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Giorno di festa - Jour de fête


Regia:Tati Jacques

Cast e credits:
Soggetto: Henri Marquet, Jacques Tati; sceneggiatura: Jacques Tati, Henri Marquet, René Wheeler;
fotografia: Jacques Mercanton, Marcel Franchi; musiche: Jean Yatove; montaggio: Marcel Moreau; scenografia: René Moulaert; costumi: Jacques Cottin; interpreti: Jacques Tati (Franoçois), Guy Decomble (Roger), Paul Faulkner (Marcel), Santa Relli (moglie di Roger), Maine Vallée (Jeannette), Roger Rafal (il parrucchiere), Jacques Beauvais (il barista), Delcassan (la comare); produzione: Fred Orain per Cady Films; distribuzione: Ripley's Film in collaborazione con Viggo; (2016); origine: Francia, 1949; durata: 79'
Il negativo originale della versione in bianco e nero del 1949 è purtroppo andato perduto e dopo l'uscita della versione a colori inedita nel 1995, non è stato condotto nessun lavoro sulle due versioni in bianco e nero concepite da Tati. Nel 2012, questa prima versione in bianco e nero è stata digitalizzata in 4K a partire da due controtipi positivi d'epoca su supporto nitrato conservati presso gli Archi- ves Françaises du Film. Anche il sonoro a densità variabile è stato tratto da questi due controtipi positivi combinati.

Trama:La quiete del villaggio di Saint Sévère viene sconvolta per la giornata di festa. Vengono montate giostre e tiro a segno e un tendone per proiettare un film. Tutti gli abitanti preparano gli abiti "buoni". Il postino François, che ha appena visto un documentario sull'efficenza delle poste negli Stati Uniti, si lancia con la sua bicicletta in inseguimenti spericolati. Tra le burle dei compaesani, finisce in una corsa ciclistica e ha altre disavventure finchè la sua bici se ne andrà da sola come dotata di vita autonoma e lui concluderà che l'efficienza statunitense non si adatta alla campagna francese.

Critica (1):Il titolo stesso è in sé una metafora della Liberazione - non dimentichiamo che il film fu girato tre anni dopo – dell'euforia e delle celebrazioni che suscitò in tutta la Francia. La lunga scena dell'innalzamento di un palo con il drappo tricolore ha un'innegabile valore simbolico. (…) Per sottolineare ancora la metafora, trovo assai pertinente un'osservazione di Sophie Tatischeff [figlia di Jacques Tati] sulla somiglianza del postino con il generale De Gaulle nella scena in cui, visto in primo piano di spalle, saluta dal balcone del caffé la fanfara che arriva nella piazza del paese. Non è così incongruo se si pensa all'alta taglia, all'uniforme, al képi del personaggio... Nello stesso ordine di idee si potrebbero assimilare le prodezze fisiche (Jour de fête è senza dubbio il più fisico e keatoniano dei film di Tati) del postino che cerca di rivaleggiare con la posta americana, agli sforzi di De Gaulle per preservare l'identità, la grandeur della Francia di fronte all'egemonia americana del dopoguerra in Europa. Ma questo paragone non spiega certo tutto il film...La specificità di Jour de fête risiede prima di tutto nella sua armonia generale e nella fluidità che il tragitto del postino con la bicicletta imprime al suo svolgimento. Armonia visiva, innanzitutto, quella di un paesaggio (...) che apre e chiude il film, dove si iscrivono una ad una le case del paese, poi le fiere e gli abitanti. È la Francia del passato, che Tati contrapporrà nettamente, in Mon oncle, al mondo moderno, duro e ermetico; un mondo che invaderà tutto lo spazio in Playtime. Ma in Jour de fête non c'è nessuna dicotomia: le fiere e le loro attrazioni si fondono dolcemente nell'universo bonario del paese di Sainte-Sévère (sic) (...); il servizio di posta americana, vista in un documentario, è un elemento fantastico, talmente irreale nel contesto che serve piuttosto da motore poetico che ispira la gestualità del postino; le beffe di cui è l'oggetto non sfociano né nell'alienazione né nel dramma. Infine il giro finale, capolavoro di virtuosità acrobatica, che è allo stesso tempo frenetico e assurdo (François consegna ogni volta le lettere nel modo più esilarante, ne appunta una su un forcone, ne infila un'altra nella mietitrice), è di un'assoluta bellezza formale e cinetica.
Vincent Ostria, Couleur locale, "Cahiers du cinéma", n. 487, gennaio 1995, dal sito della Cineteca di Bologna

