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Deserto dei tartari (Il)


Regia:Zurlini Valerio

Cast e credits:
Soggetto
: André G. Brunelin, Jean-Louis Bertucelli, dal romanzo omonimo di Dino Buzzati; sceneggiatura: André G. Brunelin; fotografia (Eastmancolor): Luciano Tovoli; musica: Ennio Morricone; montaggio: Kim Arcalli, Raimondo Crociani; fonico: Bernard Bats; interpreti: Jacques Perrin (Drogo), Vittorio Gassman (Filimore), Giuliano Gemma (Mattis), Helmut Griem (Simeon), Philippe Noiret (il Generale), Jean-Louis Trintignant (Rovine), Max von Sydow (Hortiz), Laurent Terzieff (Arnerling), Fernando Rey (Nathanson), Francisco Rabal (Tronk), Giovanni Attanasio (Swartz), Giorgio Cerioni (Gothard), Jean-Pierre Clairin (Maude), Alain Corot (Sarteris), Manfred Freyberger (caporale), Shaban Golchin Honar (Lazare), Maurizio Marzan (Morel), Dino Mele (Kupka), Yves Morgan (Sebastiano), Kamran Nozad (Sern), Giuseppe Pambieri (Rathenau), Bryan Rostron (Von Armin), Rolf Wanka (Prodocimo), Lilla Brignone (Madre di Drogo), Chantal Perrin (Maria); produzione: Michelle De Broca, Jacques Perrin, Giorgio Silvagni, Bahman Farmanara per Cinema Due (Roma) / Reggane Films (Paris) / Fidci Fildebroc Films de l'Astrophore, FR 3 / Corona Filmproduktion GMBH (Monaco); distribuzione: I.N.C.; origine: Italia-Francia-Germania, 1976; durata: 143'.

Trama:Nel romanzo di Buzzati il vero senso della vita non risiede nel conquistare qualcosa di essa ma nello stesso percorrerla. L'autentico momento di coraggio è quello in cui si deve affrontare la morte. Che avvenga su un campo di battaglia o in un letto di malato, nulla cambia nel coraggio del momento decisivo. Se questa è la morale che mi ha affascinato nel libro, e che in fondo si sposa indirettamente con il contenuto dei miei film precedenti, il motivo che più mi ha attratto stavolta è stato la forma scelta per materializzare un tale apologo filosofico, questo deserto invaso dalle brume, battuto dal vento. Ed anche il rituale solenne quanto inutile di una casta al tramonto, l'inquietudine per una presenza nemica che serpeggia in tutto il libro e, spero, in tutto il film. La battaglia si risolve quindi in una lotta contro le proprie illusioni. Ma tali illusioni nel film sono materializzate da incubi, apparizioni misteriose, personaggi che si avviano, accettandolo o ribellandosi, verso un proprio destino di fallimento e decadenza. Il combattimento c'è ma è all'interno di ognuno. La tensione cresce a dismisura ma è la tensione della nostra angoscia. Un pubblico intelligente comprenderà subito, anche senza aver letto il libro, che i veri Tartari non compaiono in un deserto geografico ma nel deserto della nostra esistenza interiore. [...]. Buzzati ha riflesso nelle immutabili norme militari il fluire inarrestabile della vita con le proprie regole e, diciamolo, le proprie inutilità. Se ho sottolineato questo aspetto, ciò mi viene da una doppia considerazione: primo, in definitiva Buzzati amava la vita militare; secondo, storicizzando il film e ambientandolo nel momento precedente al crollo dell'impero asburgico, ho voluto guardare con durezza ma anche con malinconia a rituali che sono stati il fondamento di un mondo ma non hanno saputo evitarne la decadenza.
(Valerio Zurlini)

