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Primo amore


Regia:Garrone Matteo

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Vitaliano Trevisan; direttore della fotografia: Marco Onorato; scenografia: Paolo Confini; montaggio: Marco Spoletini; costumi: Francesca Leondeff; musiche: Banda Osiris; interpreti: Vitaliano Trevisan (Vittorio), Michela Cescon (Sonia); produzione: Domenico Procacci; distribuzione: Fandango; origine: Italia, 2004; durata: 95'.

Trama:Vittorio cerca una donna che corrisponda al suo ideale. Attraverso un annuncio incontra Sonia, una ragazza dolce, simpatica, intelligente, ma che pesa 57 kg. Troppi. Lui, che di mestiere fa l'orafo, vorrebbe modellare il suo corpo e la sua mente come il fuoco fa con l'oro dei suoi gioielli.

Critica (1):Quando c'è la testa, non c'è il corpo. Quando c'è il corpo, non c'è la testa. S'inarca lungo questa danza patologica, spianando divaricazioni che non trovano equilibrio, il film Primo Amore di Matteo Garrone, unica presenza italiana a centrare l'ingresso principale della Berlinale nella sezione del concorso. Sicuramente non è un'entrata che può lasciare indifferenti, perché dallo spioncino di una nevrotica storia d'amore lascia travasare la visione di un dramma psicologico gestito nelle sue algide curve con controllo chirurgico. (...) Una pellicola non pacificata né pacificante che si cala con logica spietata in mezzo a solitudini mentali e corpi che smettono di mangiare per darsi in pasto a una fantasia dell'altro. Disturbi di un caso di vita tanto estremo quanto paradigmatico che trova fertile humus nei perimetri anonimi della provincia. In questo caso, siamo nel vicentino, dove l'orafo Vittorio (Vittorio Trevisan), testa rasata e sguardo a pugno, vive tra le cancellate a gabbia del suo laboratorio, vagheggiando l'incontro con una donna che possa modellarsi sulle curve di un suo ideale estetico. La vuole magra, che pesi quaranta chili e non un grammo di più. Insomma, idee nitide, ma inconsistenti come fili di sigaretta e dissociati da un confronto con la realtà, se non nella pratica quotidiana del suo mestiere che lo vede cesellare tra sbuffi di fuoco statuette d'oro filiformi in stile Giacometti. Ma il mondo umano è un'altra cosa. Non a caso, per trovare la donna che cerca tra i vapori della sua immaginazione, si affida con un annuncio a un incontro al buio. All'appuntamento arriva Sonia (Michaela Cescon), ragazza sensibile e spigliata, ma con guance e fianchi troppo paffuti stando alla taratura della bilancia mentale di Vittorio. Ed è subito frizione e spiazzamento. Sono le prime battute del film e le loro sagome, che chiacchierano a un tavolino di un bar, già si incollano ai margini laterali dell'inquadratura. Certo, feeling di testa, ma non di corpo. Lui glielo dice subito. I 57 chili della ragazza sono una zavorra per la sua fissazione. Lei ha l'imbarazzo di chi vorrebbe prendere il primo tram e tornarsene a casa. Posizioni che sono opposizioni, ma che presto subiscono scosse di assestamento per un fatto di curiosità reciproca. Nasce così una relazione "leggera" che con l'andare dei giorni si "appesantisce" in un laccio d'amore capace di protestare a viva voce l'esigenza di una pienezza da cerchio perfetto. Spinta all'inseguimento dell'ideale estetico che Vittorio rivendica come condizione sine qua non, la donna vincola il suo corpo a una dieta rabbiosa, che la fa scivolare nelle spirali di un dimagrimento coatto. Alle pareti della cucina liste di cibi leciti con tanto di computo calorico, poi diagrammi a segnare il zig-zag di una metamorfosi corporale. Insomma, ossessioni che si contagiano, riverberandosi in un gioco di coppia al massacro, dove l'uomo si arroga il diritto perverso di un controllo a vista e la donna sacrifica i suoi piaceri più intimi in nome di un amore più grande. Il rapporto che si viene così a creare prende le forme di un carceriere fragile che detta legge alla sua vittima, sbaraccando il frigorifero, scegliendo i vestiti per lei da indossare fino a plagiarne il respiro. Tutto questo potere non lo rende immune però dal contraccolpo di una dipendenza nei confronti di Sonia che solo adesso Vittorio inizia a provare. Evoluzioni che trovano la loro forza di gravità visiva nel restringimento a fisarmonica del corpo della donna. Mentre la schiena si smunge progressivamente in un'asciuttezza che segna la sua pelle con la sporgenza delle ossa, il volto scontorna zigomi e scava fossette, cambia radicalmente anche il suo spirito. In fondo, questa trasformazione è il diario di un declino fisico ma anche e soprattutto psicologico. A testimoniare il confronto, i ritratti che di lei, modella all'accademia serale, fanno gli studenti. La ridente rotondità classica dell'inizio lascia il posto a uno sfilacciamento di linee che ricorda i corpi malati di Schiele. Insomma, qui si scivola lungo il piano inclinato di una patologia che trasloca ai confini dell'isolamento, quando i due si trasferiscono in una torretta sulle colline venete, abbandonando poco dopo il lavoro. La claustrofobia già resa in immagine con le inferriate e le sbarre del casa-laboratorio di Vittorio rintraccia ora il suo climax nell'accerchiamento boschivo in cui si colloca la villetta della loro coabitazione. Primo amore è un film d'amore, ma di un amore afferrato nelle sue ombre più impulsive e deviate. Garrone ha mano salda ed elegante nel gestire il timone di una rotta che trattiene energicamente l'emozione, senza debordare in sbavature o rivoli di troppo. Incentrato sui vasi comunicanti che infettano e squilibrano la coppia nel pantano di un'eterna insoddisfazione, il racconto ci fa sbattere gli occhi contro il sogno di un'alchimia impossibile. Corpo e testa rimangono scollegati. E così la prigione del cibo e l'utopia della modellazione dell'oro diventano gli emblemi-choc di un amore autodistruttivo. Dopo l'exploit dell'Imbalsamatore, Garrone conferma di avere le corde vocali per mettere in voce con profondità nevrosi tanto generazionali quanto universali.
Lorenzo Buccella, l'Unità, 10/2/2004

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Matteo Garrone
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