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Lettere da Iwo Jima - Letters from Iwo Jima


Regia:Eastwood Clint

Cast e credits:
Soggetto: Iris Yamashita, Paul Haggis, dal libro "Picture Letters From Commander In Chief" di Tadamichi Kuribayashi; sceneggiatura: Iris Yamashita; fotografia: Tom Stern; musiche: Clint Eastwood; scenografia: Henry Bumstead;costumi: Deborah Hopper; effetti: Steve Riley, Michael Owens, Digital Domain;interpreti: Ken Watanabe (Generale Tadamichi), Kuribayashi), Kazunari Ninomiya (Saigo), Tsuyoshi Ihara (Baron Nishi), Ryo Kase (Shimizu), Shido Nakamura (Tenente Ito), Hiroshi Watanabe (Tenente Fujita), Takumi Bando (Captano Tanida), Yuki Matsuzaki (Nozaki), Takashi Yamaguchi (Kashiwara), Eijiro Ozaki (Tenente Okubo), Lucas Elliott (Sam), Hiro Abe (Tenente Colonnello Oiso), Masashi Nagadoi (Ammiraglio Ichimaru), Ikuma Ando (Ozawa), Ken Kensei (General Maggiore Hayashi), Steve Santa Sekiyoshi (Kanda), Toshiya Agata (Capitano Iwasaki), Yoshi Ishii (Soldato Yamazaki), Toshi Toda (Colonnello Adachi); produzione: Clint Eastwood, Robert Lorenz, Steven Spielberg per Amblin Entertainment - Dreamworks Skg - Malpaso Productions - Warner Bros. Pictures; distribuzione: Warner Bros. Italia; origine: Usa, 2006; durata: 140'.

Trama:Durante la seconda guerra mondiale sulla piccola isola di Iwo Hima, tra la spiaggia di sabbia nera e le cave di zolfo, si consuma lo scontro tra i soldati americani e quelli giapponesi. Questi ultimi, mandati allo sbaraglio, sono consapevoli di non tornare più a casa. Tra loro Saigo, un ex fornaio, desidera sopravvivere per tornare a casa e vedere la sua ultima nata. Baron Nishi, campione olimpico di equitazione, è famoso in tutto il mondo per la sua abilità. Shimuzu, un allievo poliziotto, idealista e fiducioso, è destinato a scontrarsi con la dura e crudele realtà della guerra. Il tenente Ito, credendo profondamente nella sua missione di soldato, preferisce uccidersi piuttosto che cadere nelle mani dell'esercito americano...

Critica (1):Sessantadue anni fa americani e giapponesi si combatterono nella decisiva battaglia di Iwo Jima. Qualche decennio più tardi vennero ritrovate centinaia di lettere mai spedite dei combattenti giapponesi.
È a partire da queste che Clint Eastwood realizza un altro capolavoro speculare a Flags of Our Fathers. Quelle feritoie che si aprivano nel film precedente per sparare sugli americani in questo film le conosciamo molto prima che entrino in azione. Solo un regista del suo spessore umano poteva portarci a 'vedere' la guerra con gli occhi degli 'altri', del 'nemico'. Lo aveva già tentato con lampi geniali Terrence Malick in La sottile linea rossa. Oggi Eastwood ne fa il tema di Lettere da Iwo Jima in cui seguiamo le vicende di soldati inviati al fronte con ben chiara in testa l'idea di 'dover' morire, non senza aver prima eliminato quanti più nemici possibile. Ci racconta anche dei loro comandanti alcuni dei quali fanatici e talvolta velleitari e altri invece consapevoli delle loro responsabilità di guide dei loro uomini che, nella grande maggioranza, non vogliono perdere la propria vita inutilmente. Tra loro emerge il Generale Tadamichi Kuribayashi che aveva studiato negli Stati Uniti. Grazie a questo personaggio Eastwood riesce a portare sullo schermo, senza mai assumere atteggiamenti predicatori, un messaggio molto intenso. Se si conoscesse davvero chi si ha di fronte forse non lo si odierebbe come invece accade in tutte le guerre. Attenzione però: non si tratta di un messaggio retoricamente pacifista. Eastwood è troppo consapevole della molteplicità degli elementi messi in gioco da un conflitto (e in particolare dalla Seconda Guerra Mondiale) per ridurre tutto a un banale appello alla fratellanza umana. È proprio grazie alla differenza delle personalità descritte che può permettersi di uscire dall'immagine stereotipa fatta solo di 'banzai' e kamikaze che tanto cinema ci ha propinato. È un cinema contro le facili illusioni il suo ma anche contro le retoriche guerrafondaie. Le lettere che i soldati nipponici scrivono o ricevono da casa differiscono ben poco da quelle dei militari americani. Così come non bisogna mai pensare che il Male sia schierato tutto da una parte. Con una fotografia desaturata che si accende solo con il fuoco e con il sangue, quello che è ormai uno dei pochi riconosciuti Maestri del cinema viventi ci fa entrare nelle miglia e miglia di camminamenti che costituirono la vera difesa strategica dell'isola. Così come per Kubrick in Orizzonti di gloria in Lettere da Iwo Jima il cinema si fa al contempo spettacolo, narrazione storica e monito alle coscienze. Si fa, cioè, Cinema.
Giancarlo Zappoli, mymovies.it

