RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
; Archivio film Rosebud; ; Archivio film Rosebud
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 

 > Aree tematiche > Cultura e spettacolo > Archivio film Rosebud > Elenco per titolo > 

Mio corpo ti scalderà (Il) - Outlaw (The)


Regia:Hughes Howard

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Jules Furthman, Ben Hecht (non accreditato); fotografia: Gregg Toland, Lucien Ballard(non accreditato); montaggio: Wallace Grissell; musiche: Victor Young; effetti speciali: Roy Davidson; scenografia: Perry Fergunson; interpreti: Jane Russell (Rio McDonald), Jack Buetel (Billy the Kid), Thomas Mitchell (Pat Garrett), Walter Huston (Doc Holliday), Mimi Aguglia (Guadalupe), Joe Sawyer (Charley Woodruff), Gene Rizzi (lo straniero), Julian Rivero (Pablo); produzione: Howard Hughes producton; distribuzione (Italia): Lux Film; origine: USA, 1943; durata: 116'.

Trama:Durante una rissa, Billy uccide un uomo e, per evitare che lo sceriffo Pat Garrett possa arrestarlo, Doc lo nasconde, ferito gravemente, in una capanna affidandolo alle cure della sua donna Rio. Tra Billy e Rio nasce un'inevitabile sentimento, ma Doc è costretto a tacere perché, braccati intanto dallo sceriffo, i tre devono fuggire. Quando Garrett li raggiunge, Doc oppone resistenza all'arresto di Billy e viene ucciso.

Critica (1):Da qualunque verso oggi lo si accosti, The Outlaw appare a disagio dentro lo stretto ruolo di responsabile dell’innesto, o meglio dell’irruzione del sesso, sotto spoglie femminili, nel genere western, ruolo assegnatogli ancor prima dell’uscita e troppo spesso riconfermato dalle successive letture critiche. Il motivo per cui il film fece epoca negli anni Quaranta sembra ora meno significativo ed altri ci paiono i punti di forza di questa pellicola stravagante, sgradevole e recalcitrante ad ogni sistemazione.
Già le vicende produttive e distributive sono tortuose. Si comincia a girare nel 1940 con Howard Hawks nel ruolo di regista e Howard Hughes in quello di produttore. Dopo soli dieci giorni di riprese, dedicate alle scene iniziali dell’arrivo di Doc Holliday a Lincoln e del suo incontro con Pat Garrett e Billy the Kid, Hawks abbandona il set. Dissensi con Hughes? Al riguardo, Hawks è diplomaticamente pungente: «Ho avuto la possibilità di fare Il sergente York, con Gary Cooper. Così ho detto a Hughes: ‘Hai sempre voluto diventare regista; perché non finisci tu questa roba?” E lui: “Pensi che possa?” Risposi: “Te lo dirò quando l’avrai fatto”. Dopo che ebbe finito il film, dissi: “Non lo so”. Non pensavo fosse gran che».
A dirigere il film passa dunque Hughes, uomo d’affari, miliardario, recordman d’aviazione, appassionato di cinema e di belle attrici, tycoon leggendario ed eccentrico, eremita volontario nei suoi ultimi anni. Il film esce nel febbraio del 1943 nella sola San Francisco. Hughes lo ritira quasi subito: «The Outlaw is banned by the censors!» La Legion of Decency si mobilita contro il film. Ma allo stesso Hughes la cosa non dovette spiacere troppo. Il film era costruito apposta perché la censura si innervosisse e gli attribuisse l’utile contrassegno dello scandalo.
