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Grande dittatore (Il) - Great dictator (The)


Regia:Chaplin Charlie

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Charlie Chaplin; fotografia: Karl Strauss, Roland Totheroh; musiche: Charlie Chaplin; montaggio: Willard Nico; scenografia: J. Russel Spencer; interpreti: Charlie Chaplin (barbiere ebreo/Adenoid Hynkel); Henry Daniell (Garbithsc), Emma Dunn (Mrs Jaeckel), Billy Gilbert (Herring), Paulette Goddard (Hannah), Maurice Moskovich (Mr. Jaeckel), Jack Oakie (Benzino Napaloni); produzione: Charlie Chaplin per United Artists; distribuzione: Bim; origine: Usa, 1940; durata: 126'.

Trama:Un barbiere ebreo che in seguito a ferite riportate nella guerra mondiale del 1915-18 aveva perso la memoria, dopo molti anni di degenza in un ospedale ritorna nella sua città in Germania dove riapre il suo negozio. Egli capita però in un periodo in cui il dittatore che governa il paese ha iniziato una feroce lotta contro gli ebrei ed il malcapitato deve subire una marea di soprusi. Aiutato da una povera fanciulla sua correligionaria per la quale nutre dei sentimenti di affetto, egli fa subire spesso ai ridicoli ed inumani sgherri dei dittatori - il quale viene tratteggiato con sapida caricatura - dei gustosi smacchi.

