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Sottile linea blu (La) - Thin Blue Line (The)


Regia:Morris Errol

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Errol Morris; fotografia: Stefan Czapsky, Robert Chappel; musica: Philip Glass; montaggio: Paul Barnes; scenografia: Teddy Bafaloukos; suono: Brad Fuller; interpreti: Adam Goildfine, Derek Horton, Ron Thornhill, Marianne Leone, Amanda Caprio, Michael Nicoll; produzione: Mark Lipson, per Third Floor prod.; distribuzione: TE; origine: USA, 1988; durata: 106'.

Trama:Mischiando reperti documentari, interviste e sequenze di fiction, il film che ha rivelato al grande pubblico il lavoro di Morris ricostruisce le dinamiche dell'omicidio di un poliziotto di Dallas per cui viene incriminato e condannato un autostoppista. Proprio in virtù dell'uscita in sala di questo film, il processo verrà riaperto e l'imputato scagionato dopo aver passato anni nel braccio della morte.

Critica (1):Shahrazàd raccontava le sue storie, facevi sbocciare le efflorescenze e le arborescenze dei suoi racconti, semplicemente per sfuggire alla morte, per vivere un giorno di più. Le mille e una notte sono una multiforme cosmogonia di raccontati per salvarsi la vita; e non è, ovviamente, un caso. Sempre si raccontano e si ascoltano storie per spingere il pensiero della morte, un po' più lontano; per dimenticarci che Lei, in ogni istante, lavora. Ogni racconto, ogni romanzo, ogni film, creando nel nostro immaginario altri mondi, ci fa dimenticare il mondo reale dell'esperienza, quello in cui siamo, tutti, condannati a morte. Si resta tuttavia stupefatti, quando scopriamo un film che la morte l'ha realmente allontanata, spinta un po' più in là; un film che ha salvato una vita in senso letterale. Un film documento che non soltanto ha osservato una realtà davanti alla cinepresa, ma la ha modificata, rivelando una verità diversa da quella stabilita. La cinepresa come inquirente, avvocato, giudice e infine testimone davanti al mondo; la cinepresa che riesce a correggere un errore giudiziario.
Oltre a tutto questo, c'è in La sottile linea blu uno spaccato del Texas (e, più in generale, del sud degli States) da mettere i brividi addosso: gente perbene e brutale, mondo di lupi solitari e diffidenti che vigilano sui loro ranches, pronti a difendersi da tutto e da tutti. Un mondo che - nell'universo della fiction - erano riusciti a farci intuire film come True Stories, Mississippi Burning o Betrayed. Ma andiamo con ordine. Documentarista dai gusti bizzarri e laterali ad ogni percorso di inchiesta filmata(Gates of Heaven era su un cimitero per animali; Vernon, Florida una cronaca minimale di una cittadina), Errol Morris stava finendo Dr. Death, un'inchiesta su di uno psichiatra specializzato in perizie da pena capitale, quando s'imbatté in Randall Adams, un uomo sui quarant'anni che da oltre dodici marciva nel braccio della morte di un penitenziario per un omicidio del quale si dichiarava del tutto innocente.
La serie delle interviste ad Adams sarebbe stata già un interessante documento su come si riesca a vivere con la paura della sedia elettrica, o con un ergastolo addosso (la pena gli era stata commutata). Ma Morris, sa andare oltre. Intervistando Adams, rassegnato e mite, tuttavia deciso nell'affermare la sua innocenza, e poi Harris, che all'epoca aveva sedici anni e guidava l'automobile dalla quale erano partiti i colpi che avevano ucciso il poliziotto, e sulla quale aveva caricato Adams, non solo ci mostra due diversi modi di affrontare la prigione e la morte: addolorato (Adams), sprezzante e spavaldo (Harris). Riesce ad ottenere quello che interrogatori e processi non avevano ottenuto. Nell'ultima inquadratura, da un magnetofono, la voce di Harris confessa la propria colpevolezza. Adams era stato accusato ingiustamente, ingiustamente aveva atteso la sedia elettrica, ingiustamente aveva trascorso in carcere dodici anni della sua vita. Alcuni mesi dopo, Adams veniva scarcerato, dopo avere vissuto tre anni nel braccio della morte ed aver visto la propria pena commutata in ergastolo solo una settimana prima dell'appuntamento con la sedia elettrica. Sembra la trama di un film giudiziario americano degli anni Cinquanta: con la differenza che qui tutto è accaduto per davvero. Compresa la scarcerazione di Adams, adesso impegnato nel mondo a favore di Amnesty International, che promuove il film e ne ha resa possibile la distribuzione italiana. Forte, drammaticamente, di quell'ultimo colpo di scena, dell'impatto emozionante della catarsi finale, La sottile linea blu impone anche alcune altre considerazioni. Innanzitutto, freddo e lucido com'è, assolutamente privo di enfasi e di retorica, riesce a scagliare un pesante sasso contro l'assurdità della pena di morte, che anche da noi qualcuno ogni tanto invoca, e che negli Stati Uniti è un vero e proprio problema sociale, con 2200 condannati in attesa di esecuzione. Colpisce poi da parte di Morris l'utilizzo del cinema come laboratorio di analisi giudiziarie, un po' come Nathalie Zemon Davis parlava del set de Il ritorno di Martiri Guerre come di un eccezionale laboratorio di ipotesi storiche. Morris ricostruisce con inserti di fiction gli eventi perduti nel tempo. E alla fine lui stesso varca la linea sottile che separa lo spettacolo dalla realtà ed entra, come teste, nell'aula di un tribunale.
Punta d'iceberg di tutta una tendenza che si fa strada anche nella televisione italiana, con programmi come Un giorno in pretura e Telefono giallo, La sottile linea blu ne mostra insieme pregi e potenziali difetti. Pregi: l'usare finalmente, quarant'anni dopo la teorizzazione di Astruc, la cinepresa come caméra-stylo: come carnet di appunti, come verbale giudiziario, come blocnotes su cui segnare le facce, le reazioni, le prove. Difetti: l'iperrealismo coloratissimo e tuttavia purtroppo ancora credibile, delle ricostruzioni filmate, la confusione tra il piano della realtà e quello della finzione; così come i mezzibusti che sfilano a raccontare le loro versioni dei fatti (poliziotti, avvocati, giudici, testimoni, imputati) sembrano caratteristi da film americano; e lo stesso colpevole, David Harris, marca, coscientemente o no, il suo personaggio di Jarnes Dean dal sorriso sottile. La linea blu che divide realtà e finzione è, forse, la più sottile di tutte. Ognuno interpreta, pirandellianamente, il proprio ruolo; e forse è vero, come diceva Shakespeare, che tutto il inondo è un teatro e tutti gli uomini sono attori.
Infine, un'ultima cosa La sottile linea blu ci dà il senso, fortissimo, della precarietà del nostro essere al mondo, della precarietà del nostro inserimento sociale. La sottile linea blu è anche quella che separa la normalità dalla disgrazia, e non possiamo mai sentirei troppo lontano dal suo orlo. Non c'era nessun motivo perché il poliziotto fosse ammazzato, quel giorno del 1976. Non c'era nessun motivo perché Randall Adams dovesse perdere, a causa di questo, i migliori anni della sua vita.
Gianni Bogani, Segno Cinema n. 43, maggio 1990

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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