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Arrivederci Saigon


Regia:Labate Wilma

Cast e credits:
Soggetto: Wilma Labate, Giampaolo Simi; sceneggiatura: Wilma Labate; fotografia: Daniele Ciprì; musiche: Mattia Carratello, Stefano Ratchev; montaggio: Mario Marrone; suono: Gianfranco Tortora; interpreti: Viviana Tacchella, Rossella Canaccini, Daniela Santerini, Franca Deni; produzione: Emanuele Nespeca, Gabriele Trama per Solaria Film, Tralab, Rai Cinema, in collaborazione con Rai Com; distribuzione: Cinecittà Luce; origine: Italia, 2018; durata: 80’.

Trama:È l'incredibile storia delle Stars, la giovanissima band italiana che dalla provincia toscana viene spedita inaspettatamente in Vietnam, a suonare nella base militare americana. Sono giovanissime con la voglia di successo e di lasciare la provincia industriale dove vivono, così diversa dalla famose colline del Chianti: vengono dalle acciaierie di Piombino, dal porto di Livorno e dalle fabbriche Piaggio di Pontedera. È la provincia rossa delle case del popolo e del PCI e uscire da quella provincia è il loro sogno. Siamo nel '68 e ogni sogno sembra possibile. Ricevono un'offerta che non possono rifiutare: una tournée in estremo oriente, Manila, Hong Kong, Singapore... Armate di strumenti musicali e voglia di cantare, partono sognando il successo ma si ritrovano in guerra, e la guerra è quella vera del Vietnam... Dopo cinquant'anni "Le Stars" raccontano la loro avventura vissuta per tre mesi nelle basi sperdute nella giungla, tra i soldati americani e la musica soul.

Critica (1):Chi sono Viviana Tacchella, Rossella Canaccini, Daniela Santerini e Franca Deni? Nomi che oggi come oggi, ai più, diranno ben poco. Nella seconda metà degli anni ’60, ancora giovanissime, erano Le Stars, giovanissima band italiana della provincia toscana che, nel 1968, viene spedita nientemeno che nel Vietnam del Sud, nel pieno del conflitto, per suonare nelle basi militari americane.
Arrivederci Saigon di Wilma Labate racconta questa incredibile storia, mai arrivata del tutto alle orecchie dell’opinione pubblica. In primo luogo perché quasi sottaciuta per anni dalle stesse protagoniste.
Al documentario, prodotto tra gli altri da Gianluca Arcopinto e realizzato grazie agli archivi AAMOD, Istituto Luce Cinecittà e Rai Teche, manca purtroppo il fondamentale apporto dell’eccezionalità del momento, ovvero le immagini della band in Vietnam e, ovviamente, dei concerti tenuti in quei 3 mesi.
Nonostante ciò, il lavoro porta comunque a galla una vicenda che non meritava rimanesse nell’oblio. Attraverso le parole delle sue protagoniste, che a distanza di anni si riavvicinano a quegli avvenimenti con emozioni e sentimenti contrapposti, Arrivederci Saigon riesce a riportarci alle contraddizioni del ’68 seguendo un filo inedito.
Provenienti dalle acciaierie di Piombino, dal porto di Livorno e dalle fabbriche Piaggio di Pontedera, la provincia rossa delle case del popolo e del PCI, vengono portate in Vietnam grazie ad un raggiro: convinte di partire per una tournée in Estremo Oriente, da Manila a Singapore: le ragazze – pena il pagamento di salatissime penali – si ritrovarono così costrette ad accettare di restare per tre lunghi mesi nelle basi sperdute nella giungla, tra i soldati americani e la musica soul.
Mentre nel resto del mondo, America e Italia compresa, si chiedeva a gran voce il ritiro delle truppe USA, quelle ragazzine (con l’unica Viviana maggiorenne) conoscono la guerra da vicino e i giovani americani costretti a combatterla, a volte senza capirla. E iniziano a familiarizzare con il soul, la musica amata dai soldati neri. I concerti delle Stars, il più delle volte, sono proprio per loro, che più dei bianchi affollavano le prime file della platea.
Ecco, il senso più profondo del documentario, quello forse più straniante, è proprio questo: tornate finalmente a casa dopo un lungo periodo in un luogo e in un contesto oggettivamente inospitali, rischiando addirittura di rimetterci la salute e la pelle, Le Stars vengono in qualche modo emarginate. Hanno suonato per gli yankees, un’onta che per le famiglie, gli amici, i compagni della sezione del Partito Comunista e gli studenti in lotta per le strade, è impossibile da cancellare.
E allora hanno preferito nascondere – alla fine anche a loro stesse – di essere mai state lì. In qualche modo tenendo sepolti per quasi cinquant’anni quei tre mesi capaci invece di formarle come nessun altro luogo comune, o partito preso, avrebbe potuto fare in quell’indimenticabile 1968.
Valerio Sammarco, cinematografo.it, 5/9/2018

