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Vertigine - Laura


Regia:Preminger Otto

Cast e credits:
Soggetto: Vera Caspary; sceneggiatura: Jay Dratler, Samuel Hoffenstein, Elizabeth Reinhardt; fotografia: Lucien Ballard, Joseph LaShelle; montaggio: Louis R. Loeffler; musiche: J. Fred Coots, Haven Gillespie, David Raksin; interpreti: Gene Tierney (Laura), Dana Andrews (Mark McPherson), Clifton Webb (Waldo Lydecker), Vincent Price (Shelby Carpenter), Judith Anderson (Ann Treadwell), Dorothy Adams (Bessie Clary); origine: USA, 1944; durata: 85'.

Trama:Laura Hunt viene trovata assassinata nel suo appartamento di New York con il volto sfiguratoo. Il detective Mark McPherson è incaricato delle indagini. Attraverso le testimonianze di chi ha conosciuto Laura e leggendo le sue lettere e il suo diario, McPherson inizia a conoscere la donna e lentamente se ne innamor. Egli è ormai ossessionato e con la scusa delle indagini si intrattiene sempre di più nell'appartamento di Laura in contemplazione del ritratto posto sopra il caminetto. Una notte, McPherson si addormenta sotto il ritratto e viene svegliato all’improvviso dal rumore di qualcuno che entra nell’appartamento: è Laura, che appare come un sogno o un fantasma.

Critica (1):Tratto da un romanzo di Vera Caspary, adattato per il grande schermo da Jay Dratler, Samuel Hoffenstein e Betty Reinhardt, Vertigine è uno dei capolavori assoluti del noir americano degli anni Quaranta. Uscito nel 1944, nello stesso anno dell’analogo La donna del ritratto di Fritz Lang, il film è stato diretto dal regista austriaco trapiantato a Hollywood Otto Preminger (che ha sostituito a riprese già avviate Rouben Mamoulian), diventando immediatamente un caposaldo del cinema nero e trasformando la sua protagonista, la seducente femme-fatale Gene Tierney, in una delle maggiori star dell’epoca. Il complesso intreccio costruito da Preminger ruota attorno alla figura di Laura Hunt, una giovane pubblicitaria vittima di un brutale omicidio del quale si occupa il detective Mark McPherson; attraverso le testimonianze delle persone che l’avevano conosciuta, il film ripercorre con una serie di flashback gli ultimi giorni di vita della donna prima della sua morte, coinvolgendo lo spettatore nella ricerca di una verità tanto torbida quanto inafferrabile. Ma dopo un inizio che si attiene agli schemi del murder-mystery tradizionale, ben presto Vertigine si trasforma nella storia di un’ossessione, quella nella quale precipiterà il tenente McPherson nel corso della propria indagine: un’ossessione morbosa ed intrisa di necrofilia per una donna-fantasma (come accadrà anche in Vertigo di Alfred Hitchcock), la cui presenza viene evocata dall’immagine di un ritratto, elemento tipico del genere noir. Almeno fino alla metà del film, quando un sensazionale colpo di scena ribalterà completamente l’intera vicenda per aprire nuovi inquietanti interrogativi sul mistero di Laura. Oltre alla magistrale regia di Preminger, capace di creare un’atmosfera perversa e angosciosa dai risvolti onirici, contribuiscono alla riuscita della pellicola la cupa fotografia di Joseph LaShelle, premiata con l’Oscar; i taglienti dialoghi della sceneggiatura, che regalano alcune battute memorabili; la colonna sonora di David Raskin, con il celeberrimo tema musicale "Laura"; ed un formidabile cast di attori, incluso l’eccellente Clifton Webb nella parte dell’intellettuale Waldo Lydecker, personaggio sofisticato ed eccentrico dotato di una mordace ironia. La prima parte del film può risultare forse più intrigante della seconda; gli amanti del giallo, comunque, non resteranno delusi da questo indimenticabile classico.
mymovies.it

