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Macchinazione (La)


Regia:Grieco David

Cast e credits:
Soggetto: Tratto dal libro "La macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte" di David Grieco ; sceneggiatura: Guido Bulla, David Grieco; fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Francesco Bilotti; scenografia: Carmelo Agate; arredamento: Salvatore Saito; costumi: Nicoletta Taranta; effetti: Paolo Galiano, Mario Zanot; suono: Gilberto Martinelli; interpreti: Massimo Ranieri (Pier Paolo Pasolini, Libero De Rienzo (Antonio Pinna), Matteo Taranto (Sergio), François-Xavier Demaison (Moreau), Milena Vukotic (Susanna Colussi Pasolini), Roberto Citran (Giorgio Steimetz), Tony Laudadio (l'avvocato), Alessandro Sardelli (Pino Pelosi), Paolo Bonacelli (il vescovo), Catrinel Marlon (La prostituta), Luca Bonfiglio (Giuseppe Borsellino), Marco D'Andrea (Franco Borsellino), Carmelo Fresta (il Principe), Carlo D'Onofrio (Er Cazzaro), Massimiliano Pizzorusso (Marione), Pietro Ingravalle (il Minaccioso), Laura Pellicciari (Graziella Chiarcossi), Cristiano Pizzorusso (Remo), Gianluigi Fogacci (il regista Alfredo Lotti), Fabio Gravina (Nino Baragli - il montatore di Salò), Emidio Lavella (Alberto Grimaldi - il produttore di Salò), Guido Bulla (Pasquale Tiberi - capo sezione MSI), Livio Brandi (Renatino), Giulia Lapertosa (moglie di Renatino), Francesco D'Angelo (Franzisko); produzione: Marina Marzotto, Alice Buttafava, Dominique Marzotto, Lionel Guedj, Vincent Brançon per Propaganda Italia, in associazione con Mountfluor Films, in coproduzione con To Be Continued Productions; distribuzione: Microcinema; origine: Italia-Francia, 2016; durata: 115'. Vietato 14

Trama:Nell'estate del 1975, Pier Paolo Pasolini è impegnato al montaggio di uno dei suoi film più discussi, "Salò o le 120 giornate di Sodoma", e nella stesura del romanzo "Petrolio", un atto di accusa contro il potere politico ed economico dell'epoca. Intanto, da mesi ha una relazione con Pino Pelosi, un giovane proletario romano che ha legami con il mondo criminale della capitale. Una notte, alcuni amici di Pelosi trafugano il negativo di Salò e chiedono un riscatto. Tuttavia, il vero obiettivo non sono i soldi, ma Pasolini...

Critica (1):“Voglio fare subito un ringraziamento e una precisazione. Il primo è per l’atto di coraggio che rappresenta questo film, che deve tutto alla costanza e alla grinta di Marina Marzotto, al suo primo film in assoluto come produttrice; la seconda è che il nome che vedete di Pasquale Tiberi nel ruolo del caposezione MSI è quello di Guido Bulla, che è anche tra gli sceneggiatori del film. Bulla non è più tra noi ed io penso di poter dire che abbiamo perso un nome importante per il nostro cinema”.
Così David Grieco ha aperto la conferenza stampa di presentazione del film La macchinazione, il suo nuovo lavoro che trae direttamente spunto da una rilettura degli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini. All’incontro partecipano, oltre al regista, Massimo Ranieri, che è un Pasolini di inquieta aderenza; Libero De Rienzo, Antonio Pinna, tra i ragazzi di vita all’idroscalo; Alessandro Sardelli, per la prima volta sullo schermo nel ruolo centrale di Pino Pelosi; e poi Matteo Taranto (Sergio), Luca Bonfiglio e Marco D’Andrea (i due fratelli Borsellino); Roberto Citran nel ruolo del misterioso Giorgio Steimetz; e la presenza di Milena Vukotic, una sensibile Susanna Colussi Pasolini, mamma del poeta.
“Film corale – aggiunge David Grieco – che mette un campo tanti fatti, tante ipotesi, tante cose successe e altre mai accadute. Ma è il bello della libertà narrativa di un regista. Mi chiedete se mi aspetto che arrivi qualche denuncia? A dire il vero ci spero, sarebbe la benvenuta per aiutare a fare chiarezza su troppi punti ancora oscuri. Quando Pasolini e Steimetz si incontrano, io invento i dialoghi. I due in realtà non si sono mai parlati ma tra loro corrono suggestioni che sfiorano forse la verità”.
Massimo Ranieri mette in evidenza la novità principale del copione: “Tutti i film finora trattavano solo della omosessualità di Pasolini. Questo cercava di evitarlo per correre alter strade e io ho detto a Grieco che avevo paura di misurarmi con un personaggio così forte e fino all’ultimo ho provato qualche brivido. Ho avuto la paura psicosomatica del personaggio.” Alla domanda come mai il film non è andato a qualche festival, Grieco risponde: “A qualche festival estero lo avevamo inviato. Ma poi ho pensato che questo film doveva uscire prima in Italia. E aveva bisogno di tempo. All’estero l’omosessualità di Pasolini non è un problema. Da noi ci sono difficoltà, e ancora oggi la sua figura suscita reazioni violente. Comunque faremo altri tentativi.” Il processo a Pelosi –ribadisce Grieco – è il concentrato di tutte le fandonie possibili. Ci sono poche cose vere e noi faremo di tutto per fare riaprire il caso”.
In sede di regia, Grieco risponde a chi lo accusa di uno stile eccessivamente sovraesposto: “Ho fatto un film volutamente anni ’70. Sul set era come se fossi a girare nel dicembre 1975. Ho fatto un film di pancia. Non ho fatto un film ‘figo’ perché sarebbe stato un insulto per Pasolini. Inoltre i Pink Floyd, che amo particolarmente, sono stati gentilissimi nel concedermi la musica a buon prezzo. Posso dire che gli attori, da Ranieri a tutti quelli utilizzati anche esordienti, rappresentano nel film i miei effetti speciali. Alla fine ho cercato di rovesciare il mito Pasolini nelle due facce positive e negative.” (...)
Massimo Giraldi, La rivista del cinematografo, cinematografo.it