Critica (2):Arrivederci Saigon racconta la vicenda incredibile e assurda di Rossella, Viviana, Daniela, Franca e Manuela, ragazze beat degli anni Sessanta, tutte originarie della provincia operaia, quella delle acciaierie di Piombino, del porto di Livorno e delle fabbriche Piaggio di Pontedera. Nel 1967 formano una poche girl band italiane dell’epoca, le Stars, e l’anno dopo ricevono l’offerta di una tournée in Estremo Oriente tra Manila, Hong Kong, Singapore… ma si ritrovano in guerra, quella del Vietnam. «Ho conosciuto la loro storia grazie allo scrittore Giampaolo Simi, con cui poi ho scritto il soggetto» spiega la regista Wilma Labate «Quando me ne ha parlato siamo impazziti e abbiamo capito che era fortissima. Non ho più mollato queste signore per 4 o 5 anni, finché ho avuto modo di realizzare il film, grazie al fatto che quest’anno è il cinquantenario del ’68».
Le Stars non hanno mai preso un aereo e parlano un inglese stentato. A Manila scoprono la verità: il loro impresario ha stipulato un accordo con un ambiguo intermediario filippino, la loro vera destinazione è il Vietnam del Sud dove suoneranno per i soldati americani nelle basi militari. Non avere neanche vent’anni e trovarsi dalla parte sbagliata della Storia, senza nemmeno rendersene conto: «È stata l’esperienza più bella della mia vita, ma ovviamente là ero spaventata, giovane, mi sono dovuta fare parecchio coraggio» racconta Rossella Canaccini, la voce del gruppo.
Le ragazze conoscono la guerra e i giovani americani costretti a combatterla, a volte senza capirla. Imparano a suonare il soul, la musica dell’anima tanto amata dai soldati neri. È soprattutto per loro, per i giovani afroamericani che affollano le prime linee più dei bianchi, che le Stars si esibiscono durante la surreale tournée in Vietnam. «Cantavamo per loro la mattina alle 8, erano ragazzi di 20 anni, ci chiedevano James Brown e Aretha Franklin, poi si alzavano a gruppetti piangendo, perché andavano nella giungla a combattere» ricorda Viviana Tacchella, che era la più grande della band: «Al ritorno tutti ci parlavano di politica, ma a noi non fregava nulla: Noi quei giovani li abbiamo visti soffrire, li abbiamo amati, anche se erano lì per una guerra sbagliata».
Già, perché tornate a casa da quell’esperienza assurda, nella provincia rossa, le Stars vengono messe sotto processo e criticate: chi ha suonato per gli yankees non merita comprensione. «Ci chiedevano perché eravamo andate nel Sud e non nel Nord, come Joan Baez e gli altri. Ma io non sapevo nemmeno che esistessero un Sud e un Nord. Mi dicevano: “Vieni da una famiglia comunista, con il babbo morto partigiano, come ti sei permessa?”» continua Viviana. E così quella storia è rimasta nascosta per cinquant’anni: «Ci si vergognava di essere andate là, vivevamo la cosa quasi come una colpa», ma finalmente ora è arrivata la rivincita: «È bello poter raccontare tutto».
«Ovviamente il Partito Comunista ha sbagliato a metterle sotto processo, non si sono resi conto che erano 5 ragazzine inconsapevoli» afferma la regista «Il movimento studentesco però era un’altra cosa, avrebbero potuto capirsi attraverso la musica. Ma la rigidità ha cancellato anche il fatto che le Stars fossero molto avanti e che il soul potesse diventare uno strumento di comunicazione».
Benedetta Bragadini, rollingstone.it, 9/9/2018

