forti suggestioni, gli echi. Facendo cinema e suoni insieme. All'insegna dell'autentico e del vero, ma - grazie alla regia sempre ispirata di Akin - anche del poetico. Senza nessuna concessione all'oleografico. Neanche quando si guarda ai tramonti sul Bosforo.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 15/9/2006

Critica (3):

Critica (4):
Fatih Akin
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