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Scelta (La) - Yam daabo


Regia:Ouedraogo Idrissa

Cast e credits:
Sceneggiatura: Idrissa Ouedraogo; fotografia: Jean Monsigny, Sekou Ouedraogo, Issaka Thiombiano; musica: Francis Bebey; montaggio: Arnaud Blin; suono: Isaa Traore; interpreti: Aoua Guiraud, Bologo Moussa, Assita Ouedraogo, Fatimata Ouedraogo, Oumarou Ouedraogo, Rasmané Ouedraogo, Salif Ouedraogo, Madi Sana, Ousmane Sawadogo; produzione: Les Films de l'Avenir, con la partecipazione del Governo del Burkina Faso; durata: 80'; origine: Burkina Faso, 1987.

Trama:La storia si svolge in Burkina Faso. La povertà cresce di anno in anno a Gourga, un villaggio ai confini del Sahel. Gli abitanti devono scegliere: o aspettare che l'assistenza internazionale arrivi o recarsi in una zona più ricca del paese. Salam, un contadino e la sua famiglia optano per la seconda soluzione, nonostante i sacrifici che questo comporta. Iniziano una nuova vita e riscoprono ciò che la fame aveva fatto loro dimenticare: l'amore, la gioia, l'odio e la violenza.

Critica (1):Un luogo non ben identificato, ai confini del Sahel africano, là dove il deserto contende all'uomo terreno e sopravvivenza: fra la miseria e la disperazione la gente è come bloccata nell'inutile e frustrante attesa degli aiuti internazionali. La "scelta" è dunque quella, non semplice, di staccarsi dal territorio degli avi, dal paese dove si è nati e cresciuti, per affrontare un percorso dalla vaga traiettoria e dal fine incerto. Il dramma, vissuto nella storia da milioni di individui di ogni razza, tocca in questo film i membri di una famiglia dell'etnia Mossi, che lasciano il loro villaggio per cercare una zona più ospitale all'interno del paese. Ma ogni scelta implica una rinuncia e il viaggio, come una cerimonia iniziatica, è una doppia azione di morte e rinascita. Dunque si perde qualcosa, in primo luogo l'identità, poi il denaro (i risparmi accumulati) infine parte del corpo stesso della famiglia (nell'attraversamento della città il figlio più giovane resta vittima di un incidente stradale), per poi ritornare alla vita, del nuovo territorio, ricco d'acqua, di piante e d'animali.
Raramente ci si è resi conto dell'importanza di suoni e colori, di come essi, nella loro percezione, corrispondono a sensazioni, ambienti e modi di vita diversi, come in questo film dal linguaggio scarno e antispettacolare e dalla recitazione rarefatta (gli attori, presi dalla strada, si esprimono secondo il loro costume, in maniera prettamente antinaturalistica, senza sforzo apparente e sembrano prestare quasi inavvertitamente corpi e voci all'immagine e alla colonna sonora). Se infatti in tutta la prima parte del film, caratterizzata da un monocromo giallo ocra, i sentimenti umani sono espressi al di sotto dell'essenziale (bastano le immagini, i rumori e gli scarni dialoghi), nella seconda parte, a contatto con il nuovo territorio, la vita riprende a scorrere come nei tempi migliori (si lavora, ci si riposa, ci si nutre, ci si ama e ci si odia), la colonna sonora si fa più ricca e i colori dell'ambiente toccano una più vasta gamma, a dominante verde.
Lontano da ogni retorica ufficiale, Yam Daabo conferma quanto di buono si dice della cinematografia del Burkina Faso, rivelando, al di là delle ristrettezze economiche e delle carenze tecniche, un modo vitale di fare cinema, strettamente legato all'ambiente e alla cultura locale, privo di quello sguardo etnocentrico e neocolonialista che ha il cinema occidentale quando parla dell'Africa. Esso si qualifica come un cinema dalla doppia esigenza (da una parte il fine didattico-ideologico, dall'altra il ricorso ai moduli della narrazione drammatica per catturare l'attenzione), alla ricerca di un linguaggio universale, capace di comunicare in maniera paritetica con quarantadue etnie diverse (tante sono quelle che compongono la popolazione del Burkina Faso) e molto attento all'uso della metafora narrativa, perchè, come dice Idrissa Ouedraogo, "molto spesso il pubblico africano, neofita spettatore cinematografico, è ancora succube dell'identificazione cinema-realtà".
Luciano Barisone, Cineforum n. 265, giugno-luglio 1987

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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