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Nastro bianco (Il) - Weisse Band (Das)


Regia:Haneke Michael

Cast e credits:
Soggetto: Michael Haneke; sceneggiatura: Michael Haneke; fotografia: Christian Berger; montaggio: Monika Willi; scenografia: Christoph Kanter; costumi: Moidele Nickel; interpreti: Christian Friedel (il maestro), Ernst Jacobi (narratore), Leonie Benesch (Eva), Ulrich Tukur (l barone), Ursina Lardi (Marie-Louise, la baronessa), Fion Mutert (Sigmund), Michael Kranz (il precettore), Burghart Klaussner (il pastore), Leonard Proxauf (Martin), Maria-Victoria Dragus (Klara), Levin Henning (Adolf ), Johanna Busse (Margarete), Yuma Amecke (Annchen), Thibault Sérié (Gustav), Josef Bierbichler (l'intendente), Enno Trebs (Georg), Theo Trebs (Ferdinand), Janina Fautz (Erna), Rainer Bock (il dottore), Susanne Lothar (l'ostetrica), Roxane Duran (Anna), Miljan Chatelain (Rudolf), Eddy Grahl (Karli), Branko Samarovski (il contadino), Birgit Minichmayr (Frieda), Kai-Peter Malina (Karl), Sebastian Hülk (Max), Aaron Denkel (Kurti), Kristina Kneppek (Else), Stephanie Amarell (Sophie); produzione: X Filme Creative Pool-Les Films Du Losange-Wega Film-Lucky Red; distribuzione: Lucky Red; origine: Germania-Austria-Francia-Italia, 2009; durata: 144.

Trama:Germania del Nord, 1913-14. In un villaggio protestante alcuni studenti, componenti di un coro diretto da uno degli insegnati, sono testimoni con le loro famiglie di una serie di strani incidenti che ben presto iniziano ad apparire come rituali punitivi.

Critica (1):La prima idea per questo film - l' ha dichiarato il regista alla rivista Positif - risale al 1970, leggendo una sceneggiatura su dei bambini rinchiusi in un orfanotrofio/riformatorio e firmata da Ulrike Meinhof, ai tempi non ancora passata alla lotta armata. Da allora, l' idea dei condizionamenti che l' ambiente sociale esercita sui più piccoli non ha smesso di interessare Haneke, anche se l' impegno e l' ampiezza della storia che andava elaborando gli faceva sempre rimandare il progetto. È riuscito a realizzarlo solo un anno fa, grazie all' impegno di quattro diversi produttori (tra cui l' italiano Andrea Occhipinti) e il risultato è stato la conquista della Palma d' oro all' ultimo festival di Cannes. A maggio, dopo la visione non certo ottimale durante il festival, mi era sembrato che il «marchio di fabbrica» dell' ambiguità, che Haneke usa spesso nei suoi film per dare un diverso spessore alle storie che racconta, qui fosse usato in maniera fin troppo programmatica. Tale da non cancellare l' impressione di una certa meccanicità. Adesso, rivisto per l' edizione italiana (per una volta doppiata ottimamente, a partire dalla voce narrante di Omero Antonutti), il film mi è sembrato più ricco e meglio costruito, anche se qualche perplessità di fronte agli elogi quasi unanimi resta. Ambientato nel 1913, in un piccolissimo villaggio della Prussia, il film racconta una serie di strani «incidenti» avvenuti nel giro di un anno: qualcuno ha tirato un filo tra due alberi per far cadere il dottore che tornava a cavallo; due dei bambini, il figlio del barone e quello, ritardato, della levatrice, subiscono a distanza l' uno dall' altro due incomprensibili «punizioni» (sono ritrovati legati, picchiati e, nel caso del bambino ritardato, quasi accecato); il granaio va a fuoco. Senza che se ne scoprano i responsabili, nonostante le inchieste della polizia. Nello stesso periodo avvengono anche altri misfatti - dalla morte di una contadina claudicante per l' incuria in cui era lasciata una segheria allo sfregio fatto al campo di cavoli del barone (padrone naturalmente anche della segheria) dal figlio maggiore della donna morta, all' atto di ribellione della figlia del pastore locale - che contribuiscono a rendere sempre più elettrica e angosciosa la vita quotidiana. Haneke, che affida la narrazione ai ricordi del maestro elementare diventato vecchio, gioca abilmente con l' ambiguità e il non-detto per trasmettere allo spettatore lo stesso sentimento di insicurezza e di frammentazione. Identifica gli adulti con la loro funzione sociale (il barone, il medico, il pastore, l' insegnante, il contadino) e attribuisce i nomi propri esclusivamente ai bambini e alle donne, ricostruendo una struttura sociale retta rigidissimamente sul dominio di classe e sulla perpetuazione dei valori cristiano-borghesi. E usa il bianco e nero per aumentare il senso di ieraticità e di immutabilità che nemmeno il cambio delle stagioni sembra capace di scalfire. In questo modo offre allo spettatore il ritratto di una comunità apparentemente solidissima e che invece nasconde al suo interno gli elementi che possono farla implodere. E che gli occhi dei bambini si incaricano di svelare allo spettatore, a volte in maniera inconscia (il figlio del dottore che vede quello che solo un adulto può leggere come un tentativo di incesto sulla sorella maggiore), a volte in maniera più esplicita (il furto dello zuffolo al figlio del barone). Il messaggio è chiaro. Lo dice la voce del maestro all' inizio del film quando spiega che quei fatti possono chiarire «alcuni processi maturati nel nostro Paese» e l' allusione al nazismo che subito dopo la prima guerra mondiale prese piede in Germania è fin troppo chiara. Proprio come il significato del nastro bianco (che dà il titolo al film) e che il pastore lega al braccio di due suoi figli, in passato «simbolo di purezza» e invece adesso «segnale di peccato». Le cose più pure e incontaminate, come i bambini, possono nascondere dentro di sé i germi del male, soprattutto se costretti a seguire regole di comportamento così rigide e assolute.
Ma è proprio questo passaggio che lascia qualche dubbio, perché se è indubbio che i rigidi valori conservatori su cui era fondata la Germania, e non solo la Germania, all' inizio del secolo non potevano non innescare violenze e pulsioni distruttive, è un po' superficiale pensare che solo da lì sia nato il nazismo, «inventato» da una generazione che da bambina era stata educata con principi troppo coercitivi e punitivi. L' ambiguità che in altri film Haneke usava per mettere in crisi le certezze dello spettatore, qui si ribalta nel suo opposto: dietro la rigidità morale si nasconde il verminaio, dietro il rigore c' è il masochista (vedi il dottore) o il bigotto (il pastore). Possibile, ma non necessario. E riduttivo rispetto alla complessità del reale che pure Haneke racconta magistralmente, come quando allude ai tormenti della baronessa.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 29/10/2009

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Critica (4):
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