Critica (2):Un tempo, per Hollywood, erano "musi gialli", "scimmie", o semplicemente "Nips" o "Japs". Nemici feroci e animaleschi, al massimo senza faccia, sempre pronti a urlare «Banzai!». Gli americani non furono teneri con i giapponesi e usarono il cinema come un'arma di propaganda micidiale contro i soldati dell'Imperatore, e non solo in tempo di guerra. «Ho sentito che i Japs sono felici di morire per il loro imperatore», dice un personaggio di Destinazione Tokyo (1943), «molti di loro tra un po' saranno molto, molto felici». Perfino Popeye e Bugs Bunny vennero chiamati in guerra, in You're a Sap, Mr. Jap ('42) e in Nips the Nips ('42). Ma l'elenco dei film e dei cartoon che dipinsero i giapponesi come mostri da schiacciare è fin troppo consistente. Poi fu la volta dei coreani, e dei vietnamiti. In qualche modo Clint Eastwood, con Lettere da Iwo Jima, che da noi esce oggi, non una seconda parte di Flag of Our Fathers, ma la stessa storia vista dall'altra parte, cerca, se non proprio di chiedere perdono per tante offese e tanto razzismo, almeno di rendere omaggio alla realtà dei fatti e a un nemico molto più debole e decisamente più coraggioso. Hollywood ha già tentato nel passato di vedere da un doppio punto di vista la guerra nel Pacifico. Frank Sinatra, nell'unico film che ha diretto oltre che interpretato, La tua pelle o la mia (1965), è stato il primo a cercare di costruire la scena di una battaglia muovendosi tra americani e giapponesi. Soprattutto, ha dipinto questi ultimi come esseri umani identici ai loro nemici, e li ha fatti parlare in giapponese con i sottotitoli. John Boorman si spinge ancora più avanti nel curioso Duello nel Pacifico (1969), dove due soldati, i grandi Lee Marvin e Toshiro Mifune combattono la guerra da soli, uno contro l'altro in un atollo sperduto. Il maggiore tentativo di rilettura della guerra vista dalle due parti fu però certo Tora! Tora! Tora! (1970), diretto a quattro mani da Richard Fleischer e da Kinji Fukasaku, oggi un regista di culto dopo Battle Royale. Grandi attori, grandi scene di battaglia, e perfino un copione rivisto in segreto da Akira Kurosawa. Ma Clint Eastwood fa di più. Grazie al copione di Paul Haggis e della nippo-americana Iris Yamashita, in gran parte costruito sulle vere lettere del generale Tadamichi Kuribayashi che si immolò nella battaglia, dedica due ore e venti di grande cinema non tanto alla pur accurata ricostruzione degli eventi e dei personaggi giapponesi quanto alla nobiltà del loro accettare la sconfitta e del sacrificarsi. Non si tratta di mostrare i soldati dell'Imperatore che si fanno saltare in aria pur di non arrendersi, ma di percorrere un viaggio dentro il senso del dovere e quello del sacrificio che proprio nella sconfitta emergono. I soldati dell'Imperatore erano vittime della macchina da guerra giapponese quanto i marines che li combattevano. Ma il regista di Million Dollar Baby, ormai lontano dai mondi dell'Ispettore Callaghan o dello Straniero senza nome, non può che sentire più affinità con i perdenti. L'umanissimo e