Critica (2):Sera. Pioggia battente. McPherson/Dana Andrews percorre il marciapiede che conduce al portoncino della dimora di Laura/Gene Tierney. Scambio di battute con il poliziotto di guardia: amichevole ma autoritario. Una volta dentro, si muove come se fosse a casa sua . Tra vestibolo, soggiorno e camera da letto: si mette a suo agio, allenta la cravatta, spegne la sigaretta in un portacenere, estrae un fazzoletto di seta da un cassetto in camera, si guarda allo specchio dell’armadio accennando a sistemarsi i capelli. Infine si versa da bere. Si impossessa di quell’ambiente, senza rendersi conto di esserne in realtà già posseduto. Ci pensa subito Waldo a chiarirgli le idee: l’irruzione risulta un po’ troppo didattica, anche se inizia in modo molto promettente, ma per fortuna dura poco. McPherson ritorna al bicchiere e alla sua rêverie di fronte al ritratto della “defunta”: il sonno lo accoglie aprendogli le porte di una realtà stupefacente. Laura gli compare davanti, viva. Per un attimo tutto vacilla, ma poi i riflessi professionali rimettono i ruoli a posto e tirano la volata dell’affidabilità del maschio, forte e innamorato: «Si tolga l’impermeabile bagnato, potrebbe ammalarsi».
Quintessenza del noir, questa sequenza di Laura di Otto Preminger, morbosa quanto poche altre, dove i confini tra lecito e illecito si disfano sotto le apparenze dell’attaccamento al dovere. L’apparizione luminosa di Laura è di una immoralità spudorata: il desiderio più inconfessabile non soltanto resta impunito, ma risulta alla fine addirittura premiato oltre ogni speranza.
E in questa apologia della perversione Preminger trova il modo anche di incastonare una raffinata soluzione linguistica. Quando McPherson si addormenta, l’inquadratura si conclude con un carrello indietro, che ha evidente funzione temporale e sostituisce altrettanto evidentemente una dissolvenza: quest’ultima, infatti, se messa lì sul primo piano di una persona che si è appena assopita, caricherebbe l’inquadratura successiva di una valenza onirica in questo momento scorretta, dal momento che Laura entra veramente nella casa. Per la gioia di McPherson e la nostra.
Adriano Piccardi, in Bagagli, Cineforum n. 346, luglio/agosto 1995

Critica (3):Vertigine o Laura? Il titolo italiano (forse il più pertinente, per una volta) o il titolo originale (semplicemente il nome di una donna, forse troppo banale?). Tentiamo di rispondere, cerchiamo anche noi le prove come il detective protagonista Mark McPherson. Siamo nel 1944, il periodo d’oro del noir classico, quando un ostinato regista viennese emigrato a Hollywood da qualche anno riesce a imporre la sua visione alla Fox di Zanuck e a dirigere (oltre che produrre) l’adattamento di un romanzo che aveva molto amato. Inizia qui la vera avventura di Otto Preminger in America (sin lì molto contrastata), inizia qui la sua fortuna critica e cinefila, inizia qui la collaborazione con le sue due icone attoriali indiscusse: Gene Tierney e Dana Andrews, eterni e fragili innamorati destinati a scontrarsi con i loro fantasmi interiori (come in Sui Marciapiedi).
Vertigine. È stato trovato un cadavere in un appartamento nel centro di New York, è quello di Laura, giovane e bellissima donna in carriera ricordata dalla voce fuori campo dell’amico Waldo (un famoso giornalista) che la introduce anche al detective McPherson. Fuori piove, si esce solo per rapidi spostamenti, ci si rinchiude spesso nella casa di Laura come il centro propulsore di ogni pensiero/immagine/sogno. L’anatomia di un omicidio si dipana davanti ai nostri occhi, scandita dall’inesorabile passare del tempo in un’enorme pendola che ha il suo doppio nella casa dell’inquietante Waldo. C’è però qualcosa che non quadra nelle indagini di McPherson, qualcosa gli sfugge sempre, torna ossessivamente a ritirarsi in quell’appartamento, legge diari e lettere private, ma soprattutto torna come una spirale ossessiva a guardare l’oggetto del suo desiderio: (il ritratto di) Laura che troneggia sul caminetto come un’eterea musa antica.
Laura. Quell’immagine diventa il motore del film, o dell’intera filmografia di Preminger: l’ossessione e il desiderio sedimentati in perturbanti fantasmi che creano costantemente il cinema. Gene Tierney è eterea presenza che rapisce dalla prima visione, corpo-fantasma che crea trame noir (gli insistiti flashback) e poi vertigini inspiegabili (il suo ritorno alla vita), insomma è il motore occulto di un film che ruota intorno al suo (falso) omicidio come impossibile morte dell’immagine della bellezza. Preminger comprime il tempo, asciuga all’osso la sua trama e confonde definitivamente lo sguardo aderendo ai sentimenti di McPherson: leggendaria la carrellata a stringere e poi ad allargare sul primo piano dell’uomo addormento vicino al ritratto di Laura. Preludio onirico alla ri-apparizione di Lei: un fantasma, quindi? Chi lo sa, non ci sono “le prove” di questa affermazione, solo le marche enunciative del cinema (il sogno lo si introduceva così a Hollywood), solo prove immaginarie pertanto. Ma se la seconda parte del film è tutto un sogno di Mark (una sorta di Mulholland Drive al contrario, quanto era lynchano, prima di Lynch, Otto Preminger?), allora Laura non smette proprio mai di essere un’immagine: la incontriamo prima nel flashback dell’amico/assassino Waldo, poi nel quadro che fa innamorare Mark, infine nel suo/nostro sogno che la rende cinema nel coronamento dell’amore e nello svelamento del mistero. Ma continuano a non esserci le prove certe di questa interpretazione (sublime ambiguità premingeriana…) e alla fine resta solo l’immagine di Gene Tierney che a distanza di settant’anni ci fa ancora innamorare perdutamente in ogni singola inquadratura. Ecco la prova definitiva, allora, ha sempre avuto ragione Otto Preminger: questo film non poteva che chiamarsi semplicemente… Laura.
Pietro Masciullo, sentieriselvaggi.it, 12/6/2016

Critica (4):
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