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Donna fantastica (Una) - Mujer fantástica (Una)


Regia: Lelio Sebastián

Cast e credits:
Sceneggiatura: Sebastián Lelio, Gonzalo Maza; fotografia: Benjamín Echazarreta; musiche: Matthew Herbert; montaggio: Soledad Salfate; scenografia: Estefanía Larraín; costumi: Muriel Parra; interpreti: Daniela Vega (Marina), Francisco Reyes (Orlando), Aline Küppenheim (Sonia), Luis Gnecco (Gabo), Amparo Noguera (Adriana), Antonia Zegers (Alessandra), Roberto Farías (medico), Nicolás Gil Saavedra (Bruno), Néstor Cantillana (Gaston); produzione: Juan De Dios Larraín, Pablo Larraín per Fabula, in coproduzione con Komplizen Film, Muchas Gracias, Setembro Cine; distribuzione: Lucky Red in associazione con 3 Marys Entertainment; origine: Cile-Usa-Germania-Spagna; durata: 104'.

Trama:Marina e Orlando sono innamorati e pianificano di passare le loro vite insieme. Lei lavora come cameriera e adora cantare. Il suo compagno, di 20 anni più grande, ha lasciato la sua famiglia per lei. Una sera, però, tornati a casa dopo aver festeggiato il compleanno di Marina in un ristorante, succede l'imprevedibile: Orlando improvvisamente diventa pallido e smette di rispondere. In ospedale, tutti i medici confermano la morte dell'uomo. Gli eventi si susseguono veloci: Marina si trova di fronte alle domande sgradevoli da parte di un'ispettrice di polizia, mente la famiglia di Orlando le mostra solo rabbia e sfiducia, la esclude dal funerale e le ordina di lasciare l'appartamento, che apparteneva ad Orlando, il più presto possibile. Marina, infatti, è una donna transessuale e la famiglia del defunto si sente minacciata dalla sua identità. Ma Marina è forte, e con la stessa energia che ha utilizzato per il diritto a essere donna decide di combattere, a testa alta, per il diritto di vivere il proprio lutto.

Critica (1):Giocare con lo sguardo su un corpo, metterlo al centro di un film, lavorare sullo spettatore è un grande rischio che Sebastian Lelio, nel suo nuovo film Una mujer fantàstica in concorso a Berlino 2017, corre con consapevolezza e spavalderia sufficienti per superarlo o almeno per renderlo uno spettacolo interessante.
Il film racconta di Marina, donna transessuale la cui vita è sconvolta dall’improvvisa morte del compagno, 20 anni più grande di lei e che per lei ha lasciato la famiglia: una famiglia che non ha perdonato l’affronto e che farà sentire a Marina il peso di un’identità sempre in divenire. Scritto dal regista con Gonzalo Maza, Una mujer fantàstica è un dramma intimo in cui i cambi di tono e registro servono a riflettere stilisticamente sulla percezione del sé e di quella da parte degli altri.
Il film racconta il modo in cui una società – e la famiglia come suo nucleo – si rapporta con i corpi estranei (“Quando ti guardo, non so cosa sto guardando”, dice a Marina l’ex-moglie del defunto): prima della comprensione o del rigetto anche violento, c’è lo sguardo, il desiderio incomprensibile, la curiosità morbosa. Per questo Lelio lavora costantemente sul legame tra la protagonista Daniela Vega (rivelazione) e la macchina da presa, per far vivere allo spettatore – tra figure intere, inquadrature che la seguono, immagini che la squadrano e la scrutano – il peso dello sguardo degli altri, la semplice esistenza come fonte di curiosità e continua inquisizione.
Una mujer fantastica assume completamente su di sé la fascinazione per quel corpo – esaltato dal suo amore per la musica lirica o popolare –, non si pone moralisticamente lontano da esso e contro gli sguardi, ma nemmeno è ipocrita da titillare gli atteggiamenti che racconta e in parte condanna: accompagna il pubblico nella comprensione di una donna che deve prendere coscienza di una nuova molteplice identità (con qualche didascalismo simbolico qua e la) attraverso il cinema e il suo linguaggio, come nel precedente Gloria. Per questo, il tono noir elegante e almodòvariano (sottolineato dalla partitura di Matthew Herbert) oppure le aperture oniriche e gli strappi al racconto, che paiono sulle prime eccessi inutili, sono il corrispettivo stilistico del viaggio che Marina compie dentro i mutamenti del suo io, le variazioni della propria percezione per sopravvivere agli altri. Come se gli occhi e le parole (la lotta per farsi chiamare con il nome da donna) fossero più violente di qualunque pugno.
Emanuele Rauco, la rivista dell cinematografo-cinematografo.it

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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