Critica (2):Partiamo dai fatti. Cosa vi hanno raccontato, più di 40 anni fa. sulla morte di Pier Paolo Pasolini? Che il poeta, quella sera, si recò alla Stazione Termini e incontrò un ragazzo, tale Pino Pelosi detto »la rana°, che non aveva mai visto prima; che i due concordarono una prestazione sessuale ma che per metterla in atto. chissà perché, andarono fino all'Idroscalo di Ostia (un viaggio di una cinquantina di chilometri): che una volta a Ostia Pelosi cambiò idea, non volle più far sesso e che per questo il poeta cominciò a picchiarlo: che Pelosi si ribellò, impugnò l'asse di una staccionata e con quella ridusse il poeta in poltiglia (lui, ragazzetto esile contro un uomo robusto e assai abituato a difendersi), salvo poi passargli sopra con la macchina di Pasolini medesimo (Pelosi non aveva la patente) che poi venne ritrovata all'altro capo di Roma; che il cadavere fu trovato la mattina dopo da una danna che, ironia dell'onomastica, faceva di cognome Lollobrigida; e che alla fine Pelosi venne giudicato unico colpevole.
Guardiamoci negli occhi, cari lettori: qualcuno di voi ha mai creduto a questo cumulo dì assurdità? Sicuramente non ci ha mai creduto David Grieco, all'epoca giornalista dell'Unità e amico di Pasolini (aveva recitato in Teorema e più volte collaborato con lui), in seguito sceneggiatore, scrittore e regista. Come sapete, nell'ottobre del 2015 David ha pubblicato con Rizzoli un libro che si chiama come il film, La macchinazione. Il film era già pronto. Sarebbe potuto andare a Venezia, che l'anno prima aveva presentato quell'orrore firmato da AbelFerrara. Non è stato preso e non vogliamo sapere perché. Sappiamo – l'ha raccontato lui più volte – che Grieco era stato contattato da Ferrara per scrivere il suo film e non l'ha fatto per divergenze artistiche insanabili. Ferrara ha raccontato di un intellettuale che viene ucciso durante una scorribanda sessuale. In La macchinazione
il sesso non c'entra nulla. La ricostruzione di Grieco – che nel libro è argomentata con la precisione di un saggio, nel film è messa in scena come un apologo – va in tutt'altra direzione.
Tale direzione ha un nome: Petrolio. Nel film, Pasolini – uno stupefacente Massimo Ranieri – sta lavorando su questo testo, raccogliendo notizie su tutti i misteri dell'Italia del dopoguerra. Le fonti riconducono spesso al nome di Eugenio Cefis, friulano come Pasolini e quasi suo coetaneo (era nato nel 1921), presidente di Eni e Montedison, coinvolto (e limitiamoci a dire "coinvolto") nella morte di Mattei, fondatore della P2 quando di Gelli ancora nulla si sapeva. Pasolini ne fa il protagonista di Petrolio, con l'ameno alias di Troya. Rintraccia un libro davvero uscito nel 1972 e poi scomparso, Questo è Cefis di Giorgio Steimetz, nome d'arte di uno scrittore mai identificato. Incontra Steimetz (lo interpreta Raberto Citran, è una scena di fantasia, l'incontro non ci fu mai) che lo mette in guardia. Nel frattempo alcuni balordi, amici di Pelosi che Pasolini in realtà frequenta da mesi, rubano con la complicità del ragazzo la pellicola di Salò. È un furto su commissione: dietro c'è la banda della Magliana, che chiede un riscatto, Pasolini rifiuta, non si fida. Poi, convinto da Pelosi, accetta. la trappola mortale.
Fermiamoci qui. A suo modo La macchinazione è un thriller, quindi il finale dovete scoprirlo al cinema. Come si diceva, è anche un apologo come lo erano alcuni film di Pasolini (Teorema, Porcile, lo stesso Salò). Grieco alterna scene rigorosamente vere e documentate a ipotesi poetiche, come il finale in cui l'Idroscalo di Ostia viene cancellato da uno squadronedi pozzi di petrolio semoventi. Qualcuno gli farà le pulci per questa alternanza di realismo e invenzione, senza pensare che è la stessa operazione (romanzo sì, romanzo no?) messa in atto da Raberto Saviano in Gomorra. La macchinazione propone una lettura politicamente durissima di un mistero, a guardarlo bene, nemmeno tanto misterioso. È un film magari imperfetto, ma assolutamente indispensabile.
Alberto Crespi, l'Unità, 24/3/2016