Un cavallo, una donna, tre uomini
The Outlaw ricompare nel febbraio del 1946. Sono state tagliate alcune scene, due delle quali diventate nel frattempo tanto famose da indirizzare critica e spettatori su di una strada a senso unico e, tutto sommato, limitativa. Non si vedranno più Doc e Billy giocarsi a poker il diritto di scelta tra Rio e Red, la donna e il cavallo; e neppure si vedrà più Rio riscaldare, nuda (ma davvero la prima versione era tanto ardita?), il tremante e moribondo Kid per salvarlo da morte certa. La sorte del film è segnata: due uomini preferiscono un cavallo ad una donna; Jane Russell – è lei ad essere inopinatamente giudicata inferiore a Red, il cavallo roano – introduce apertamente il motivo sessuale in un genere come il western, da sempre scosso dagli spari delle pistole e dagli zoccoli dei cavalli ma non ancora minacciato da un profilo di donna più marcato dei consueto. La presenza perturbante della donna e il disprezzo riservatole dagli uomini che le girano narrativamente intorno indicano, dal punto di vista dell’evoluzione del genere, una novità sicuramente inattesa. Prostitute dal gran cuore e ragazze immacolate devote al buon cowboy avevano fino ad allora rappresentato il doppio volto tranquillizzante della presenza femminile nel western. In The Outlaw, al contrario, Rio non nasconde le proprie credenziali e per questa sua forza inquietante si vede superata da un cavallo.
Ha infatti di fronte a sé una “società di spartiati” costituita da Billy the Kid, Doc Holliday e Pat Garrett, riassuntiva dell’universo tipicamente maschile di tutto il western e non disposta a concedere spazio ad una donna, soprattutto quando essa si faccia portatrice di un elemento tanto dirompente quanto il proprio erotismo. II grado di pericolosità della presenza femminile è poi reso più acuto dall’instabilità dei rapporti fra gli uomini. C’è molto più della consueta amicizia virile tra lo sceriffo Garrett e il giramondo Holliday. L'omosessualità maschile, di norma ben protetta dal paravento del rapporto cameratesco e dalla complicità di gruppo, è da Hughes portata allo scoperto con evidente compiacimento. Mentre l’erotismo di Rio fa da specchietto per sviare le indagini dei censori, Billy, il fuorilegge per definizione cui il film si intitola, si esercita a scardinare il legame tra Garrett e Holliday e con esso tutte le amichevoli relazioni tra gli eroi del West. Il modo provocatorio con cui Billy, in una delle prime scene, lancia un perfetto anello di fumo, circolarmente allusivo, sotto il naso di Garrett, e le risposte di questi a Doc («Non ti riconosco più Doc. Ti metti contro un amico»; e poco più avanti: «Doc, questa volta tra me e te è finita sul serio, finita») indicano fin dall’inizio la natura dei rapporti mascolini. Così, se ancora lo spettatore avesse bisogno di una conferma decisiva, lo stesso Garrett, nel momento culminante dello scontro finale con Doc, sbotterà in una risibile scenata di gelosia, rivolgendosi all’amico di un tempo per rinfacciargli il tradimento col giovane Billy («Dovevo aspettarmi questo epilogo. Da quando lo conosci, mi tratti come una cane. Fin dall’inizio ti sei messo dalla sua parte. E adesso tutti ridono alle mie spalle... Sei un idiota, Doc. Ti sei schierato a fianco di quel verme schifoso, contro di me, l’unico vero amico che tu abbia mai avuto e che potresti ancora avere se non fosse per lui»). Non serve il tentativo del navigato Holliday di calmare l’amico («Dai a questa storia più importanza di quanta ne abbia. Quando ci incontreremo di nuovo, ci riderai su, vedrai»). Quella tra Doc e Billy non può essere solo un’avventura; e Garrett spara. La minaccia femminile e l’intrusione del giovane fuorilegge si sommano. La miscela di erotismo, disprezzo della donna, omosessualità maschile costituisce dunque la superficie di scorrimento del congegno narrativo di The Outlaw, una superficie, certo, piuttosto ribollente per le censure, la pruderie, le fantasie frustrate degli anni Quaranta. Ma oggi più tranquillamente attraversabile per raggiungere la zona in cui il film continua a dimostrarsi efficace.
Scacco matto
Partiamo dalla fine. Dall’happy end che i censori intendevano eliminare e che Hughes volle invece conservare a tutti i costi, non dunque conclusione posticcia ma suggello significativo. Doc Holliday, ammazzato da Garrett, giace sepolto in una tomba la cui lapide porta il nome di Billy. Garrett, giocato da Billy, sta ammanettato ad un pilastro. A cavallo di Red, Billy e Rio, i due trasgressori, galoppano verso il futuro dopo aver stravinto la partita.
