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Bella scontrosa (La) - La belle noiseuse


Regia:Rivette Jacques

Cast e credits:
Soggetto: liberamente tratto dal racconto capolavoro sconosciuto di Balzac; sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Christine Laurent, Jacques Rivette; fotografia: William Lubtchansky; montaggio: Nicole Lubtchansky; suono: Florian Eidenbenz; scenografia: Manu de Chauvigny; interpreti: Michel Piccoli (Frenhofer), Jane Birkin (Liz), Emmanuelle Béart (Marianne), Mariane Denicourt (Julienne), David Bursztein (Nicolas), Gilles Arbona (Porbus), e la mano del pittore Bemard Dufour; produzione: Pierre Grise prods./FR3 Films prod./George Reinhart prods./Centre National de la Cinémat./Canal Plus/Sofica Investimage 2 et 3; distribuzione: BIM., durata: 130'; origine: Francia/Svizzera, 1991.

Trama:Una casa maniero, bruciata dal sole e circondata dal continuo frinire delle cicale, è il teatro di un'azione essenziale che vede intrecciarsi passioni e tremori, angosce e dubbi irrisolti tra cinque personaggi, protagonisti di un dramma sul mistero della creazione e sul tormento del vivere. Il pittore Frenhofer è il centro verso cui tutto converge. Nicolas, un giovane artista in ascesa e Pourbus un mercante d'arte senza troppi scrupoli, cercano di riaccendere il fuoco sacro in Frenhofer, da tempo isolato e forse inaridito, proponendogli Mariane, la bella fidanzata di Nicolas. Marianne prende il posto di Lise, la modella del passato la donna amata nel presente, per realizzare il capolavoro assoluto, La belle noiseuse.

Critica (1):Le note di Agon, il balletto composto da Stravinsky, fanno da contrappunto iniziale e finale al "divertimento" di Rivette, quasi a volerne siglare il carattere di "combattimento" tra opposti, incarnato soprattutto dal rapporto artista/modella.
E un combattimento tra desiderio di giungere alla verità del reale, trasfuso nell'arte, e accettazione pacifica del compromesso e della menzogna; tra vitalismo creativo e pulsione verso l'autodistruzione e la solitudine; tra volontà assoluta tesa al compimento di un intero percorso pittorico e sgomento di fronte all'opera finita, così sconvolgente da non potersi neppure vedere. Più in generale, l'incontro scontro tra Frenhofer e Marianne è dissidio tra vita e morte, ma anche tra arte e vita, tra amore e odio, e in fondo tra cinema e pittura alla ricerca di una improbabile sintesi, di una coesistenza impossibile nel regno della visione. Non è un caso che tra gli sceneggiatori compaia proprio Pascal Bonitzer, che nel suo Décadrages parla di "cosa mentale" a proposito di cinema e pittura, risvegliando la sensazione di attrazione e insieme di orrore dell'immagine che si risolve nella consapevolezza del limite se non addirittura nell'impossibilità della rappresentazione, comune a Frenhofer e a Rivette. Il pittore vuole catturare le linee del corpo di Mariane, le sinuosità e le ombreggiature della carne, la plasticità della figura, per far rinascere una scintilla che sembrava spenta per sempre, per cogliere la Verità, anche se tutto ciò risulta doloroso e crudele. Dipingere è per Frenhofer sentire l'abbraccio tra la foresta e il mare, uniti in unico suono, ma è pura sofferenza che consuma come un tarlo nascosto. Inventare é rischioso perché significa procedere perdendosi completamente nell'ansia di toccare la perfezione, il capolavoro sconosciuto.
Il processo creativo é doppiamente pericoloso e rilevatore. Marianne, la belle noiseuse, l'adescatrice intrattabile, dapprima scontrosa e furente, si concede, volontariamente, alle mani e agli occhi del suo pittore, si fa complice e suggeritrice del lavoro dell'artista, offre se stessa in nome dell'arte perché vuole penetrare in un mondo sconosciuto e proibito anche a costo di spezzare la propria esistenza, squassata da sogni febbricitanti e incubi ossessivi. Ma non appena cessa di essere vista come oggetto passivo per assumere il ruolo di attivo riguardante ha un moto di ripulsa, ritraendo lo sguardo sconvolto dal suo stesso ritratto. La macchina da presa, pudica perdente, non riesce a mostrarci nulla, se non un'eco lontana di ciò che é accaduto. Neppure Frenhofer é vincitore, certo non impazzisce, né si perde in un unico grande rogo con le sue tele come accade al pittore del racconto di Balzac cui Rivette si é ispirato, ma non può che mentire, non può che celare la constatazione di un fallimento, la consapevolezza della vecchiaia, il timore che ogni cosa finisca nel buio della morte eterna. Il cinema di nuovo rivela la pochezza dei suoi mezzi per capire i segreti della creazione. L'artista al lavoro é solo colto per piccoli tratti, per brevi particolari (le mani) o per schegge sonore (il pannello che scorre sulla tela o il pennino che graffia dolorosamente il cartone preparatore). L'opera nella sua totalità non ci é permessa, forse per un estremo segno di protezione.
L'unica che forse esce indenne dal molteplice combattimento é Lise, abituata a contrastare la morte (impaglia volatili), con la saggezza delle donne che hanno provato il sapore della sconfitta e il dolore dell'abbandono. Con lei però la pittura non é stata clemente. Il volto incompiuto della vera belle noiseuse viene cancellato da un tratto di colore azzurro e sostituito da una schiena striata da una linea di rosso sangue, che é come una ferita che non si rimargina.

Mariolina Diana, Segno Cinema N. 53 Gen.-Febb. 1992

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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