Critica (2):Giorno di festa uscì nel 1949 in bianco e nero. Ma Tati non si rassegnò e nel 1961 fece in modo che questo lungometraggio venisse colorato con un sistema artigiana-le denominato "au pouchoir" che evidenziava alcuni oggetti come il fanalino della bici di François o i palloni e le e bandiere della festa.
Tre anni prima intanto, l'autore francese era finalmente riuscito a girare il suo primo film a colori, Mon oncle. E da questo lungometraggio si può ben vedere come l'aspetto cromatico fosse per lui determinante ai fini della narrazione filmica; i colori pastellati di Saint-Maur, quartiere in cui la vita era ancora genuina e non schiava del capitalismo, si contrapponevano agli innaturali verdi e rossi dell'abitazione degli Arpel nel quartiere di Créteil, rione ormai in balia dello smisurato progresso tecnologico. Colori non vistosi, neutri, simili alla vita di Saint-Maur, caratterizzano anche il villaggio di Saint-Sévère di Giorno di festa. Le immagini dei contadini al lavoro, dei paesani ben vestiti che si preparano alla festa, sembrano figlie di certi dipinti "en plein air" dei pittori impressionisti. La festa, con il paese tutto imbandierato dove spiccano alcuni rossi accesi, ricorda invece alcune tele di Dufy.
Giorno di festa è un'opera innovativa e non soltanto per quel che riguarda il colore. E probabilmente non è un caso che questo film abbia inaugurato in Francia le celebrazioni per il centenario.
Tati, alla fine degli anni Quaranta, riesce a resuscitare il film comico non solo in Francia ma anche in Europa. Dopo L'arroseur arrosé e le esperienze francesi di Max Linder, il burlesque aveva attraversato l'Oceano e sembrava che non volesse più tornare nel vecchio continente. In Giorno di festa invece, il gag visivo torna prepotentemente in primo piano: i giochi di gambe del porta-lettere François sono degni dell'agilità corporea di un Chaplin (entrambi, del resto, si erano formati sulle scene dei music-hall), la sua faccia impassibile e velata di una sottile tristezza non è lontana da quella di Buster Keaton (Hulot, il successivo protagonista dei film di Tati, gli assomiglierà ancora di più).
La comicità "muta" di Tati è più vicina a Keaton che a Chaplin soprattutto per ciò che riguarda la funzione dell'oggetto nel complesso meccanismo costruttivo del gag. La sequenza della bicicletta che comincia a correre a sola assumendo una velocità incontrollata dimostra come questo singolare mezzo di locomozione, oltre a mantenere una sua autonomia, venga promosso al rango di personaggio. E non è un caso che anche in un film i Keaton, Come vinsi la guerra, sia proprio un altro mezzo di trasporto (la locomotiva) uno dei protagonisti del film. Anche questo oggetto risulta determinante alla costruzione del gag.
In Chaplin l'oggetto aveva una funzione ben più subordinata: era soltanto uno dei tanti elementi che servivano a Charlot per far scattare la comica finale, basata unicamente su disgrazie fisiche personali. Nei film di Chaplin poi, le inquadrature (primi piani o piani ravvicinati) privilegiavano sempre il protagonista: c'era sempre lui al centro dell'azione. In Giorno di festa invece Tati utilizza dei campi lunghi per permettere anche agli altri personaggi di far parte di un "collettivo gioco comico". Questa democratizzazione delle parti è visibile soprattutto nella prima parte del film (i preparativi della festa, la festa) quando le inquadrature, oltre a comprendere più azioni in contemporanea, sono inusualmente lunghe per un film comico. Il gag poi può scattare anche in assenza del protagonista, oppure è François stesso che trasforma un altro personaggio del
film in principale artefice della "trovata": è il caso della scena in cui il postino incarica un paesano con gli occhi storti di piantare un palo, spostandoglielo a seconda della direzione dell'occhio. Questo gag era già stato utilizzato da Ben Turpin e Tati ha voluto, in questo modo, rendere un ennesimo omaggio al cinema muto. E in questa frazione dell'opera c ne Tati sta mettendo a punto una comicità personale (che verrà poi meglio sviluppata nelle opere successive), basata sull'osservazione del microcosmo del villaggio, delle sue abitudini, delle sue manie. E una comicità nuova, "realistica" che non tende soltanto a far ridere lo spettatore, ma si burla di piccoli "tic" del francese dopo la Seconda guerra mondiale. Lo spettro del capitalismo comincia a insinuarsi nel cinema comico di Tati: le automobili che vengono dalla città e con il loro rumore turbano la quiete di Saint-Sévère, e soprattutto il documentario sui postini americani. Tati, ironizzandoci sopra, sottolinea come il sistema di vita dei cittadini statunitensi sia in pieno contrasto con i ritmi e le abitudini europee. Eppure anche per l'abitante del più sperduto paesino della Francia, gli States rappresentano un "Eden" di efficienza. Il "giro all'americana" di François provoca un cambio di marcia impressionante, e non del tutto omogeneo, al ritmo della pellicola: inquadrature più brevi, dialoghi più veloci e farfugliati, gags che si succedono una dietro l'altra. Sembra di essere entrati, a questo punto della pellicola, in un film di Mack Sennett. E dai disastri provocati dal postino (il paio di scarpe tagliate dal calzolaio, perchè consegnate troppo velocemente da François, la gara di ciclismo, le lettere timbrate su un camion in corsa fino al tuffo nel fiumiciattolo con la bici) Tati conclude che l'abituale lentezza del portalettere si adattava meglio alle abitudini di Saint-Sévère. E questa sua visione di "passéiste" il regista ce la regala in una delle ultime immagini del film dove vediamo François al lavoro con gli altri contadini.