E Billy ad intascare l’intera posta. È stato lui a spingere i due maturi antagonisti, eroi da strapazzo di un West colpito da un precoce autunno, ad affrontarsi in uno scontro forzato sotto la spinta di un adolescenziale attacco di gelosia. La censura ci ha impedito di vedere Billy e Doc preferire il cavallo alla donna dopo una partita di poker. Ma tutto il film è una partita a scacchi, con mosse e contromosse, finte, sacrifici di pezzi. Billy scambia la regina per un cavallo. La sua è una ardita combinazione, da segnarsi con il punto esclamativo dell’ammirazione scacchistica, che gli consente di dare matto in poche sequenze. Non si trattava di scegliere tra donna e cavallo ma di vincerli entrambi dopo aver messo fuori causa gli altri due giocatori di mezza tacca.
Il regime del film vive di scambi, commerci, trabocchetti. Ciascuno dei quattro protagonisti della partita avanza continue richieste agli altri. Si può rispondere, opporsi, cedere, concedere qualcosa pensando di ricavarne poi un vantaggio. “Nei meandri di una affabulazione delirante” (Benayoun), Doc si riprende, per poco, il cavallo che Billy gli aveva tolto. Billy intanto soffia a Doc la sua donna, Rio. Quando Billy in manette chiede a Rio dell’acqua, lei per tutta risposta quasi lo fa annegare. Doc e Billy, nelle borracce preparate da Rio, non trovano acqua ma sabbia. Billy mangia dal piatto di Doc, che glielo toglie di mano. Per tutto il film, Billy continua a servirsi del tabacco di Doc. Garrett – è la scena finale – si fa consegnare da Billy le pistole. Ma, quando tenta di fermarlo, si accorge che sono scariche. Billy le ha già scambiate con quelle di Doc, che sta sottoterra col nome di Billy sulla tomba. Nella gara a prendere e a dare, l’inganno occupa un posto di rilievo. E, prossima all’inganno, la finta, la mossa appena accennata per costringere l’altro a scoprirsi, a svelare i suoi piani. Tra le finte quelle dell’impugnare le pistole senza sparare fa decadere gli scontri tra i protagonisti da momenti fulmineamente cruciali a situazioni imperfette, zoppicanti, ambigue. In una lunga risolutiva sequenza, nella quale Hughes sfodera le unghie ancor più del solito, Doc e Billy si trovano di fronte per farla finita. Garrett li osserva soddisfatto; tifa per l’amico Doc contro l’intruso Billy («Non alzerò neppure un dito per impedirti di fargli la pelle. E a causa sua se non siamo più andati d’accordo»). Un orologio a cucù – e siamo nel New Mexico – darà il segnale per estrarre le colt. Doc, uno sfottente Walter Huston, il più centrato tra i coprotagonisti, filosofeggia: «Sai, credo proprio sia la volta buona. Gli uomini si comportano come bambini, in fondo. Hai mai visto due ragazzini picchiarsi nella strada? A guardarli si direbbe che facciano sul serio. Invece non è così. Sono buoni amici. Litigare per loro è un gioco. Ma può anche succedere che si lascino prendere la mano e allora qualcuno finisce col farsi male. Questo adesso accadrà a uno di noi due. Ma, comunque finisca, che sia io o tu ad avere la peggio, non serbiamoci rancore». Billy è (o sembra) sconcertato. Ma non resta più tempo: il cucù suona le ore. Sull’ultimo verso dell’orologio, Billy non si muove. Doc estrae le pistole a metà. Non si può ancora dilazionare la decisione e Doc provoca Billy sparandogli ad una mano. Nessuna reazione. Doc