geniale generale Kuribayashi, interpretato da Ken Watanabe (Memorie di una geisha, L'ultimo samurai, Batman Begins), che la sera scrive lettere piene d'amore ai figli, e il romantico Barone Nishi, cioè Tsuyoshi Ihara, cavallerizzo celebre che a Los Angeles frequentava Mary Pickford e Douglas Fairbanks, si scontrano con gli altri ufficiali proprio sull'accettazione della sconfitta e su come si dovranno preparare a morire. Tutti sanno che l'isola non è difendibile con 22 mila uomini contro centomila. Ma sanno anche che Iwo Jima è una pedina chiave nell'invasione del Giappone e che gli americani faranno lì la loro base finale, a sole 670 miglia da Tokyo. Per questo Kuribayashi cerca di combattere fino all'ultimo uomo. Fa costruire nel cuore della montagna una rete impenetrabile di tunnel, imponendo ai marine una guerra dove gli americani sono gli indiani che assaltano il fortino allo scoperto. Gli americani sbarcano a Iwo Jima il 19 febbraio del 1945 pensando che i giapponesi cederanno in non più di cinque giorni. Ne resisteranno 36 e, se il generale Kuribayashi, è questa la tesi del film, avesse avuto una rete migliore per comunicare con i suoi e ufficiali meno riottosi, sarebbe durata anche di più. Alla fine, sul campo, i morti americani sono 6821, e i sopravvissuti giapponesi 1083. Un martirio, insomma. Che, secondo molti, fece capire agli Stati Uniti che i giapponesi non si sarebbero mai arresi e li spinse alla scelta dell'atomica su Hiroshima il 6 agosto. Ma fu anche un estremo, ragionato e sofferto sacrificio, che trova in Clint Eastwood il suo giusto cantore, che si avvicina qui a grandi registi classici come il John Ford di I sacrificati. Per questo Lettere da Iwo Jima, che ha vinto il Golden Globe per il miglior film straniero ed è candidato a quattro Oscar, tra i quali quelli per il miglior film e la miglior regia, è così più riuscito di Flag of our Fathers. Perché Eastwood tratta i suoi protagonisti con la nostalgia che i grandi registi di Hollywood avevano per gli eroi interpretati da John Wayne o da Robert Mitchum, testimoni di un mondo che stava scomparendo. E rende a questi ufficiali, così interessati al mondo e al cinema americano, come vediamo nel film, il massimo omaggio. Ne fa, insomma, tardi eroi fordiani. Giustamente si salva il non eroe, il fornaio che non voleva andare in guerra, interpretato dalla popstar Kazunari Ninomiya, che si trova testimone degli eventi, come il James Stewart di L'uomo che uccise Liberty Valance di Ford. E si salva, pur non volendolo, il martire che cercava la bella morte per l'Imperatore, così rifiutata da Kuribayashi, al punto che deciderà di scomparire nel nulla. In qualche modo Eastwood fa sue le ciniche parole pronunciate dal Generale Patton nel 1944: «Voglio che vi ricordiate che nessun bastardo ha mai vinto la guerra morendo per la sua patria. Vinci la guerra se obblighi l'altro povero bastardo a morire per la sua».
Marco Giusti, Il Venerdì di Repubblica, 16/02/2007

Critica (3):

Critica (4):
Clint Eastwood
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