Critica (3):Per una curiosa, involontaria coincidenza, quando due anni fa nell’articolo scritto nel primo piano dedicato da “Cineforum” n. 539 al Pasolini di Abel Ferrara, “L’ultima tentazione di Pasolini”, auspicavo, anzi rimpiangevo neanche tanto provocatoriamente che quel film non l’avesse fatto con ben altra competenza e cognizione di causa l’altro Ferrara, il sempre bistrattato Giuseppe Ferrara, già coraggioso e spregiudicato autore di Cento giorni a Palermo, Il caso Moro, Giovanni Falcone e I banchieri di Dio, ignoravo che fosse in predicato un film parallelo su Pasolini. E francamente ci voleva, dopo quel Pasolini, questo La macchinazione, alternativo, ugualmente proprio sugli ultimi giorni di vita di Pasolini, ma speculare per modo di dire, poiché orgoglioso del proprio impianto dietrologico, informato dei fatti.
Ora, comunque lo si voglia giudicare, La macchinazione, che David Grieco ha realizzato sulla scorta dell’omonimo libro pubblicato l’anno scorso per Rizzoli, La macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte, è un film serio, appassionato. Insomma, che non te la manda a dire. Un film sincero, come l’avrebbe fatto appunto Ferrara. Con quello che non è tanto un difetto, ma una scelta consapevole: abbracciare la pista del complotto senza se e senza ma, tirando diritto, ben sapendo e dichiarando (nella didascalia inaugurale) la diuturna e proverbiale inadempienza di contro degli intellettuali italiani verso le questioni scottanti.
Non è un caso che si sente spesso, da parte di qualche guru della cultura nazionale, dichiarare fieramente il proprio disinteresse, anche a proposito del “cadavere eccellente” di Pasolini, per le investigazioni, quantunque anche queste siano diventate un genere letterario a se stante e spesso facciano tendenza. Ma non è certo per maggiore impegno conoscitivo che si rifiuta di indagare, di sapere, di capire da parte loro, bensì per comoda posizione di rendita. Lasciando sdegnosamente e altezzosamente che della morte di Pasolini in chiave politico-indiziaria, o giudiziaria se ne occupino altri, sempre altri.
Ecco, la stessa sufficienza verso La macchinazione, mascherata da ortodossia della messa in scena e in quadro, coincide di fatto con quest’atteggiamento generalizzato, aristocratico e di comodo nei confronti della “dietrologia”, fisiologico atteggiamento di un paese come l’Italia in cui – diceva Norberto Bobbio – è molto difficile, se non impossibile invece “vedere cosa c’è davanti”.
La macchinazione, pregi e difetti, non ha importanza, è un film che si assume una precisa responsabilità: quella di sacrificare la forma al contenuto, la prudenza al determinismo, per una volta sposando in pieno le tesi del poeta Gianni D’Elia, che per primo e clamorosamente ha portato alla ribalta la lettura comparata di Petrolio con il libro fantasma del fantomatico Giorgio Steimetz dal titolo Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, edito dall’Agenzia Milano Informazioni, nel 1972. Il libro, come ricorda La macchinazione, scompare immediatamente dalla circolazione, per essere ripubblicato dall’editrice milanese Effigie solo nel 2010. D’Elia nel suo Il petrolio delle stragi, edito sempre da Effigie nel 2006, aveva ricondotto l’omicidio di Pasolini a quello del presidente Enrico Mattei, alla successione ai vertici dell’Eni, cioè alle impressionanti argomentazioni contenute nel fatale e invisibile Questo è Cefis.