spara ancora. Il sadismo di Hughes ci mostra le orecchie di Billy fatte a pezzetti. Il Kid gioca la sua partita fino in fondo: «Quella dell’orologio non è stata una buona idea. Mi ha dato tempo di pensare e mi sono reso conto che sei il mio unico amico». Caduti gli ultimi dubbi di Doc («Stai parlando sul serio, figliolo?»), i due possono riconciliarsi a partire. Billy si serve ancora una volta del tabacco di Holliday, sulle prime sorpreso, poi accondiscendente. È Garrett ad essere sconvolto e a rinfacciare a Doc, con la furia dell’abbandonato, il suo tradimento. Poi mette mano alle pistole. Doc lo batte sul tempo; estrae per primo ma anche stavolta esita, incerto. Non così Garrett. E Doc si accascia. Billy lo tiene per mano. Garrett: «Doc, perché non hai sparato? Avresti avuto tutto il tempo. Perché? Rispondi». E Doc, lucidamente deluso: «Credi proprio sia necessario, Pat?». Le regole della partita sono impazzite. Labile è il confine tra inganno e indecisione. L’eleganza delle combinazioni nel momento dello scontro è dimenticata in questo West malato, insieme minato dai dubbi e preso per il bavero. Hughes seppellisce Holliday nel luglio del 1881 – così sta scritto sulla tomba – e non gli concede, antistoricamente, di partecipare al duello dell’O.K. Corral, qualche mese più tardi, a Tombstone. Nel confronto tra i due uomini maturi ed il giovane Billy, è quest’ultimo ad uscire vincente, senza dover sparare un sol colpo, dopo aver spinto Doc nel baratro dell’incertezza e Garrett verso la forzata esibizione di una superiorità falsa a difesa di un’immagine di sé del tutto inconsistente. II corteggiamento maschile, che per tutto il film ha continuato a svolgersi sotto forma di piccoli traffici, affonda nel ridicolo di uno scontro che nessuno più vorrebbe ma che si rivela penoso e obbligato. Gli eroi preferirebbero giocherellare come ragazzini. Un ruolo, in cui non credono più, li costringe a confrontarsi. Ma ogni ruolo è incerto, falso, contraddittorio. Lo scacco finale è davvero matto.
Moto browniano
La trasparente manifestazione del dissolvimento delle regole comportamentali del western mitizzante si rivela nell’andamento narrativo di ogni scena del film. The Outlaw è percorso elettricamente da correnti bizzarre. I vettori tematici (la sessualità femminile, l'omosessualità maschile, il gioco delle trappole...) agiscono contemporaneamente dentro tutte le sequenze, spostandole lungo un percorso segmentato, browniano, del tutto imprevedibile. Come il rapporto tra i personaggi è segnato dai reciproci colpi bassi, ugualmente Hughes carica di maligne e repentine svolte la materia narrativa.
In una stessa scena si trascorre più volte dai toni ridicolizzanti a quelli drammatici per poi tornare ai primi. Spia puntuale di questa irrisolta altalena è la colonna sonora dove si intersecano almeno tre linee musicali. Come tappeto sonoro, in funzione di sottofondo e collocazione ambientale, si usano motivi tradizionali western. A Rio tocca, certo beffardamente, un tema preso di peso dalla Patetica di Ciaikovski. Infine, ed è il livello in cui si fa più esplicita la funzione di controcanto dell’azione, la musica si sdoppia per commentare ironicamente, con caustici squittii e perfide scalette, i passi falsi dei protagonisti, e per appesantire drammaticamente i momenti di tensione.