Critica (1):[...] Valerio Zurlini ha saputo dare concretezza visiva ad uno dei testi più magici e ambigui della nostra narrativa, assorbendo le inquietudini dell'inespresso e le vibrazioni favolistiche di cui s'innerva la prosa di Buzzati in un film di compiuta bellezza. Raggiunta soprattutto col trasferire nel racconto cinematografico la varietà di umori e significati che ha il romanzo: un'allegoria della vita, sentita come attesa e ricerca della gloria, e premiata comunque dalla morte, ma anche una celebrazione dei rituali quotidiani attraverso i quali l'uomo sospende la storia. Le strette di mano, le cerimonie imposte dalla più rigida disciplina militare, l'estrema sobrietà d'ogni gesto sono nei film un leitmotiv che congloba nei comportamenti molti temi del romanzo, annodato a quello dell'angoscia cosmica sprigionata dal paesaggio atemporale, scenario di sterminati silenzi e perciò radice di terrori.
[...] Zurlini suggerisce con saggezza il meccanismo che, in un mondo di militari ossessionati dal mito della gloria, conduce anche Drogo a restare in fortezza, ma con altrettanta precisione di trapassi dalla realtà al simbolo muove i suoi superiori, i colleghi e i soldati, tutti strumenti di una forza ineluttabile che spinge e raggela un largo ventaglio di sentimenti, dalla paura alla gelosia, dalla fierezza all'arroganza, nel microcosmo alzato sui bordi del deserto. La fine di Drogo, costretto a lasciare la fortezza proprio quando dopo lunghi anni di attesa il nemico arriva davvero, è forse un momento debole del film, perché ne sottolinea un po' troppo la componente emotiva. Ma come nel libro la chiusa che scivola nel consolatorio non incrina la compattezza lucida dell'incubo, così il film si raccomanda per il grande rigore formale con cui popola i luoghi di assurdi fantasmi: quelli incarnati negli alti ufficiali, larve fra loro rivali di un impero in disfacimento, e quelli dei Tartari che abitano i loro spiriti in allarme.
La maggiore virtù di Zurlini è nel far coesistere, nella struttura realistica a lui congeniale, come sempre impregnata di umori elegiaci, i dati psicologici e i motivi metafisici, gli echi storici e gli astratti furori di Buzzati, e nel convogliarli verso un magnifico concerto di misteri. [...] Zurlini ha spesso avuto la dote di creare, col sottrarre, un clima d'immagini purissime. Qui sa reggerlo dal principio alla fine, tessuto in un simbolismo trasparente, con mano ferma e splendide illuminazioni.
(Giovanni Grazzini)

Critica (2):(...) raramente, crediamo si sia vista sugli schermi l'immagine di un paesaggio reale che trascenda in modo così drastico la realtà, raramente gli oggetti, il cosiddetto materiale plastico, modellarsi ad assoluto piacimento dell'autore (...). Si pensi, tanta per fare un esempio, alle uniformi degli ufficiali di stanza alla fortezza, che appena tolte e ripiegate o appese, assumono immediatamente i tratti di nature morte. II risultato appare ancora più straordinario, quando si pensi che Zurlini e gli sceneggiatori Brunelin e Bertuccelli, anziché accennare l'astrattezza, l'atemporalità del romanzo di Buzzati, lo hanno, invece, storicizzato, collocandolo in un'epoca che va dal 1908 al '14 e trasformando la fortezza in un avamposto dell'Impero Austroungarico. Pare, a prima vista, una contraddizione. Al contrario, basta meditare un po' per accorgersi che la storicizzazione, offrendo una nuova dimensione al paesaggio reale, accentua e allarga il suo conflitto con l'esistente, aiutandolo a trascendere la realtà. Ne esce un esempio quasi perfetto di realismo fantastico, dove il senso dell'altrove è radicalizzato molto più che nelle ingenue féeries cui ci ha abituati il cinema irrealistico di consumo, e non soltanto quello. (...) tutto si compie nell'immagine, nulla al di fuori di essa, In altri termini l'immaginario si consuma tutto nello spazio delle immagini, dando in definitiva ragione a Blanchot che lo definisce l'altro da ogni mondo (col che ciascuno può integrarlo al suo). Si ha pure la sensazione che le immagini del Deserto dei Tartari siano frutto non tanto di invenzione, quanto di maturazione, come se Zurlini le avesse da tempo scolpite in mente o, addirittura, lasciate sedimentare nel subcosciente; come se gli esterni favolosi, la città morta di Bam, non fossero stati ricercati, ma ritrovati, perché già noti a Zurlini, attraverso una di quei sogni misteriosi che sembrano emergere da esperienze ancestrali. (...)
(C. Cosulich)

Critica (3):

Critica (4):
Valerio Zurlini
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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