Grieco, amico e collaboratore di Pasolini in tempi non sospetti, diversamente da coloro i quali, tutti o quasi, ne parlano, lo rievocano, si smarriscono in proclami o aneddoti di scarsa rilevanza, autoreferenziali, che fa? Decide invece di procedere (il che, cinematograficamente parlando vuol dire anche “processare”) senza indugi, per conto suo, eliminando dubbi, spazzando incertezze. Si costituisce, comunque con grande onestà intellettuale, parte civile, arrivando a rinunciare, crediamo per eccesso affettivo e non per supponenza, al principio pur indispensabile in un’inchiesta ortodossa e rigorosa di falsificare le proprie certezze in continuazione.
Gli si può forse rimproverare questo surplus di sicurezza dimostrativa, didascalica, senza sfumature né mezzi termini, ma non di aver scelto scorciatoie estetiche, pruriginose, menzognere. Gli si può rimproverare di aver voluto un attore come Massimo Ranieri, che non ha l’età di Pasolini. Ma non far finta che nella sua sobrietà e turbata pensosità, nonché nell’aderenza fisica (dove trovare un volto altrettanto scavato in una società dello spettacolo di attori pascenti e pasciuti), Ranieri riesca dal principio a darsi a vedere come simulacro di spessore in grado di far dimenticare persino il problema dell’evidenza immediata.
Certo, il prezzo maggiore che paga La macchinazione è quello dell’appartenenza, volente o nolente a un genere. Già perché ormai quello dei film pregressi su Pasolini, tutti inutili e sostanzialmente volgari, prima ancora che brutti, con la sola eccezione di Pasolini - Un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, è diventato un genere nazionale, con attori che si avvicendano nell’improbabile e insostenibile pratica mimetica. La macchinazione è al contrario, pur trovandosi confuso in questa mischia, un’opera schietta, che sa farsi perdonare ciò che può legittimamente non piacere, a cominciare dall’eccessiva causalità nella concatenazione degli eventi.
Questo perché fa trasparire in ogni sua piega comunque l’autenticità, la competenza, il senso civile, lo spirito di servizio, anche a costo di semplificazioni marcate. Del resto se Grieco ha sentito il bisogno di scegliere sempre la linea retta per unire due punti è perché si rende conto molto bene che il nostro è un paese cronicamente afflitto da un “deficit di verità”, che finisce per fare sempre il gioco di tanti, a livelli diversi, di minima o massima compromissione. E nel cui novero rientrano anche coloro i quali preferiscono parlare d’altro, occuparsi di aspetti per così dire più “importanti” anziché sguazzare – bontà loro – nella palude dietrologica, sempre insidiosa, poco conveniente quando si cerca la promozione colta, individuale.
La macchinazione, piaccia o no, è un film che non va tanto per il sottile, che marcia senza sosta nel chiarire puntualmente l’opacità del contesto, portare a tutti i costi la luce nelle zone d’ombra. Un film non privo tuttavia di spunti preziosi (basta osservare attentamente il mosaico di testi sulla scrivania del protagonista per farsene un’idea circostanziata, oltre che filologicamente corretta), che così reagisce alla solfa del già detto, del già visto, rilanciando, colmando la misura, inducendo chi di dovere magari a tornare sul luogo del delitto, riaprire il caso, affrontarlo nelle sedi competenti, magari nel breve termine.
Dunque, un film esplicito, alla Ferrara, Giuseppe e non Abel, per sua e nostra fortuna. Il miglior complimento o incoraggiamento, oggi, che gli si potrebbe fare.
Anton Giulio Mancino, cineforum.it, 26/3/2016

Critica (4):
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