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Stazione termini


Regia:De Sica Vittorio

Cast e credits:
Soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Cesare Zavattini, Truman Capote; fotografia: Virgilio Marchi, Alessandro Antonelli (gli abiti di J. Jones sono disegnati da Christian Dior; musica: Alessandro Cicognini diretta da Franco Ferrara; montaggio: Eraldo da Roma; aiuto regia: Luisa Alessandri; interpreti: Jennifer Jones (Mary Forbes), Montgomery Clift (Giovanni Doria), Dick Richard Beymer (Paul), Gino Cervi (il commissario), Paolo Stoppa (il commesso viaggiatore), Nando Bruno (primo ferroviere), Oscar Blando (secondo ferroviere), Enrico Glori (il brigadiere), Clelia Matania (una viaggiatrice con molti bambini), Memmo Carotenuto (il ladro Venturini), Giuseppe Porelli ( il viaggiatore galante), Liliana Garace (la siciliana partoriente), Attilio Torelli (l'emigrante siciliano), Maria Pia Casillo (la sposina abruzzese), Gigi Reder ( lo sposo abruzzese), Enrico Viarisio (il signore ilare all'ufficio postale), Charles Fawcett (il signore triste alla posta); direttore di produzione: Nino Misiano; produzione: De Sica- Girosi/ David O'Selznick; distribuzione: Lux Film; origine: Italia/Stati Uniti, 1953; durata: 93'.

Trama:Dopo una breve e tempestosa relazione, una giovana americana in vacanza a Roma e un insegnante italiano, Gianni Doria, devono dirsi addio alla Stazione Termini: lei sposata e con una figlia ha deciso di ripartire per raggiungere la famiglia a Philedelphia. Gianni che l'ha inseguita e raggiunta alla stazione, chiede una spiegazione.

Critica (1):II soggetto originale di Stazione Termini scritto da Zavattini qualche anno fa, parlava d'una giovane signora italiana del Nord, forse una triestina, che dopo essere stata amante per un breve ma ardente periodo di tempo, d'un romano conosciuto occasionalmente durante una visita alla Capitale, si decide a partire improvvisamente per raggiungere il marito e la bambina lontani. Il film doveva stare in quella straziante e dolce ultima intimità di un'ora e mezzo nel mondo a parte che è la stazione di una grande città, inferno e purgatorio e paradiso, un giorno o l'altro, di noi tutti. Nient'altro. Zavattini crede alla realtà, crede ai minuti che passano, e sono degni di storia anche quelli di un uomo qualsiasi che non fa nulla, degnissimi se si tratta di un uomo e di una donna che si sono amati e stanno per lasciarsi in maniera irrevocabile, che non si vedranno più. E sarà come fossero morti entrambi, per cui il guardarsi, il toccarsi le mani, il baciarsi, l'abbracciarsi amaramente in un vagone deserto, prima di questo allontanamento, di questa morte, prenderanno di riverbero valore eterno di dramma. Un coraggioso soggetto in anticipo sul cinema, se pure il bel racconto alla Mansfield di David Lean, Breve incontro, avesse già toccato una situazione vicina, e con misura e commozione esemplari. Vicina, abbiamo detto, ma molto diversa, e quasi opposta nella sostanza. In Breve incontro l'emozione era tutta "pre", in Stazione Termini era, anzi doveva essere tutta "post", quel posto per cui l'animale, l'uomo è triste se quanto è avvenuto non avviene di nuovo. Il film di De Sica, poi che Selznick aveva fatto pesare le sue esigenze di produttore americano, non poteva restare fedele alla prima idea di Zavattini: la variante più forte, tale da mutare il senso delle vicende, riguarda proprio i rapporti dei due nel tempo precedente l'addio alla stazione. Non che non si possano dire cose patetiche nel cinema su due innamorati insoddisfatti e sul punto di dividersi per sempre. Vedi Breve incontro. Ma quell'ora e mezzo, tempo reale del film, diventa insufficiente, mentre era ideale per scandire desiderio e memoria ai limiti della disperazione entro quel moto incessante d'umanità sconosciuta, pellegrina sulla terra. E forse De Sica, che ha realizzato in maniera suprema i soggetti di Zavattini, non era neppure il regista più adatto a quella storia solo all'apparenza intimista, ma anzi violenta, febbrile, tachicardica. Perché solo a patto di essere violenta ecc.., i minuti dei due amanti avrebbero potuto veramente riempire i minuti degli spettatori. De Sica non è poeta di passioni, ma di sentimenti. Non per nulla s'era pensato di far dirigere il film a Claude Autant-Lara, che in Diable au corps aveva saputo mostrare come sia possibile, anche nel cinema, accendere il fuoco dei sensi, e lasciarlo lentamente incenerire. Ma bisogna dire che se tanti rimaneggiamenti e compromessi hanno tolto a Stazione Termini quella necessità che avevano, Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D., frutti della più felice stagione del nostro cinema, il film d'oggi è pur sempre degnissimo di esser veduto [...]. Lo schiaffo, il Commissariato, e altri episodi minori riempiono davvero un certo vuoto che la caduta di tensione di cui s'è discorso prima hanno determinato nel film? Non ci sembra, e infatti i punti più emotivi sono nei momenti in cui due si guardano, si parlano, si muovono, si stringono vicini. Semmai funzionano l'architettura implacabile, nelle sue prospettive lunghe, della stazione, gli altoparlanti, i carrelli, gli orologi insonni. Ma carabinieri e preti stranieri e pellegrini e autorità in tuba ci sono di troppo, quasi sempre immotivati; echi stanchi di più antiche, fresche trovate. Solo in questo senso, ci piace la piccola sosta e il parlottare a segni dei collegiali "mutolini", per dirla con il Pellico. Un elemento forse decisivo per il successo del film è la bravura degli interpreti, specie di Jennifer Jones, nel suo tailleur grigio appena ravvivato da una stola di pelliccia figura indimenticabile di giovane donna inquieta dei nostri tempi. Anche Montgomery Clift ha momenti assai persuasivi, ed un volto, strano a dirsi, credibilmente di italiano di romano prima dell'inevitabile ingrassamento. De Sica ha dimostrato ancora una volta di possedere consumata bravura, intelligenza e gusto non comuni. Ma diciamo arrivederci a lui e al Zavattini, per un altro episodio di quella piccola ma autentica commedia umana che hanno iniziato così bene qualche anno fa, lontano dalle schiavitù del commercialismo e dell'ideologismo.
Attilio Beitolucci Giovedì, Roma 9 aprile 1953

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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