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Days of Being Wild


Regia:Wong Kar Wai

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Wong Kar Wai; fotografia: Christopher Doyle; montaggio: Patrick Tam, Kai Kit-Wai; scenografia: William Chang; interpreti: Leslie Cheung, Maggie Cheung, Andy Lau, Carina Lau, Poon Tik-Wa, Jacky Cheung, Danilo Antunes, Hung Mei-Mei, Angela Ponos, Alicia Alonzo, Elena Lim So; produzione: In-Gear Film; distribuzione: Tucker; origine: Hong Kong, 1990; durata: 100'.

Trama:Hong Kong, anni '60. Nonostante sia osteggiato dalla madre adottiva - un'ex-prostituta alcolizzata che ha paura di essere abbandonata - Yuddy, un giovane dalla vita sentimentale instabile, cerca di scoprire l'identità dei suoi veri genitori. Nel frattempo porta avanti le relazioni con Lizhen e Mimi, entrambe innamorate di lui che, però, non riesce a scegliere tra loro.

Critica (1):As Tears Go By fa una promessa, promette che Wong Kar Wai “diventerà” Wong Kar Wai, e Days of Being Wild la mantiene. Opera seconda e (appunto) già perfettamente a fuoco, anche questa inedita in Italia, Days of Being Wild è un’intensa riflessione sul Tempo e sull’Amore. Due temi che troveranno pieno compimento con In the Mood for Love e 2046. Wong Kar Wai si rivolge ancora alla musa Maggie Cheung e al divo Andy Lau, affiancando loro il grande Leslie Cheung e, in un cameo, il futuro signor Chow: Tony Leung Chiu-Wai. Maggie e Tony, la divina coppia di In the Mood for Love. Dieci anni prima.
(dalla rassegna "Una questione di stile", Tucker Film)

Critica (2):È con Days of Being Wild che Wong Kar-wai diventa l'autore che in seguito il mondo conoscerà e a cui tributerà infiniti elogi. Se As Tears Go By era ancora fortemente legato alle meccaniche dell'industria di Hong Kong e a un certo modo di girare il connubio tra action e melò (ma con tocchi personali che lo rendono comunque un unicum), in Days of Being Wild fanno capolino quelli che saranno i topoi di Wong negli anni a venire. Lo struggimento d'amore e la sua relazione con il tempo, fuggevole e ingannatore, è (ancora e sempre) il tema dominante e l'asse fondante della poetica wongkarwaiana. Per sorreggere la sua estetica, rafforzata dalla prima collaborazione con il direttore della fotografia Christopher Doyle, Wong plasma un cast strepitoso, reinventando Maggie Cheung da giovane modella irraggiungibile a dimessa cassiera - gonne larghe e lunghe, improbabili camicie - di una sala scommesse e plasmando su Leslie Cheung il personaggio del "bello e maledetto" che lo accompagnerà nella sua splendida, ancorché tristemente breve, carriera. Yuddy, così si chiama il personaggio di Leslie, si sente già morto, privo di un'identità e conscio che la spasmodica ricerca della sua vera madre non potrà mai tradursi nell'esito sperato; in virtù di quest'e(ste)tica di vita dissoluta che ne deriva, le donne - tanto la Su Li-zhen di cui sopra quanto l'estroversa cantante Mimi - finiscono per cadere ai suoi piedi e per essere calpestate dalla sua autolesionistica impossibilità di amare e di stabilire delle relazioni. L'inseguimento dell'oggetto d'amore porta a un circolo vizioso di cacciatori e prede, con il premuroso poliziotto Tide vanamente innamorato di Su Li-zhen e il timido Zeb altrettanto di Mimi.
Secondo Wong, tanto più il sentimento d'amore è intenso e tanto meno trova soddisfazione, nel loop di un'eterna incompiutezza che si pone come principale cifra stilistica - oltre che scelta quasi ideologica, del WKW autore e di Days of Being Wild in particolare - scandita dal movimento delle lancette di orologi, onnipresenti quasi quanto il fumo delle mille sigarette consumate.
Il destino del film sarà quello di non incassare a sufficienza per dar luogo al seguito che le ultime sequenze parrebbero prefigurare, salvo poi reincarnarsi, in una sorta di metempsicosi autoriale, nel dittico In the Mood for Love-2046, in cui torneranno musiche (i brani dell'America latina in voga nella Hong Kong dei '60), luoghi e personaggi (Mimi e la stessa Su Li-Zhen, nome che diventerà ossessione ricorrente del protagonista di 2046) di un film sulla schiavitù dell'amore che per Wong sembra non avere mai fine (né inizio). In questo senso vien quasi da pensare alla consapevolezza di un demiurgo quando il regista introduce il personaggio di Tony Leung senza un intento apparente; ipotesi suggestiva quanto improbabile, a cui è bello credere, seguendo il flusso di un'onirica visione propria del cinema di Wong Kar-wai.
(Emanuele Sacchi, mymovies.it)

Critica (3):

Critica (4):
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