Critica (3):Tra le pieghe della Grande Storia si nascondono storie piccole e incredibili. Neppure lo sceneggiatore più creativo e visionario avrebbe potuto immaginarlo: un gruppo femminile beat, le Stars, composto da cinque ragazze toscane (nate e cresciute tra Piombino, Livorno e Pontedera), di cui quattro minorenni (Viviana era l'unica ad aver raggiunto la maggiore età), sballonzolato nel Vietnam in guerra, per tre mesi, a cavallo tra 1968 e 1969 (nel pieno del conflitto dunque, che in effetti durò esplicitamente dal 1960 al 1975), a suonare il soul per i soldati americani. Wilma Labate, che ricorda sempre nelle sue interviste di aver cominciato a fare politica proprio manifestando in piazza contro la guerra in Vietnam, scopre la loro avventura rimasta sommersa (ricorda: «Merito di Giampaolo Simi e grazie a un piccolo libro pubblicato da Daniela. Io per sei anni sono stata in contatto con loro, non le ho mollate mai, finché quest'anno per il cinquantennale del '68 siamo riuscite a girare il film») e la recupera con le loro testimonianze (precisiamo: di quattro di loro, perché la quinta, la batterista Emanuela, si è rifiutata, «non ne vuole più sentire parlare», e anche questo è significativo dello shock che ebbe la vicenda su di loro), con l'aggiunta di significativi materiali di repertorio.
Così, davanti alla macchina da presa, ecco quattro mature signore - Rossella Canaccini, Viviana Tacchella, Daniela Santerini, Franca Deni, ovvero Le Stars - ricordare quella tournée non voluta («Fu il nostro manager, Saggini Ivo da Piombino, che ci portò lì, parlando genericamente di un giro musicale in Asia, tra Manila e Tokio, di tre mesi») che le scaraventò brutalmente al fronte, tra soldati terrorizzati, bombardamenti, morti, per un'esperienza rimasta indelebile. E sepolta, anche perché, al loro ritorno, il Partito Comunista non mancò di far sentire e "pesare" la sua riprovazione. «lo stavo per il Nord, ho anche accennato a qualche protesta...», ricorda la cantante Rossella; «La mia famiglia era comunista e per cinquant'anni mi sono sentita colpevole. E questa avventura non l'ho mai raccontata perché credevo di aver fatto una cosa sbagliata» dice un'altra. Ma loro, figlie del popolo e cresciute in quartieri popolari, antifascisti e pacifisti, ebbero la sorte invece di assistere a cosa succedeva in quel conflitto lontano, maledetto e schifoso, che ebbe risonanze mondiali imprevedibili. Soprattutto constatarono de visu lo scontro razziale tra militari bianchi e afroamericani: «Nel Vietnam abbiamo visto il razzismo. I bianchi non trattavano bene i neri», «Noi amavamo il soul e gli ufficiali non lo gradivano: troppo dei neri...», «Però quando suonammo It's a Man's Man's Man's World di James Brown, un soldato nero fece uno splendido duetto con Rossella, la cantante, e fu bellissimo».
Stiamo pescando frasi e aneddoti di prima mano perché l'impatto e il fascino di questo documentario sta tutto nel ricordo ancora vivi-do di queste quattro persone distinte e separate che si fondono in un percorso unico, ancora oggi stupefacente. Italiane minorenni al fronte, sul palco, tra gente spesso stravolta e spaventata come loro («Abbiamo visto una scazzottata violentissima ed enorme tra bianchi e neri tra il pubblico»), più di una volta in lacrime e che non vedevano l'ora di andare via, ma anche forti di una solidarietà quasi di base, di impuntature etiche, a vivere esperienze di ipnotica poesia (un bombardamento di notte visto con incoscienza da una terrazza), magari anche con qualche cotta platonica (senza conseguenze: «Ci raccomandavano sempre le nostre mamme: la scatolina devi tenerla stretta»). Insomma un impasto di ingenuità sul soglio della presa di coscienza. E questo aspetto di romanzo di formazione di cinque italiane di provincia, Wilma Labate lo coglie bene, contestualizzandolo a uso del pubblico di oggi, quasi tutto composto da gente che non visse quelle stagioni e (purtroppo per loro) quella passione, andando a cercare tra gli archivi AAMOD, all'Istituto Luce e le Rai teche e con il supporto fattivo della produzione di Gianluca Arcopinto.
Scorrono così le immagini dei cortei di tutto il mondo, gli scontri con la polizia, le dichiarazioni che allora infiammavano il cuore, le celebrità schierate (Martin Luther King, Gian Maria Volonté, Eduardo De Filippo intervistato, Jane Fonda ripresa nel Vietnam del Nord a fare intervista e dare solidarietà militante), le canzoni di una colonna sonora condivisa (dai gruppi beat italiani ai grandi del soul, Aretha Franklin, Wilson Pickett, Nina Simone qui "citati" sul palco). E poi anche inserti dalla vita quotidiana dell'oggi del-le protagoniste, con le lezioni di canto, di piano, di chitarra, di gente che comunque ha scelto di suonare per amore della musica, indipendentemente dal successo, tranne la bassista Franca che rimase un po' traumatizzata dall'esperienza e decise di diventare in seguito infermiera. Peraltro, l'unica che tentò la carriera musicale professionista, dopo lo scioglimento delle Stars, è stata Rossella dalla magnifica voce; la vediamo alla fine del film in televisione, presentata da Bruno Lauzi, esibirsi in una versione di Il cielo (successo di Lucio Dalla) da brividi. Purtroppo, ma è una pecca a cui nessuno avrebbe potuto porre rimedio, mancano immagini e musiche di Le Stars sui quei palchi artigianali, da Saigon alle località più sperdute al fronte. Possiamo solo immaginarle. Certamente saranno stati show meno "carichi", di quello ricostruito da Coppola, oltre l'anfetaminico e lo stravolto, in Apocalypse Now.
Massimo Lastrucci, Cineforum n. 580, 12/2018

Critica (4):
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