Spettro del capitalismo dicevo. Ebbene, questa tematica utilizzata per fini comici sarà sempre presente nel cinema di Tati. Nel suo quarto lungometraggio, Playtime, si vedranno invece gli effetti nefasti che un decennio di incontrollato progresso ha prodotto: palazzoni giganti in vetro e in acciaio, luci al neon, uffici-labirinto, Parigi che non si differenzia da, ad esempio, Monaco o Brasilia e dove i monumenti (la Tour Eiffel) si possono vedere soltanto riflessi attraverso i vetri di un ufficio.
Tati è un nostalgico e Giorno di festa lo dimostra. La nostalgia è per un certo modo di vivere che ormai sta passando di moda. Con questo film, egli è riuscito ad ampliare la visione sulla Francia agreste già contenuta in La scuola dei portalettere, un cortometraggio di venti minuti girato l'anno prima, in cui il protagonista era sempre François.
Il regista francese, nel girare questo film, deve aver avuto in mente altri film di ambientazione agreste: La casa degli incubi di Becker, Farrebique di Rouquier. E la vecchia comare con la capra – la cui voce fuori-campo ci introduce, come il prologo di una commedia di teatro della Grecia classica, nella vita del paese – somiglia al bucolico uomo con la capra de Il silenzio è d'oro.
Giorno di festa non è soltanto un film comico. L'andamento descrittivo, realistico, ci potrebbe far vedere l'opera come il resoconto della situazione di un villaggio francese dopo la Seconda guerra mondiale. Nel film possiamo distinguere infatti tre tipi di cronaca: 1) cronaca filmata (il documentario proiettato dentro il cinema del villaggio che descrive l'efficacia professionale dei postini americani; il film stesso che evidenzia i preparativi di un piccolo paese alla festa). 2) cronaca verbale e (la vecchia comare che descrive le abitudini e i vizi di Saint-Sévère). 3) cronaca disegnata (il pittore che non dice una parola in tutto il film, ma si trova sempre
nei luoghi dove avvengono gli episodi più divertenti e li riproduce fedelmente sulla tela).
Il realismo di Giorno di festa fu immediatamente sottolineato all'uscita del film. Qualche critico più ardito arrivò a dire che l'importanza della bicicletta per François non era inferiore a quella che aveva per Antonio Ricci i in Ladri di biciclette. Vedendo poi l'opera succesiva di Tati, Le vacanze di Monsieur Hulot, si può vedere che Tati era più vicino ai registi italiani neorealisti di quanto si poteva inizialmente credere. L'impassibile narrazione del viaggio di Hulot e della monotonia della vita vacanziera in Bretagna non era dissimile da quella dei due coniugi inglesi di Viaggio in Italia.
In Giorno di festa è presente un altro fattore innovativo che ci fa distinguere Tati dal cinema comico muto: il gag sonoro. A far scattare il meccanismo del riso non sono delle battute di carattere verbale. François infatti non parla ma brontola, farfuglia, emette suoni incomprensibili che si trasformano in gag soltanto per il loro carattere onomatopeico. Anche i dialoghi degli altri personaggi del film, oltre a essere pochi, sono anche superflui e inutili, come nella scena muta dell'idillio tra Roger e Jeannette. Nessuno dei due dice una parola. Sono i dialoghi di un western americano, Les rivaux de l'Arizona, che parlano per loro nel momento in cui incrociano i loro sguardi. Sulla voce off dell'attore yankee
(«Daphné, I love you»), Roger, muto, sembra avere i gesti di un cow-boy. Durante la replica dell'attrice («Oh, Jim!»), Jeannette abbassa lo sguardo sorridendo. I rumori provocati dagli oggetti o dagli uomini fanno scattare il gag (il fruscio dell'erba causato dai passi di un François ubriaco, lo scampanellio della bici). Il gag della vespa poi dimostra quanto è importante l'elemento sonoro per il cinema di Tati. Se noi vedessimo questa scena come in un film muto, faticheremmo a ridere, anche con l'aiuto delle didascalie. E proprio il ronzio dell'insetto che prima dà fastidio a François e poi al contadino, abilmente ripreso in campo lungo per vedere non solo la reazione di chi agisce ma anche di chi guarda, che fa scattare il gag. Un gag insolito, non portato immediatamente alle estreme conseguenze, ma più volte utilizzato all'interno della pellicola. Il meccanismo comico basato sulla ripetizione consente a Tati di utilizzare più volte questa trovata senza che possa mai diventare noiosa e ripetitiva.
La riedizione di questo film consentirà, soprattutto ai più giovani, di scoprire un comico molto popolare negli anni Cinquanta ma caduto nel dimenticatoio dopo il fallimento commerciale di Playtime. Eppure i personaggi di François e Hulot hanno condizionato non poco comici come il Woody Allen di Prendi i soldi e scappa e Bananas, Jerry Lewis e Nichetti.
Simone Emiliani, Cineforum n. 344, 5/1995

Critica (3):

Critica (4):
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