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Belli e dannati - My Own Private Idaho


Regia:Van Sant Gus

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura:
Gus Van Sant; fotografia: Eric Alan Edwards, John Campbell; musica: brani vari; montaggio: Curtiss Clayton; scenografia: David Brisbin Ken Hardy; costumi: Beatrix Aruna Pasztor; suono: Reinhard Stetgar, Robert Marts, Jan Cyr, John Huck; interpreti: River Phoenix (Me Waters), Keanu Reeves (Scott Favor), James Russo (Richard Waters), William Richert (Bob Pigeon), Rodney Harvey (Gary), Chiara Caselli (Carmela), Jessie Thomas (Denise), Mike Parker (Digger), Grace Zabriskie (Alena), Tom Troupe (Jack Favor), Udo Kier (Hans); produzione: Laurie Parker, per New Line Prods/ Idaho Prods.; distribuzione: PENTA; durata: 102'; origine: USA 1991.

Trama:Mike è un drogato in cerca della madre scomparsa. Il suo amico Scott, invece, ha deciso di vivere sulle strade per ribellarsi contro la prepotenza e il dispotismo del padre, sindaco della città. Sulla loro strada incontrano una variegata e scapigliata schiera di compagni, "clienti" e parenti che sconvolgono la loro vita. Dopo un viaggio in Italia alla ricerca della madre di Mike, i due ritornano e si separano: Scott, che ha trovato l'amore in Carmela, reclama l'eredità del padre morto; Mike riprende il" lavoro" nei bassifondi di Portland.

Critica (1):Come si può notare da un fuggevole sguardo alla trama, il bravissimo Gus Van Sant, che già ammirammo in Drugstore Cowboy, s'impadronisce di Shakespeare facendo del suo Enrico V una storia di strada, insieme plebeizzandolo (quella birra "Falstaff 'che tutti bevono...) e curiosamente vivificandolo con un filmaking arioso e strafottente. L'Enrico V è un esempio delle tragedie shakespeariane basate sul conflitto tra passione e dovere, tra interessi sociali e personali. Come suggerisce Fluellen, il giovane Enrico è l'Alessandro inglese. All'inizio riveste il ruolo dionisiaco del principe scapestrato, sotto la guida del sileno Falstaff, che parla del loro gruppo come dei "guardaboschi di Diana, gentiluomini delle ombre, favoriti della luna". Analogamente nel film, Scott odia l'autorità dell'Ordine impersonata dal padre sindaco, mentre il suo amico Mike, narcolettico "favorito della luna", che si esprime con il linguaggio dell'epilessia, è alla ricerca della madre. I due ragazzi, belli e dannati, rubano e si prostituiscono assieme, accompagnandosi ad una banda di marginali capitanati da Bob nel ruolo del padre putativo Falstaff. Mike è il primo ad entrare in scena: lo vediamo all'inizio fare l'autostop lungo una strada diritta e deserta (forse una citazione da North By Northwest) che si perde nell'immensità dello spazio americano, mentre le nuvole scorrono veloci nel cielo. é evidente l'ispirazione pittorica di certe composizioni e inquadrature, con campi di grano rossi e gialli vangoghiani, con l'illuminazione vermeeriana che impreziosisce interni degradati abitati da una fauna perduta. In scena è, ancora, la famiglia americana, ma questa volta nel suo ardore di annientamento e autodistruzione, colta nella soglia che divide la casa e la strada, nella dialettica eterna tra stabilità e nomadismo. i giovani eroi del film sembrano pensarla come Baudelaire, "studio della Grande Malattia: l'orrore del Domicilio", oppure come il John Donne della terza Elegia: "Vivere in un unico paese è prigionia/scorazzare in tutti i paesi, un esaltante vagabondaggio". La loro instabilità li porta anche a compiere un rituale "viaggio in.Italia". A Roma Scott trova però l'amore, e con esso cessa il periodo di nomadismo: alla fine, come l'Enrico di Shakespeare, si tramuta in una figura d'ordine e come quello rinnega gli antichi compagni di baldorie. Bob ne muore, e il prefinale mette in scena due funerali, quello ordinato del sindaco che decreta la successione al "trono", e quello da suburra di Bob.La genialità di Van Sant, un regista che ormai amiamo, sta precisamente nell'aver immesso personaggi, situazioni e dialoghi elisabettiani nel contesto disordinato di un'America provinciale ed agraria, tra fuochi nelle pianure e motociclette. Norton gialle, tra madri americane che si sparano guardando John Wayne (nostalgia di un segno forte) alla TV e veri padri buoni a niente: Insomma, nell'aver messo in scena con allegra originalità la potenza dissipatrice e il fascino decadente del Mito americano. I suoi indolenti protagonisti (Mike dorme sempre) non prendono sul serio la loro disperazione, e vengono però nobilitati, tra Portland e Roma, quando fanno marchette o quando se ne stanno in piedi ai margini di una strada uguale a tutte le altre in attesa di un'auto che li porti lontano da un'America che non li riguarda (ma importa poi?). Però è significativa la divaricazione finale: mentre Scott abbandona il ruolo di principe scapestrato e, appollineamente, eredita l'America e il peso del governo, Mike continua ad essere un "favorito della luna", a rubare qualche pezzo di vita in giro. Il film non sembra scegliere tra i due, ma forse non deve: quello che rimane nella retina è questo sconvolgente passaggio fisico e ideale, di rocce immutabili e eterne (la "geologia" baudrillardiana) di fronte a cui pare ben poca cosa la fuggevolezza frenetica di queste vite, il loro inutile e masochistico agitarsi. Di qui anche la curiosa risonanza epico/western di questo film, come di un'elegia che accomuna, tra le messi dell'Idaho, ordine e disordine, notte e giorno, cose vive e cose spente.
Alberto Morsiani Segno Cinema, n. 56 luglio/agosto 1992

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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