Critica (1):The great dictator, che Chaplin realizzò nel 1939-40 e che il pubblico europeo vide per la prima volta nel 1945, è "invecchiato" o no? E una di quelle domande assurde alle quali non si può che rispondere : sì, certo, naturalmente. The great dictator è invecchiato, finalmente. È invecchiato come un editoriale politico, come J'accuse di Zola, come una conferenza stampa; è un documento ammirevole, un pezzo raro, un oggetto utile diventato oggetto d'arte e che Chaplin fa benissimo a rieditare se questo gli permetterà di raccogliere i milioni con cui finanziare il suo prossimo film, Charlot sulla luna.
Ciò che più colpisce oggi, 1957, nel rivedere The great dictator, è la volontà di aiutare il prossimo a vedere più chiaro. Detesto la tendenza a rifiutare come inopportuna un'opera ambiziosa proveniente da un comico di fama. La prima reazione è la migliore anche se generalmente è provocata dallo snobismo. È spesso a partire dal momento in cui gli snob disprezzano ciò che prima adoravano che questa adorazione risulta finalmente giustificata.
Quando sento dire: "Ora che Chaplin si prende sul serio, è finito", non posso impedirmi di pensare che invece sta cominciando. Un artista può operare per sé, per fare del bene a se stesso o per farlo agli altri, ma i più grandi sono forse quelli che risolvono contemporaneamente i loro problemi e quelli del pubblico. Si comincia necessariamente con nascere, poi ci si fa conoscere e infine riconoscere. L'artista comico non può aspettare che si vada da lui; è lui che si presenta a noi, clown, mimo, buffone, chansonnier.
A questo pubblico cui ha fatto battere il cuore al ritmo del suo, l'artista comico deve tutto, anche le sue idee d'uomo. Non mi piace che si dica di Chaplin : "A forza di sentirsi ripetere che era questo, che era quello, ha finito per crederci", perché se si diceva che era un poeta, che era un filosofo, era la pura verità e lui, quindi, ha fatto benissimo a crederci; senza volerlo e senza saperlo, Chaplin ha aiutato gli uomini a vivere; più tardi, sapendolo, non sarebbe stato un criminale a non volerli aiutare, e sempre di più?
La straordinaria udienza che Chaplin grazie al suo genio riuscì a conquistarsi gli diede un'enorme responsabilità; non è che si sia sentito investito di una missione, egli fu effettivamente investito di una missione, e credo che pochi uomini pubblici, politici o agitatori di idee, abbiano assolto la loro con tanta onestà e tanta efficacia.
The great dictator era certamente il film che nel 1939 poteva interessare più spettatori possibili nel più grande numero di paesi; era veramente il film dell'epoca, l'incubo appena premonitore di un mondo di follia di cui Nuit et brouillard (Notte e nebbia, 1956) avrebbe costituito il più esatto rendiconto; mai un film è invecchiato più nobilmente, perché si può immaginare che questo film sarà applaudito o meno da giovani spettatori di dodici anni che probabilmente non hanno mai visto un ritratto di Hitler, Mussolini, Goering o Goebbels.
In uno dei suoi articoli più famosi, André Bazin ha potuto vedere The great dictator come un regolamento di conti con Hitler, il quale meritava appunto questa lezione per aver commesso la duplice impudenza di aver sequestrato i baffetti di Charlot e di essersi innalzato al rango di dio. Costringendo i baffetti di Hitler a reintegrare il mito di Charlot, Chaplin disintegrava il mito del dittatore. Effettivamente, nel 1939, Hitler e Chaplin dovevano essere i due uomini più celebri del mondo, incarnando il primo le forze del male e il secondo quelle del bene; di qui la necessità di riunirli in uno stesso film per meglio opporli e rieditare a diciassette anni da The pilgrim (Il pellegrino, 1923) la meravigliosa pantomima di Davide e Golia.
Pierre Leprohon e Jean Mitry hanno pubblicato due interessanti libri ai quali bisogna sempre riferirsi quando ci si occupa di Chaplin. Il libro di Leprohon, un Essai de chronologie, ci informa del rifiuto di Chaplin, presente a Venezia nel marzo del 1931, di recarsi a Roma dove Mussolini gli prepara un ricevimento. Un mese più tardi a Londra, a casa di Lady Astor, Chaplin espone le sue idee sulla crisi economica : "Il mondo soffre di un'ingerenza del governo nel settore privato e di spese eccessive da parte dello stato. Io raccomanderei una nazionalizzazione delle banche e rivedrei un gran numero di leggi come quelle dello Stock Exchange. Creerei un ufficio governativo degli affari economici che dovrebbe controllare prezzi, interessi e profitti ... La mia politica favorirebbe l'internazionalismo, la cooperazione economica mondiale, l'abolizione del gold-standard e l'inflazione generale ...". Nel 1934 Chaplin prende in esame una sceneggiatura su Napoleone che gli viene proposta da un giovane giornalista italiano. Nel 1935 parla di un Cyrano moderno e gira finalmente Modern times (Tempi moderni, 1936). Nel 1937 annuncia la sua definitiva rinuncia al suo Napoleone e dichiara: "Ciò che è certo è che non sarò mai più Charlot, mai più il piccolo vagabondo".
Chaplin ha mantenuto la parola poiché da quel momento scrive e prepara The great dictator. Durante tutto il 1938 , si mopltiplicano gli interventi per impedire a Chaplin di girare questo film: la diplomazia tedesca e molte organizzazioni americane fanno pressione su di lui. Nella primavera del 1940 il film è terminato ma non sarà presentato che sei mesi più tardi. Nel frattempo Chaplin è messo sotto inchiesta dalla Commissione per le attività anti-americane (Commissione Dies). Sì, già nel 1940! Si può far risalire a questo periodo una guerra americana contro Chaplin che continuerà fino al 1952.
The great díctator non è solo una farsa difensiva difensiva ma anche un saggio estremamente preciso sul dramma ebraico e le deliranti ambizioni razziste dell'hitlerismo; un po' come ne La marseillaise di Jean Renoir, si alternano due serie di scene, il palazzo hitleriano e il ghetto; con l'obiettività che si può avere quando si difende la propria pelle, Chaplin oppone i due diversi universi, riservando ferocia al primo e tenerezza al secondo e inoltre rispettando scrupolosamente la verità etnica; le sequenze del ghetto sono scorrevoli, maliziose, astute, quasi danzate; quelle del palazzo hitleriano son spezzettate, automatiche, forsennate fino alla derisione. Dalla parte dei perseguitati una furiosa brama di vivere, una furberia che sfiora l'irresponsabilità (la scena dell'estrazione a sorte per il sacrificio), dal lato dei persecutori un fanatismo imbecille.
Quando alla fine del film, nella più pura tradizione dello spettacolo, il piccolo barbiere ebreo si trova a sostituire il "grande dittatore" di cui era il sosia - senza che una sola allusione sia stata fatta all'interno dell'opera a questo proposito, ellissi geniale -, viene elargita al momento del famoso discorso una serie di verità fondamentali delle quali sarò l'ultimo a dispiacermi preferendole alle secondarie; gli avvenimenti che poco dopo l'uscita di questo film hanno lacerato il nostro continente provano che se Chaplin sfondava porte aperte, queste porte non erano tali per tutti.
Gli esegeti e soprattutto Bazin hanno notato che il discorso finale di The great dictator segna il momento cruciale di tutta la sua opera perché vi si vede la progressiva scomparsa della maschera di Charlot alla quale si sostituisce, senza trucco, il viso dell'uomo Charlie Chaplin i cui capelli sono già grigi. Egli lancia al mondo un messaggio di speranza, cita il Vangelo e le sue parole con ogni evidenza riguardano la razza oppressa che attende la felicità nella realizzazione del sogno messianico.
Chaplin non ha voluto che il film si concludesse sulla sua immagine ma su quella di Paulette Goddard alla quale ha dato il nome di sua madre, Hannah, nome palindromico (che si può leggere nei due sensi) e che riassume magnificamente lo spirito di tutto il film poichè Hitler è il barbiere ebreo a rovescio. E dunque sua madre che egli invoca al termine del suo discorso mentre in un'immagine sublime, Paulette Goddard, che era stesa a terra si alza per raccogliere il suo appello: "Alza gli occhi, Hannah. Guarda il cielo, hai capito? Ascolta!".(1957)
François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, 1975

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