Il passaggio tra i vari livelli è spesso improvviso e sbeffeggiante. Si veda la sequenza, canonica nel western, del seppellimento di Doc. Lo si deve commemorare, come impongono le regole del genere. Il tono di partenza pare serio. Billy chiede a Garrett di dire qualcosa. Ma Garrett non è pratico di discorsi: «Non ho mai detto niente per quelli che ho ucciso». Billy: «Per Doc credo che bisognerebbe farlo». Garrett: «Pensaci tu». Si tolgono il cappello. Billy: «Addio, Doc». Si rimettono il cappello. Billy: «Pat, mi dispiace vederti così». Garrett lo guarda con aria interrogativa. Billy: «Ieri sera ero pronto ad ucciderti; ma alla luce del sole vedo tutto molto più chiaro. Tu e Doc eravate amici da molti anni. Se non mi fossi messo in mezzo, questo non sarebbe successo». Garrett: «È incredibile con quanta facilità le strade di tre uomini possono incrociarsi e poi dividersi. Andiamo». Le battute potrebbero essere finalmente sincere. Ma si cambia subito strada. La musica diventa derisoria e villana. Billy fa un inchino a Garrett e lo invita a passare per primo, mica lo sceriffo gli spari alle spalle. Doc è bell’e dimenticato. Sono gli scarti e le divagazioni narrative a tonificare il film. Gli ossequi alla convenzione e ai luoghi comuni del western si ribaltano nel loro contrario. L’intervento degli indiani, ad esempio, serve narrativamente solo per ridare a Doc e a Billy le pistole che Garrett ha loro tolto quando è riuscito a catturarli. Ma permette a Doc di pronunciare, davanti ai segnali di fumo, una battuta come «Quest’anno i mescaleros cominciano presto», con l’aria di chi se ne intende di indiani e di film western. Nella successiva fuga a cavallo, le immagini di Rio inseguita dai pellerossa sono accompagnate da un Ciaikovski eseguito al gran galoppo. Hughes gioca e si diverte. Da miliardario, senza preoccupazioni finanziarie – il film doveva costare 440.000 dollari, ne costò quasi tre milioni e ne incassò cinque – si concede di tutto. Nei deserti del New Mexico, le folate surrealistiche scompaginano le gesta assurde e infantili di sceriffi e banditi.
Bruno Fornara,
Cineforum n. 263, aprile 1987

Critica (2):"Howard Hawks, dopo aver lavorato allo scenario e scelto gli attori, gira i primi dieci minuti del film: poi, chiamato a dirigere Il sergente York, ne lascia la realizzazione a Howard Hughes, che desiderava cimentarsi nella regia." Hawks lavora dieci giorni al film e gira la sequenza dell'incontro tra Billy the Kid e Pat Garret che nel montaggio definitivo sono le scene iniziali. Hanno una loro "cifra", quei rapidi momenti che li separa da tutto il residuo svolgimento di un lungo film, come ha scritto Gili, "d'una disperante mediocrità, lento mal interpretato e mal diretto, la regia, di grande scipitezza, non è salvata che in parte dalla fotografia di Gregg Toland". Eppure, la ulteriore versione della vicenda del leggendario giovane bandito, giustifica una sommaria attenzione anche in questo contesto. Se la realizzazione non ha rapporti con Hawks, ne hanno invece la sceneggiatura (di Jules Furthman) e la preparazione del film. E qualche impronta ne resta. In primo luogo, l'accezione personalizzata, eterodossa, con cui viene trattato il genere: i personaggi, finiscono per prevalere sull'ambientazione. Secondariamente, per la misura smaccata in cui si riaffaccia il tema della "gelosia maschile", della vana tendenza muliebre a spezzare la coppia virile, già notata in Capitan Barbablu. La bellissima meticcia Rio (interpretata dall'esordiente Jane Russell), che Hawks riproporrà come contraltare di Marilyn Monroe, tredici anni dopo, ne Gli uomini preferiscono le bionde non soltanto non riuscirà ad intromettersi nel triangolo mascolino costituito dal suo ex amante Doc Hollyday, da Billy e dallo sceriffo Pat, ma vedra addirittura il giovane che ha appena sedotto, preferirle un purosangue, quando Doc gli pone l'alternativa. Tuttavia, si deve ricordare che il tema della misoginia è stato dilatato e stravolto dall'ossessione sadica tipica di Hughes. Nel film, sottolineava Bazin, "nessuno è antipatico: è l'ordine dell'universo che conferisce all'uomo la preminenza e fa della donna un animale domestico, gradevole ma fastidioso, così che la vera bestia è ancora preferibile" (La Revue du Cinema, agosto 1948).
Nuccio Lodato, Howards Hawks, Firenze 1974

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 03/24/2011
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale